D'umanisti e di precari/3

Carrellata semiseria di ricordi di poco conto sui giovani precari, scritta da un giovane quasi precario. Parte terza ed ultima.

Il fatto che i tradizionali studi classico-umanistici non siano più l'educazione privilegiata dalla classe dirigente moderna, insieme al fatto che essi siano stati scelti per essere la zona morta in cui lasciare chiunque aspiri ad una laurea ma non ne abbia le capacità, ha reso la figura dell'umanista la caricatura di sé stessa.

Potendo chiedere ad un campione scelto a caso cosa intendano per “umanista”, ne risulterebbe la descrizione di qualcuno a cui piacciono “i libri”, che ha a che fare con la letteratura e l'arte (ma non un musicista né un pittore), un po' filosofo ma anche no. I contorni sarebbero cioè molto sfumati ed una definizione coerente non si troverebbere. E questa, fateci caso, è anche l'accusa che viene rivolta agli umanisti: di parlare senza conclusione, di dedicarsi ad argomenti fumosi, di non saper fare niente di preciso. Insomma, quasi sempre le accuse contro gli umanisti sono il riflesso della propria ignoranza riguardo all'umanesimo medesimo: io non so di preciso cosa fai, quindi tu non fai niente di preciso.

Dei problemi che affliggono gli studi umanistici abbiamo già ampiamente trattato. In questo contesto parlo di essi così come essi dovrebbero essere, portati avanti a modino e in via del tutto teorica.

Al contrario di quanto affermato dalla vulgata, gli studi umanistici sono tutt'altro che fumisterie a basso prezzo. Ogni disciplina ha un suo preciso campo d'azione, all'interno del quale agisce secondo metodologie razionali fondate su evidenze fattuali, in base alle quali formulare teorie che diano ragione di una determinata realtà. Che si stia parlando di storia, letteratura, filologia, studi linguistici o artistici, non ci si riferisce mai a studi basati su opinioni. Il problema, semmai, è che i fatti su cui si basano non sono di natura oggettiva, ma prodotti dall'uomo e quindi estremamente soggettivi ed incompleti. Ad esempio negli studi storici le fonti più “parlano” e più si rivelano soggettive. Mentre un ostrakon ateniese ci trasmette informazioni tutto sommato oggettive ed affidabili (datazione, nome dell'interessato al procedimento penale eccetera) ci dice poco o niente del processo; per contro, una fonte letteraria che ci spiega dettagliatamente il processo che ha condotto all'ostracismo di un cittadino ateniese, sarà estremamente soggettiva e inaffidabile e dovrà essere vagliata attentamente. E questo vale anche per le altre discipline, in modi diversi a seconda delle peculiarità di ognuna.

Quindi non è la natura degli studi umanistici ad essere soggettiva (come molti credono), ma la natura dell'oggetto degli studi umanistici. Di conseguenza non è vero che essi sono il terreno dell'opinione e della discussione fine a sé stessa.

Un'altra loro caratteristica è la necessità di una continua interazione tra discipline: un bravo umanista deve sapere maneggiare tutte le altre discipline oltre alla propria (pur con un minor grado di specializzazione): non è possibile studiare una disciplina senza metterla in relazione con tutte le altre: storia, letteratura, filosofia... sono strattamente legate e non si può credere di conoscere l'una se non si conoscono le altre. Questo è particolarmente evidente negli studi di antichistica, dove il confine tra le varie materie è talmente sfumato da essere poco più che formale. Un vero antichista passa senza problemi dalla filologia alla filosofia alla storia alla critica letteraria.

Purtroppo in Italia (o forse anche nel resto del mondo, non saprei) l'idea che ci si fa delle materie umanistiche è di stretta derivazione giornalistica. E quindi è chiaro che al lettore medio sembra ovvio pensare che gli studi umanistici siano il regno dell'opinione, perché il suo modello di umanista è un giornalista che scrive le sue opinioni. Una pseudocritica letteraria che recensisce i libri in base a criteri infantili, la storia riscritta in funzione politica e via dicendo sono tutte creazioni giornlistiche che danno l'idea di essere “umaniste”, ma che non hanno niente a che spartire con il vero studio.

È tuttavia chiaro che difficilmente il cittadino medio potrà mai entrare in un'aula universitaria e vedere in cosa consista un vero dibattito storico o letterario o filosofico e quindi, senza possibilità di confrontare, prenderà per buono quello che legge sui giornali.

Altrettanto chiaro è che gli studi umanistici sono riservati a pochi: non a pochi in senso elitario, ma a pochi in senso di “mercato del lavoro”. Poiché con essi è difficile trovare occupazione ci dovrebbe essere una naturale tendenza ad evitarli, al contrario di quello che accade oggi. Sarebbe necessario filtrare e cercare l'eccellenza, anziché distribuire titoli a piene mani. Ma sappiamo che avviene il contrario.

Infine, la domanda che tutti si pongono è “a cosa servono?”. Domanda cui ogni umanista non risponde nemmeno, e cui ogni non-umanista non trova risposta. Credo che siano tre i campi in cui essi sono utili (logicamente è una divisione di massima, anche perché bisognerebbe prima mettersi d'accordo su cosa sia umanistico e cosa no):

1. Lo studio accademico.

2. La formazione di chi vuole lavorare nel mondo dell'arte o dell'intrattenimento. Una solida conoscenza tecnica di quello che è venuto prima è l'unico modo per poter creare qualcosa di nuovo, sia esso un romanzo, un film o un quiz a premi. Perché i film americani fanno miliardi? Perché chi li fa ha studiato Aristotele e Propp.

3. La formazione dei giovani. Le discipline umanistiche sono come la preparazione atletica nello sport. Servono ad allenare il corpo e a prepararlo, per poi lasciare spazio alla specialità vera e propria. Per la loro specificità, esse preparano all'elasticità mentale, alla teorizzazione, all'astrazione, alla capacità di analizzare un dato da diversi punti di vista. È chiaro come sia necessario eliminare l'assurda contrapposizione con le materie “scientifiche” (contrapposizione tutta ideologica e non fattuale) ed anche ripensare il contenuto specifico di ciò che viene insegnato, perché magari sei mesi di Dolce Stil Novo sono troppi anche per lo studente più diligente.

Credo che in un'ottica di serena integrazione con il mondo contemporaneo, le discipline umanistiche abbiano un loro posto di tutto rispetto e abbiano ancora molto da offrire, soprattutto se gli umanisti cominceranno a capire che non siamo più alla corte dei Medici ma in una società che, pur non venerandoli, potrebbe aver ancora molto bisogno di loro.

(Fine)

6 commenti:

Santaruina ha detto...

Sono davvero lucidi questi tuoi scritti, ed utili per chi volesse comprendere le ragioni dell'esistenza degli umanisti.

Per quanto mi riguarda, sono giunto alla conclusione che tutti coloro che hanno avuto una certa istruzione, e mi ci metto anche io, dovrebbero dedicare almeno una preghiera alla sera per ringraziare coloro che raccolgono pomodori nei campi e allevano i maiali.

Specialmente in tempi di "crisi finanziaria globale", penso che siano tra i pochi che fanno un lavoro concreto.
Potrebbe sembrare facile retorica, ma chiunque abbia trascorso 10 ore chinato a raccogliere pomodori sa cosa significhi il lavoro.
Le altre occupazioni sono utili e preziose, ma il lavoro è un'altra cosa.

(Altro punto a favore di chi semina e raccoglie: i contadini potrebbero sopravvivere senza gli umanisti, gli umanisti perirebbero senza contadini)

Detto questo, fatti non fummo per viver come gasparri, quindi ciò che accresce le nostre conoscenze è altrettanto utile.
Placata la fame, è il turno dell'anima.

Unknown ha detto...

Credo che nel mondo in cui viviamo tutte le professioni abbiano pari dignità e pari utilità, più o meno.

Se qualche umanista o "studiato" dovesse avere la spocchia di sentirsi in qualche modo superiore al resto del popolo, merita solo un calcio nei denti.

(e succede. E succede soprattutto a sinistra, quando sentite gli insegnanti progressisti che si lamentano di prendere meno di un idraulico che bastardo vota Lega. Ma non temete: arriverà prima o poi quella domenica pomeriggio di agosto in cui il cesso di qualcuno inizierà ad eruttare perifrastiche passive anziché liquami maleodoranti, e allora chiameranno voi e non l'idraulico e comincerete a fare soldi).

Comunque è vero gli studi umanistici e gli studi in generale sono possibili solo laddove c'è agiatezza economica. Non per niente la gravitazione universale è stata scoperta mentre si cazzeggiava sotto un albero, e non mentre si pascolavano le pecore o si mungevano le mucche.

Attila ha detto...

Sono perfettamente d'accordo con Tommy.

Tutte le professioni hanno una propria dignità, su questo non ci piove.
Per alcune professioni il proprio "lavoro individuale" basta a tirare avanti la carretta, per altre ci vogliono i "clienti", per altre ancora ci vuole un mecenate: che sia lo Stato (utopia: lo stato paghi tutti quelli che vogliono dedicarsi ai propri studi) o il privato, in ogni caso sono pochi che possono permettersi di avere un mecenate, per cui dovrebbero essere pochi a dedicarsi a queste professioni.

Mi spiego: io gestisco proprietà immobiliari, se non ci fossero immobili da gestire nessuno mi pagherebbe per gestire immobili e sarebbe ridicolo che io protestassi contro lo Stato o contro il Privato perchè non ho immobili da gestire.

Prima di iniziare un percorso di studi universitari uno dovrebbe chiedersi: A. Sono adatto a questo tipo di studio?; B. Quali prospettive ci possono essere alla fine del mio percorso?; C. Quanto sono disposto a sacrificare per perseguire il fine del mio percorso? (Cioè sono conscio che potrò trovarmi a fare tutt'altro alla fine del percorso, perchè devo scontrarmi con la realtà? Sono conscio che dovrò spostarmi molto/spesso per perseguire il fine che mi sono proposto? Etc.)

Queste sono le domande che bisogna porsi costantemente quando si pianifica il proprio futuro (qualsiasi percorso di studio si prenda), mettendo in conto che le situazioni cambiano con una certa rapidità, per cui bisogna "adattarsi" costantemente a tutto e questa è la parte più dura.

Cordialità

Attila

Yossarian ha detto...

Mi e' proprio piaciuto Tommy.

Specie questo passaggio:


Le discipline umanistiche sono come la preparazione atletica nello sport. Servono ad allenare il corpo e a prepararlo, per poi lasciare spazio alla specialità vera e propria.


Sono anche d'accordo sulla pari dignita' dei mestieri.

Paolo Bizzarri ha detto...

Post molto interessante. Mi permetto qualche osservazione.

"Purtroppo in Italia (o forse anche nel resto del mondo, non saprei) l'idea che ci si fa delle materie umanistiche è di stretta derivazione giornalistica."

Non è che gli umanisti si sbraccino per modificare questa percezione (ed è esattamente lo stesso problema che hanno i matematici).

"Infine, la domanda che tutti si pongono è “a cosa servono?”."

Beh, qui la risposta è facile: imparare l'applicazione del pensiero razionale a situazioni in cui non siano disponibili metodi matematici.

Nota che questo implica che non esista alcuna reale distinzione fra mondo scientifico e mondo umanistico; entrambi fanno riferimento a procedimenti razionali di creazione della conoscenza.

Solo un'ultima nota:

"Perché i film americani fanno miliardi? Perché chi li fa ha studiato Aristotele e Propp."

No, così è accademia, manca un pezzetto. Oltre ad averli studiati, hanno provato ad applicarli in concreto.

L'impatto con la realtà di qualsiasi studio teorico (dalla matematica alla storia) permette di comprenderne la reale utilità; ma è necessario un processo volontario di applicazione dello studio alla realtà stessa.

Unknown ha detto...

Ciao Paolo

Non è che gli umanisti si sbraccino per modificare questa percezione (ed è esattamente lo stesso problema che hanno i matematici).

Vero, purtroppo gli accademici tendono ad evitare il contatto con il resto del mondo: è un dialogo tra sordi, chi cerca l'umanista da giornale non lo trova, l'umanista serio non va sui giornali.


Nota che questo implica che non esista alcuna reale distinzione fra mondo scientifico e mondo umanistico; entrambi fanno riferimento a procedimenti razionali di creazione della conoscenza.

Concordo, è per questo che ho scritto che la divisione tra discipline “umanistiche” e “scientifiche” è solo ideologica e non una realtà oggettiva.


No, così è accademia, manca un pezzetto. Oltre ad averli studiati, hanno provato ad applicarli in concreto.

Certo, ovviamente intendevo “studiato per metterlo in pratica”, cioè il film è il frutto dello studio accademico.