Nel suo blog, il sempre ottimo Falecius ha tenuto una piccola lezione riguardo all'islam dal punto di vista linguistico (Falecius è quel che sarei io, se una volta presa la laurea non avessi cominciato a correre come un dannato verso il punto sulla Terra più lontano da un professore).
La serie di post a riguardo è davvero interessante. Per esempio, ora sono conscio del fatto che qualunque modo io utilizzi per indicare la religione del Profeta Maometto e dei suoi seguaci, sarà sempre quello sbagliato. Molte grazie, Falecius.
Interessante è il taglio metodogico dato all'esposizione: siamo di fronte ad un raro caso di etimologia militante, nel quale la disciplina è usata a modo di clava per sferzare le teste del nemico, che in questo caso sono i giornalisti.
Il casus belli è un articolo riguardo ai musulmani del noto professor Sartori, infarcito di un numero tale di errori da dover essere stroncato con successo da chiunque passasse di lì anche per caso. La tesi di Falecius è la seguente: i giornalisti lavorano grazie ai soldi pubblici, quindi hanno il dovere di scrivere articoli che veicolino informazioni corrette e veritiere. In pratica, dice Falecius, vi paghiamo con i soldi nostri, fateci la cortesia di sapere l'ABC del tema che andate a trattare.
In questa posizione si incarna uno dei grandi miti del mondo moderno: quello del giornalismo come faro di cultura, conoscenza e informazione. Io non so chi abbia dato vita a questo mito – suppongo un giornalista – ma è quanto di più lontano dalla realtà ci possa essere.
Un giorno una persona, che aveva lavorato come giornalista per qualche tempo, mi disse una frase che non scorderò mai: il giornalista è l'unica professione di un certo livello e responsabilità che non richiede alcun titolo di studio per essere svolta. Non ci avevo pensato prima di allora, ma è proprio così. Il giornalista è colui che non sa di nulla, ma scrive di tutto. E potrebbe anche non essere un problema, se solo non ci fossero aspettative così elevate sul suo operato.
Pensiamo ai giornalisti che seguono un caso giudiziario: non hanno studiato diritto, non sono stati nella Polizia, non hanno alcuna esperienza processuale. Però devono scrivere di un processo in corso. Cosa fanno? Chiedono. A chi? Alla polizia, agli avvocati e al PM. Non potendo applicare nessun filtro critico a ciò che scrivono, si limiteranno a riportare quello che viene loro detto. E anche qui, niente di male. Putroppo il male sorge quando ci si aspetta che il giornalista veicoli conoscenza e si arrivi a credere che il giornalista sia depositario di una qualunque verità. Il problema è che egli, non potendo vagliare criticamente, riporta da fonti che hanno tutto l'interesse ad utilizzare il giornalista come strumento da piegare ai propri fini. Non intendo dire che ci sia un complotto, dico solo che essendo le fonti altamente inaffidabili, anche l'informazione che ne scaturisce è altrettando inaffidabile. Meno il giornalista è competente, più la fonte diventa inaffidabile.
I giornalisti che ho conosciuto io (giovani leve di testate locali) erano tutti, chi più chi meno, ragazzi con un mediocre profilo culturale (maturità presa per grazia del Signore) che hanno trovato nel giornalismo uno sbocco per le loro non-competenze. Tipicamente, il loro lavoro consisteva nell'andare a raccogliere la dichiarazione dal poliziotto o dal politico locale. Ora, capite che quando un giornalista in erba, un poliziotto e un politico si mettono a discutere, ne uscirà per forza qualcosa di molto lontano dalla verità.
Ma ancora, fin qui tutto bene, se solo il giornalista dicesse “sono solo un povero giornalista, non so fare niente se non farmi dettare quello che devo scrivere, ma almeno metto insieme il pranzo con la cena”. Invece no. Per qualche inspiegabile motivo, nella nostra società il giornalismo viene considerato una professione di nobile profilo intellettuale, con un mandato morale altissimo, purissimo, levissimo. E così ce li ritroviamo a pontificare su tutto, senza sapere di niente. E non solo sui giornali: scrivono libri di “storia”, libri di “economia”, libri di “filosofia” senza essersi mai dedicati ad alcuno di questi studi. Per spiegare la differenza, considerate che una persona che sta per ottenere un dottorato (qualifica minima per poter pensare di pontificare urbi et orbi su un argomento), si è fatta 5 anni di liceo, 5 anni di università e ha passato l'esame per il dottorato, senza contare tutte le varie attività collaterali e lo studio personale. In termini accademici, vuol dire un fottio di tempo e fatica, 10 anni e più di sbattimenti quotidiani. Il giornalista no. Per i primi anni ha cazzeggiato, per gli altri si è fatto dettare da un poliziotto o da un politico cosa scrivere. Capite la differenza?
Falecius, che ha passato tutta questa trafila e molto di più, comprensibilmente si stupisce di come si possa leggere sui giornali gli orrori storiografici che ci vediamo scodellati con malandrina regolarità. Il problema è che altro non può uscire da persone pagate per scrivere di cose che non conoscono.
Ma la colpa non è del giornalista, che fa il suo lavoro. La colpa è nostra che continuiamo ad aspettarci dal giornalista quello che lui non potrà mai darci. Il giornalista non è il sostituto dello studio per gli illetterati, né il tramite che rende la cultura alta appetibile per il popolo. Affatto. Per niente. No.
Quindi, sarebbe il caso che la prossima volta che esce un film come Good Night, and Good Luck, ridessimo tutti fragorosamente, invece di tributargli immeritati onori. E siccome so che a qualcuno già fremono le dita per commentare che “non tutti i giornalisti sono uguali”, che “ ci sono i giornlisti d'inchiesta”, che “sono costretti dagli editori, che altrimenti loro” ecco, io premetto subito che nei Paesi socialisti non c'è mai stato il vero socialismo, che altrimenti... e che nei Paesi capitalisti il grande capitale non è assolutamente protetto dallo Stato con la forza... e che tutto il mondo sarebbe un luogo meraviglioso, se solo fosse quello che non è.
18 commenti:
A mio avviso che i giornalisti siano tuttologi e' il motivo per cui non amano internet. E ' ovvio che gente come Gianni Riotta non ami il fatto che chiunque possieda una competenza specifica maggiore della loro (e non ci vuole molto) possa contestargli le sciocchezze che scrivono.
Prima dettavano legge, le loro opinioni erano le uniche opinioni. Con internet le cose sono un po' diverse.
Quanto a Good Night & Good Luck a me e' piaciuto perche' piu' che di giornalisti parla di maccartismo e di climi di caccia alle streghe, che con i giornalisti hanno poco a che fare.
Io almeno l'ho interpretato cosi', poi sul film de gustibus. In ogni caso, la caccia alle streghe, accomuna i fessi che associano l'Islam al terrorismo e quelli che bruciano le ambasciate danesi per una vignetta sul profeta.
Good Night & Good Luck
> ragazzi con un mediocre profilo culturale (maturità presa per grazia del Signore)
Presenteee! Una vera fortuna che l'idea di tentare la strada del giornalismo non mi abbia nemmeno sfiorato, no? =)
Comunque, mi sbaglierò, ma i giornalisti quanto a considerazione li vedo abbastanza in ribasso, ultimamente. Persino Travaglio si è reso popolare ponendosi come eccezione, e contando che presto o tardi pure lui si sgonfia...
Tommy:
Grazie della citazione: per quanto riguarda i giornalisti in generale, non mi stupisco granché. Semplicemente, non vedo perché una struttura come quella che tu descrivi (e non ho molti dubbi che sia davvero così) debba percepire del denaro pubblico.
Dopodiché, esistono alcuni giornalisti che effettivamente sanno di che parlano o perlomeno si documentano prima di parlarne, ma temo siano una minoranza.
Tuttavia, Sartori non è un giornalista, è un professore, mi pare sia stato anche giudice costituzionale o qualcosa di simile, è uno che dovrebbe aver fatto tutti i dottorati necessari.
Il che ovviamente è un'aggravente della sua posizione. :)
Yoss Prima dettavano legge, le loro opinioni erano le uniche opinioni. Con internet le cose sono un po' diverse.
Per fortuna è così :-)
Quanto a Good Night & Good Luck a me e' piaciuto perche' piu' che di giornalisti parla di maccartismo e di climi di caccia alle streghe, che con i giornalisti hanno poco a che fare.
Anche a me è piaciuto e sicuramente il suo intento era quello. Ma se tu leggi i giornali che ne parlano, l'interpretazione è quella del giornalismo indipendente che salva l'umanità dalla barbarie dittatoriale.
la caccia alle streghe, accomuna i fessi che associano l'Islam al terrorismo e quelli che bruciano le ambasciate danesi per una vignetta sul profeta.
Ahimé...
* * *
lamb-O Comunque, mi sbaglierò, ma i giornalisti quanto a considerazione li vedo abbastanza in ribasso, ultimamente.
Speriamo :-)
* * *
Falecius: non vedo perché una struttura come quella che tu descrivi (e non ho molti dubbi che sia davvero così) debba percepire del denaro pubblico.
Infatti non dovrebbe, e nemmeno se fosse il giornalismo meglio fatto del mondo. Non l'ho scritto, perché per il curatore di questo blog non dovrebbe esistere lo Stato, quindi i contributi statali sono solo un piccolo accidente.
Per quanto riguarda Sartori, è vero che non è un giornalista, ma non essendo un islamologo, ne sa quanto me di islam e filologia araba. Quindi, se non scrivesse per un giornale, nessuno si sognerebbe mai di andargli a chiedere un parere sull'islam.
Il fatto che sia professore, in effetti, avrebbe dovuto suggerirgli di tacere. E invece...
Erro arrivato alle tue stesse conclusione un paio d'anni fa quando ero stufo di sbroccotroni che lamentavano il non rispetto di un presunto "diritto all'informazione". La mia risposta tipica sarebbbe "Diobono hai il piatto pieno e una vita tranquilla, non per dire, ma forse è il caso di non lagnarsi più di tanto".
Sta gente non conosce neppure il valore dei diritti, quelli veri.
Finché c'è gente che si lamenta perché le vacanze costano troppo...
Credo che tu faccia confusione tra commentatori e cronisti.
La professione del commentatore, negli ultimi 20-25 anni, ha viaggiato pericolosamente verso la più discutibile e sfrenata tuttologia, anche perché (salvo casi clamorosi) il commentatore non è esposto a gravi conseguenze legali in conseguenza delle proprie azioni (se io scrivo commentando la condanna di Tizio in un processo di mafia, sarà difficile che qualcuno possa citarmi in giudizio: Tizio è stato effettivamente condannato), salvo in casi un po' al limite (ad es. Tizio potrebbe contestarmi la definizione di "mafioso" nel mio pezzo, se fosse stato condannato "solo" per "concorso esterno in associazione mafiosa").
Diversamente, il cronista alle conseguenze legali è esposto eccome, perché spesso deve citare eventi in parte ancora oscuri, elaborare connessioni, tentare l'ipotesi di moventi e logiche di scopo: tant'è che i cronisti sono quelli più citati in giudizio tra i giornalisti (e ne so qualcosa: in sette anni da cronista di nera, 5 per un quotidiano locale e 2 per uno nazionale, ho avuto 36 querele). Naturalmente chi è dipendente di una testata è assicurato, però ci sono dei limiti, e contro le conseguenze penali non c'è assicurazione che tenga. Il cronista perciò in genere è più prudente, o dovrebbe esserlo se non è un imbecille (chiaro che poi gli imbecilli, come ovunque, non manchino).
Certo poi esistono casi clamorosi e reiterati di violazione della deontologia professionale da parte di gente che ha SEMPRE il culo parato: i famosi "virgolettati" di "Repubblica", i recenti tentativi (surreali) di infamare Vendola su basi inconsistenti (e non è il primo né l'ultimo a subire questo trattamento), il "minzolinismo", etc.
Tuttavia questi casi mi sembrano rientrare in un fenomeno più vasto, ovvero quello che io chiamo "il declino delle deontologie professionali". Chi aderisce a una professione, oggidì - salvo pochi idealisti, molti dei quali peraltro si fanno più cinici col passare del tempo, e addio idealismo - ne cerca unicamente i privilegi di casta, dimenticando gli obblighi deontologici che l'appartenenza alla professione implica. Non è stato sempre così: sono esistiti tempi e luoghi in cui l'adesione a una professione significava davvero qualcosa, anche in termini morali.
In ogni caso io di fare il cronista mi sono stufato in meno di dieci anni: sono passato a fare prima il capo ufficio stampa di un gruppo finanziario, poi il direttore commerciale, infine il manager addetto alle relazioni esterne. Incarichi pagati di più, e con meno rotture di balle.
"ne sa quanto me di islam e filologia araba"
No, ne sa meno di te. Tu leggi il mio blog :D
Per davide malesi:
Nel caso specifico si parla di commentatori. Ma ho visto dei cronisti dire delle cose aberranti quando si trattava di Islam (che come ben saprai, è argomento che coinvolge spesso la cronanca). E ripeto, non è che pretenda molto. Di solito basterebbe un giro veloce su wikipedia, che pure è molto, ma molto meno del massimo, per evitare certi strafalcioni.
In effetti ho da ridire soprattutto su chi scrive di estera. Le pagine esteri dei giornali italiani sono imbarazzanti. Fino a qualche anno fa salvavo il Manifesto e qualcosa di Repubblica, adesso la situazione mi pare peggiorata.
@ davide: mi pare che il mio esempio si riferisse proprio al cronista. Che poi esistano anche i commentatori è un altro discorso, però io mi riferivo proprio ai cronisti.
Non era un attacco ai giornalisti in quanto tali, ma al fatto che vengano considerati alla stregua di quello che non sono.
Poi, il fatto che il giornalista sia sempre a rischio di querela o denuncia, anche se è vero, purtroppo non dimostra niente rispetto al discorso che si faceva, soprattutto in Italia, dove sembra che tutti denuncino tutti per qualunque cosa.
* * *
Falecius: No, ne sa meno di te. Tu leggi il mio blog :D
ROTFL
@Davide
"Chi aderisce a una professione, oggidì - salvo pochi idealisti, molti dei quali peraltro si fanno più cinici col passare del tempo, e addio idealismo"
Si' Davide, sono d'accordo, e nel caso dei giornalisti e del giornalismo in Italia si potrebbe aprire un lungo discorso non solo deontologico ma soprattutto "metodologico", a cominciare dalla formazione professionale, il praticantato, per finire con l'accesso alla professione vera e propria: la tanto agognata "assunzione".
Io dopo dieci anni da pubblicista durante i quali il motto era "sempre piu' difficile", ovvero prima sostituire i colleghi assunti, per poi finire a occuparmi propriamente di nera, bianca e tutto l'ambaradan con l'impegno full time e le mansioni di un redattore, ma con lo stipendio a cottimo di un corrispondente (con gli stessi rischi legali), mi sono trovato al classico bivio:
o gli faccio causa, o mollo e cerco qualcos'altro, possibilmente nel settore.
Posto che a mio avviso chi auspica l'abolizione l'Ordine dei Giornalisti ha ragione da vendere, rimane sul tavolo la vexata quaestio del ruolo della meritocrazia nell'accesso alla professione.
Ora, cio' non significa che i giornalisti italiani siano una manica di raccomandati: questo sarebbe sciocco e qualunquista, ma che in Italia la quota fisiologica di chi ottiene un posto da redattore in virtu' di nobili lombi, sia sensibilmente piu' alta di quella del resto dei paesi europei, e di quella che possiamo ritenere accettabile per una professione comunque circondata da un alone di "privilegio" in tutto il mondo, e' una realta' difficile da negare.
O se la si vuole negare, allora diciamo che e' il peggior segreto di Pulcinella del pianeta...
E ti garantisco che questa non e' una filippica da "volpe e uva", anche perche' dopo dieci anni ero decisamente stufo e avrei dato forfait in ogni caso, pero' mi sarebbe piaciuto dover gettare la spugna per KO - non sei tagliato per il mestiere, fattene una ragione - piuttosto che per sfinimento, specie dopo aver fatto un lavoro da peso massimo, compresi gli apprezzamenti dell'allenatore, ma vivendo con lo stipendio di un dilettante del ring.
Avrei potuto far causa al giornale, e forse avrei vinto, quindi e' in parte anche colpa mia, senza contare che ho visto tanta gente in gamba farsi un cuolo quadrato in tutte le redazioni in cui sono stato, senza "papi" alle spalle.
Tuttavia a volte, ho avuto l'impressione, specie durante i "giri" di assunzioni, che per garantirsi una scrivania, bisognasse nascere con il numero 666 tatuato sul cuoio capelluto, avere la mamma che di nome fa Rosemary, e il babbo con corna, zoccoli e coda...
Poi sai, io mi riferisco agli anni dal 90 al 2000. Puo' darsi che oggi le cose siano diverse.
Ciao.
PS Dai, fare il cronista non e' difficile.
Una volta che hai perso tre quarti d'ora per l'attacco, il resto e' tutto in discesa...
;-)
@Yossarian, non sarò io a dirti che in Italia nel giornalismo non pesano le raccomandazioni, visto che ottenni il mio primo impiego proprio in quanto raccomandato.
A me, sinceramente, di fare il cronista non interessava poi granché. Non ero preso dal "fuoco sacro", tutt'altro. Ero appena tornato dal servizio militare (che era stato come un anno di vacanza, tanto m'ero divertito) e speravo di passare un annetto o due a non fare un tubo, stile Michelaccio, a spese della famiglia. I miei dissero che non se ne parlava nemmeno: potevo andare a lavorare nel quotidiano di un amico editore, o cercare impiego come operaio nelle imprese del travertino che ci sono dalle nostre parti. In ogni caso, dovevo cominciare a guadagnarmi da vivere. Scelsi il giornale perché era la soluzione più facile.
Come cronista di nera funzionavo bene perché ero simpatico a tutti, sui due lati della barricata: dal picchettaro all'omo de panza, dallo specialotto al ricottaro, dal questurino mezzamanica al puffo che fa ordine pubblico. Se hai fatto la nera, sai che il grosso del lavoro è stare in giro, farti raccontare le storie, far sì che la gente si sbottoni, e parli. Scrivere, lo dico sinceramente, è il meno.
Ciò detto, quando scrivi ciò che scrivi sulla "quota fisiologica" di gente assunta in quanto raccomandata, dici il vero: ma questo è vero OVUNQUE, in Italia, credo, non solo nel giornalismo. Potrei raccontare aneddoti penosi su come mi siano stati imposti, nel mio gruppo di lavoro, dipendenti muniti di raccomandazioni (politiche, ecclesiastiche, parentali) che non avevano voglia di fare un cazzo da mane a sera, e si mantenevano rigorosamente coerenti con questa impostazione. Per non dire dei privilegi: quando facevo il capo ufficio stampa, avevo uno staff di persone di cui una, sistematicamente, si faceva quattro mesi di malattia, veniva 15 giorni in ufficio a non fare un cazzo, dopodiché altri quattro mesi di malattia, ad lib. Quando suggerii all'ufficio personale non tanto di darle fuoco con la benzina, ma di mandarle perlomeno una visita fiscale, mi fu detto che era stata assunta in quanto "portata da persone amiche" che "avrebbero potuto prendere male un atto di sfiducia".
@Tommy, parlavo di confusione tra commentatori e cronisti perché il tuo post esordiva citando la impostazione da tuttologo (peracottaro) di Sartori, che sicuramente non è un cronista. Dopodiché passavi all'esempio inerente la cronaca giudiziaria. Esempio che non mi è parso, invero, molto calzante: se un giornale "segue un processo", si suppone che si tratti di un processo di un certo rilievo, che sarà seguito dal capocronaca e/o dai suoi fedelissimi, non certo dalla più imberbe delle reclute. In genere, queste persone hanno una certa esperienza del mestiere, e non si fidano certo "a priori" della dichiarazione di un Pm, o di un avvocato difensore: tant'è che, in una buona inchiesta di cronaca giudiziaria, io mi aspetto di ritrovare entrambe le fonti. Se non ce le ritrovo, o se le dichiarazioni di una fonte sono enfatizzate, o messe in una luce più favorevole, non credere che sia per inesperienza di chi scrive: ciò accade, semmai, perché esiste una cosa chiamata "orientamento redazionale". Non è incapacità di vagliare criticamente, è tutto l'opposto: è strategia (esistono poi, naturalmente, strateghi più o meno bravi).
Detto ciò, che la cronaca sia una attività imperfetta, come tutte le umane cose, non ci piove. Ma, come osserva acutamente David Randall in un suo libro, fare a meno di essa significherebbe accettare sistematicamente la versione dei fatti di chi esercita il potere, il che non mi sembra propriamente un'idea sana e sensata nell'ambito di una democrazia moderna. Se, non appena si instaura un regime di stampo autoritario, una delle prime cose che si fanno è mettere il bavaglio all'informazione e in special modo alla cronaca, un motivo ci sarà.
@falecius, concordo con te che chi fa cronaca sui "fatti islamici" scrive spesso a sproposito, anche perché in genere non li conosce, e ha una nozione della cultura e del mondo islamico prossima allo zero. Molto di ciò che tocca il rapporto con l'Islam, e che viene diffuso per via mediatica, finisce per guastarsi di pressapochismo nel migliore dei casi, di ignoranza crassa nel peggiore: ad es. io ho sghignazzato per lungo tempo, leggendo articoli di nomi teoricamente illustri che parlavano dell'articolo di Huntington "The Clash of Civilizations?" descrivendo la tesi huntigtoniana, anziché come una ipotesi di lavoro, come un grido a raccolta per i difensori dell'Occidente dalla barbarie islamica (e dimostrando, con ciò, di NON AVER MAI LETTO "The Clash of Civilizations?", o di averlo completamente frainteso).
Certo, poi ho pensato al male che questa cattiva informazione fa alla società e agli individui, e la voglia di sghignazzare della ignoranza altrui un po' mi è passata.
Yoss: purtroppo la piaga dei raccomandati è sistemica e penso sia uno dei gravi problemi dell'economia italiana. Magari fosse solo del giornalismo (magari per modo di dire).
* * *
davide: sono partito spiegando il motivo per cui Falecius ha scritto i suoi post. Poiché poi lo stesso Falecius ha mosso una critica ai giornali in quanto tali, io mi sono mosso su quel piano. Il riferimento ai giornalisti in erba era per sottolineare che, se la gavetta che si fa nei giornali è quella, non ho motivo di credere che "da grandi" si faccia qualcosa di diverso, quindi non c'è da stupirsi se poi anche i grandi le sparano grosse.
Poi comprendo che il Corriere non segua un processo se non molto importante e che ci mandi gli uomini migliori, ma nelle testate locali si seguono fatti meno importanti. E lì, come dici tu, bisogna sapersi creare dei contatti. Ed è lì il problema, perché questo bisogno di contatti diventa in pratica dipendenza dalle fonti. Aggiungici che se parli male dei poveracci non ti succede niente, se fai incazzare la polizia quelli non ti passano più notizie. Aggiungici la linea editoriale del giornale per cui scrivi. Mi sembra il mix perfetto per il disastro :-)
Per quanto riguarda il rivolgersi a più fonti, non è di per sé garanzia di nulla. Poiché sono fonti sempre fortemente oggettive, quando non attivamente depistanti, non si compensano a vicenda, ma amplificano l'inattendibilità.
Se io ho due fonti interessate che si contraddicono a vicenda, non ho niente in mano, ho solo due fonti che parlano pro domo sua.
Con questo non voglio dire che il giornalismo vada abolito, tutt'altro. Quello che dico è che il giornalismo va considerato per quello che è, non per quello che ci piacerebbe che fosse.
Prendi Travaglio: lui fa il suo lavoro di giornalista (faceva, ormai è diventato un noioso pontificatore) come si deve. Se venisse considerato per questo e basta, si leggerebbe Travaglio senza aspettarci di trovare la verità, o il salvatore della Patria, o il nemico che vuole tutti in galera.
Invece, poiché dal giornalismo ci si aspetta più di quello che puo fare, Travaglio viene alternativamente osannato o infangato come succedeva a Napoleone.
@Tommy, scrivi:
> Il riferimento ai giornalisti in erba era per sottolineare che, se la gavetta che si fa nei giornali è quella, non ho motivo di credere che "da grandi" si faccia qualcosa di diverso, quindi non c'è da stupirsi se poi anche i grandi le sparano grosse.
Credo che il fraintendimento sia tutto qui.
In molti casi, in Italia le "grandi firme" (i "commentatori tuttologi" stile Sartori) non hanno mai fatto alcuna gavetta giornalistica: magari ne avessero fatta! Sono persone che, per via di una carriera avviata (da polemisti televisivi, da scrittori, da filosofi, da sociologi) vengono scelti per scrivere pezzi di commento. Il caso più clamoroso in Italia fu Pasolini, che pur non essendo affatto uno sciocco, scriveva (proprio sul "Corriere", guardacaso) pensierini da scuola elementare, tipo che in Italia il boom edilizio era una brutta cosa perché faceva sparire le lucciole dalla campagna, e giustamente Andreotti gli rispose che le lucciole saranno anche tanto suggestive e poetiche, ma la popolazione percepiva il diritto a vivere in alloggi non sovraffollati, e dotati di servizi igienici privati (e non in fondo al cortile o al ballatoio, come usava ai tempi) come una cosa un po' più importante.
Il fatto è che Pasolini poteva scrivere minchiate ruota libera solo perché era Pasolini, così come oggi Sartori può scrivere minchiate a ruota libera solo perché è Sartori. Uno come Curzio Maltese per esempio, o il Marco Travaglio che tu citi, che la gavetta sul campo invece l'han fatta, ci stanno un tantino più attenti. Quantomeno, sanno di cosa parlano, il più delle volte.
Sulla questione delle fonti, scrivi che avere due fonti interessate che si contraddiscono a vicenda non mi dà nulla. Il che non è vero: mi dà uno spunto per approfondire il perché sono interessate, e la strategia attraverso cui si esprime tale interessamento. Il giornalismo d'inchiesta ben fatto dovrebbe fare proprio questo. Il metodo dell'analisi delle fonti (e dei fatti che stanno all'origine delle loro contraddizioni) è un metodo attraverso il quale sono stati scritti alcuni dei più bei libri di inchiesta che abbia mai letto, dal leggendario "Please Kill Me" di Gillian McCain e Legs McNeil a quello che secondo me è il più bel libro di nonfiction italiano di questi anni, "L'ordine già stato eseguito" di Alessandro Portelli.
Certo, mettere a confronto le fonti non mi consegnerà la verità definitiva, l'ultima parola, su nessun fatto che sia minimamente spinoso o controverso (altrimenti, vorrebbe dire che le spine si son ritratte o spuntate, e le controversie esaurite). Ma mi aiuterà, se il percorso dell'autore è onesto e rigoroso, a sviluppare una opinione, formarmi una coscienza, articolare un pensiero, e a mettere in relazione quanto leggo col mio bagaglio di opinioni e conoscenze.
Va da sé che opinioni pensieri e coscienze non custodiscono verità assolute, proprio perché si formano attraverso l'esperienza umana, che è soggettiva e fallibile. Non per questo sono inutili.
PS. Il fatto che Travaglio sia da questi esaltato, e da altri infangato, è dovuto IMHO al ruolo pubblico che questi ha assunto su di sé, di "smascheratore dei retroscena della grande menzogna berlusconiana". Più che dalla percezione che la gente ha del giornalismo, dipende dal problema dell'assetto politico italiano di oggi, che rappresenta una eccezione in Occidente e i cui aspetti controversi producono numerose eccezioni e distorsioni ai ruoli convenzionali di questa o quella personalità o funzione pubblica: dal legislatore che assume impropri ruoli tecnici, al magistrato che si improvvisa ex abrupto legislatore, e via discorrendo.
Alle volte mi tocca "rilasciare dichiarazioni" ad un giornalista: la tecnica è molto semplice: gli introiti pubblicitari al suo editore sono sufficienti perchè la Grande Multinazionale Bastarda faccia in qualsiasi caso una buona figura, parlo io e alla prima domandina non consona faccio riferimento all'agenzia di raccolta pubblicitaria che non sarà troppo contenta di vedersi tagliato il budget di acquisto; non ho alcun modo di fare pressione sull'agenzia di raccolta pubblicitaria, parla l'ufficio stampa esterno della Grande Multinazionale Bastarda, con l'obbligo di non dire un cazzo e di minacciare querele alla prima parolina fuori posto.
Io sono un convinto assertore della libertà e indipendenza dei giornalisti...
Cordialità
Attila
Per esempio, ora sono conscio del fatto che qualunque modo io utilizzi per indicare la religione del Profeta Maometto e dei suoi seguaci, sarà sempre quello sbagliato. Molte grazie, Falecius.
>Davvero ho scritto questo? Non mi pare. "Islam" per chiamare quella religione va benissimo.
Interessante è il taglio metodogico dato all'esposizione: siamo di fronte ad un raro caso di etimologia militante, nel quale la disciplina è usata a modo di clava per sferzare le teste del nemico, che in questo caso sono i giornalisti.
> LOL
Il casus belli è un articolo riguardo ai musulmani del noto professor Sartori, infarcito di un numero tale di errori da dover essere stroncato con successo da chiunque passasse di lì anche per caso.
> Non è difficile ed è divertente. Se sei un nerd, cioè.
La tesi di Falecius è la seguente: i giornalisti lavorano grazie ai soldi pubblici, quindi hanno il dovere di scrivere articoli che veicolino informazioni corrette e veritiere.
> Smentisco di aver mai voluto dire una cosa così drastica. Non pretendo che i giornalisti veicolino "informazioni corrette e veritiere". Pretendo che sappiano di che parlano, che è molto meno.
In pratica, dice Falecius, vi paghiamo con i soldi nostri, fateci la cortesia di sapere l'ABC del tema che andate a trattare.
> Ecco, esatto. Mi sembra ragionevole. Ti pago per darmi informazioni. Ti garantisco per legge il diritto, entro certi limiti, di mentirmi. Abbi almeno il basilare rispetto di farlo con una minima cognizione di causa.
@Tutti
Ho fatto una involontaria omissione e me ne scuso con Tomy e gli altri:
quando parlavo di far causa al giornale, significa che in caso di vittoria quest'ultimo sarebbe stato costretto ad assumermi, o a pagarmi un sostanzioso risarcimento.
Lo davo per scontato parlando con Maltese, ma giustamente gli altri potrebbero non capire.
Sono d'accordo con te sulla responsabilita' del "sistema Italia" di clientelismo & Co, nell
@Davide
Ti consiglio "Fiasco" di Thomas Ricks del Washington Post.
Un resoconto strepitoso sulla devastante idiozia neocon e la totale assenza di piani, che hanno portato alla inutile distruzione dell'Iraq.
Sono d'accordo con te sulla chiamata di correo del sistema clientelare del Belpaese, nell'accesso alla professione.
Errata corrige: "Tommy" e "Malesi"
La fretta....
Posta un commento