Un breve rimpatrio di primavera mi ha portato, come sempre, a “dover” spiegare ad amici e parenti come si vive in Germania, cosa c'è di bello e cosa c'è di brutto ed insomma, se ne vale proprio la pena.
Chi mi legge sa che non sono né un fanatico dell'estero mitizzato dove scorrono fiumi di miele e gli alberi danno frutti tutti l'anno, né uno xenofobo che non sopporta niente della cultura che lo sta ospitando. Cerco di essere ragionevole ed onesto, e di approcciarmi alla Germania sine ira et studio: a volte è difficile, a volte è divertente, a volte non ci capisco niente.
Comunque, la prima cosa che si nota qui è che tutto funziona e non avete rotture di scatole. In una giornata tipo, in cui si prendono i mezzi, si va per uffici, si espletano pratiche di vario genere, tutto fila liscio. Non fraintendetemi: non c'è meno burocrazia che in Italia, anzi, ma è organizzata in maniera tale che se ne può uscire indenni; non ci sono meno persone in metro, ma il sistema dei trasporti è tale per cui si arriva sempre dove si vuole arrivare; il traffico c'è, ma non mina la salute mentale; i parcheggi vanno cercati, ma alla fine si trovano; le file alla posta si fanno, ma non durano ore, durano qualche minuto. E via discorrendo. Non è il paradiso, è solo un posto organizzato secondo un sistema ragionevole.
A fare da contraltare o – meglio – da corollario a questa situazione sta tutto il resto dell'organizzazione sociale, quello che non si nota subito e che bisogna vivere per conoscere. Come chiunque che abbia lavorato con i tedeschi vi potrà dire, la famosa efficienza tedesca non esiste. È un'idea che un po' si sono costruiti loro, un po' gli abbiamo attribuito noi, ma non ha corrispettivo nella realtà: il lavoro qui in Germania è altamente inefficiente. Non è facile accorgersene, perché l'inefficienza è compensata dalle grandi risorse a disposizione ma, standoci vicino tutti i giorni, si percepisce chiaramente. Gli stessi lavoratori hanno dei ritmi di produzione bassissimi e questo a volte può portare all'esasperazione.
Avere un settore privato inefficiente, alla lunga, non crea meno disagi di un settore pubblico inefficiente. Perdite di tempo e lungaggini sono all'ordine del giorno.
Per fare un esempio recente, ho dovuto portare la macchina dal meccanico. Concessionaria ufficiale della marca, in una delle più importanti città europee. Orario di chiusura: ore 18. Il giorno in cui era pronta, intorno alle 17 mi chiamano sul cellulare qualcosa come 5 volte. Solo che io, per motivi di riservatezza, non posso portarmi il cellulare in ufficio e quindi non potevo rispondere. Comunque quel giorno ho lavorato fino alle 18, quindi alle 18 e due minuti chiamo la concessionaria ma non risponde nessuno. Giorno dopo. Esco alle 17 dal lavoro e prendo i mezzi. All'unico cambio manco il tram di un pelo e così arrivo alla concessionaria alle 18:04. Tutto chiuso. E con chiuso, non intendo che hanno dato un giro di chiave alla porta d'ingresso. Intendo che l'edificio è vuoto, non c'è una luce accesa, nessun impiegato e nemmeno una donna delle pulizie che svuota i cestini. Praticamente hanno evacuato. Il che spiega perché il giorno prima nessuno rispondesse alle mie chiamate. E così ho mestamente ripreso i mezzi e sono arrivato a casa intorno alle 7: due ore spese inutilmente tra tram e metro perché la tipa che sta alla cassa alle 18 e un minuto già sgambettava garrula per strada. Se li conosco come li conosco, alle 17 – quando mi hanno chiamato – probabilmente hanno smesso di lavorare ed hanno iniziato a prepararsi; alle 17:45 erano con la giacca sulle spalle; alle 17:59 erano col dito sull'interruttore della luce; alle 18 sono scattati fuori.
Non credo ci sia bisogno di sottolineare che il problema non è stato risolto, perché da gente che alle 18:01 non risponde al telefono non ci si può aspettare che lavori bene. E così io sono rimasto senza macchina per due giorni in più del previsto, a causa loro ho passato tre ore buone sui mezzi, e alla fine mi sono tenuto il guasto (anche se, per amore di verità, devo dire che mentre scrivevo questo post mi ha chiamato una specie di servizio per la soddisfazione del cliente, al quale ho spiegato la situazione e che mi ha detto che mi contatteranno più avanti per risolvere ogni questione).
Volete un altro esempio? Recentemente ho cambiato lavoro e sono passato dall'azienda internazionale leader del settore ad una realtà più piccola e decisamente indigena. Se prima vedevo risorse sprecate a causa del gigantismo, ora mi pare di essere al circo. L'altro giorno avevamo una adunata generale alle 17. Il giorno prima ci era stato mandato l'avviso via Outlook e la mattina per sicurezza uno dei due proprietari aveva girato tra i banchi ad annunciare la lieta novella. Orbene. Alle 16:30 tutti i tedeschi (cioè circa il 95% della forza lavoro) si sono alzati e hanno cominciato a “prepararsi per la riunione”. Siamo tre italiani lì e tutti e tre stavamo continuando tranquillamente il nostro lavoro, visto che avevamo ancora mezz'ora da lavorare. A quel punto i tedeschi hanno cominciato a non capire: uno alla volta sono venuti a ricordarci che mezz'ora dopo c'era una riunione e che quindi era il caso di spegnare il computer. Abbiamo tentato di spiegargli che – appunto – c'era ancora mezz'ora da lavorare; poi, siccome proprio non capivano, abbiamo cominciato a ridere. Così adesso quando incontrare un italiano in azienda la prima cosa che vi dirà è che 'c'è un meeting alle 5' e vi riderà in faccia. Certamente raccontata così sembra simpatica, ma immaginate di essere il cliente della nostra azienda che paga profumatamente il tempo che quei lavoratori hanno usato per “prepararsi alla riunione”. Immaginate questa mentalità su scala nazionale. E ora immaginate di essere voi i clienti e di pagare con i vostri pochi risparmi l'inefficienza altrui. Vi stanno girando le balle, eh?
L'altra componente della Germania di cui devo sempre parlare è il mitico sistema assistenziale e previdenziale. La prima cosa da dire è che in Italia si hanno in mente le politiche sociali della RFT di trent'anni fa. A quel tempo, il cosiddetto welfare state era un'enorme distributore di agi e ricchezza e quello è rimasto in mente agli italiani (e ai tedeschi). Stranamente, quando lo Stato organizza banchetti pantagruelici in cui tutti mangiano senza pagare in contanti al momento della consumazione, esiste un meccanismo sociale che fa dimenticare la domanda fondamentale: ma se io mangio e non pago, chi paga? Com'è noto, non pensare al problema non risolve il problema, ed infatti alla fine il conto è arrivato ed il mitico welfare state tedesco è diventato all'incirca questo: voi non ricevete trattamenti sanitari, ma usufruite di un'assicurazione sanitaria privata che pagate di tasca vostra, mentre il sistema nel suo complesso è gestito dallo Stato federale, generando miliardi di euro di debiti; soldi per le pensioni non ce ne sono più e il governo vi incentiva a sottoscrivere una pensione privata; l'università gratuita genera schiere di laureati che non riescono a trovare posto; eccetera eccetera. Non suona tutto così familiare?
L'altro grande pilastro del sistema assistenziale tedesco è il cosiddetto Hartz IV, cioè il sistema di sostegno ai disoccupati. L'obiettivo dell'Hartz IV è quello di fornire a tutti i cittadini senza lavoro le condizioni di vita ritenute basilari ed imprescindibili. In pratica significa che lo Stato può arrivare a darvi un appartamento nuovo, completamente arredato, con gli elettrodomestici e la televisione a prezzi stracciati, oltre al sussidio di disoccupazione vero e proprio. A questo si vanno poi ad aggiungere il Kindergeld, cioè un sussidio che lo Stato fornisce a tutti i genitori, e altre varie forme di sussidio che in verità non conosco nei particolari.
Se tutto questo può sembrare cosa buona e giusta, è solo perché nessuno si chiede ma se io mangio e non pago, chi paga? Perché l'Hartz IV sta scavando buchi nel bilancio di cui prima o poi bisognerà rendere conto e quando quel momento arriverà saranno grossi dolori. Inoltre, se agli ingegneri sociali regalare casa e soldi ai “poveri” può sembrare un'ottima idea, chi vive nel mondo reale ne vede gli effetti e non sono affatto belli. Non troppo stranamente le politiche assistenzialiste tedesche stanno portando al disastro gli strati sociali più poveri. Ormai si è diffusa la mentalità per cui è meglio vivere di sussidi che lavorare. Il che a suo modo è anche vero: da un lato fare un lavoro pagato poco e dover lottare con le bollette, dall'altro avere la casa gratis, i mobili gratis, la televisone gratis, il sussidio di disoccupazione e tutta la giornata libera a disposizione... chi sceglierebbe la prima opzione? Solo che così è venuto a mancare ogni stimolo per le classi sociali più svantaggiate a cercare una vita migliore. E non solo tra i tedeschi, ma anche tra gli immigrati, soprattutto le etnie più a lungo radicate, turchi e italiani in testa.
Inoltre, questo assistenzialismo spinto sta trasformando le giovani generazioni in generazioni di stupidi. Non me lo sto inventando io, è un problema di cui si dibatte pubblicamente. I giovani provenienti dalle fasce di popolazione destinatarie delle politiche assistenziali, alla fine della scuola dell'obbligo non sono in grado di accedere ad una forma di avviamento professionale che permetta loro di trovare un lavoro. Ciò è dovuto al fatto che in Germania anche per il lavoro meno qualificato è richiesta una Ausbildung, un percorso formativo certificato che prevede teoria e pratica e che dura due/tre anni. Così gli adolescenti che dovrebbero ricevere questa formazione semplicemente non ci riescono, perché non hanno sufficienti capacità e conoscenze per farlo. E d'altronde non hanno nessuno stimolo a darsi da fare: perché faticare tre anni per un lavoro quando si può stare a casa a non far niente e venire pure pagati per farlo? E così è un cane che si morde la coda: quegli adolescenti saranno destinati per sempre a vivere di sussidi (perché non è che a 25/30 anni, senza educazione e senza esperienza di lavoro qualcuno ti prende) e così i loro figli. Ormai si parla di famiglie che sono arrivate alla terza generazione vivendo solo di sussidi.
Poi figliano per avere il Kindergeld, e così si possono vedere tutti questi bambini che crescono in famiglie che di loro se ne infischiano. Bambini che imparano tardissimo a parlare, nutriti con cibo spazzatura, circondati da adulti ubriachi che non fanno niente tutto il giorno. E purtroppo destinati ad alimentare a loro volta il ciclo.
La scorsa settimana ho conosciuto una di queste ragazze. 22 anni, un bambino di due e mezzo. A vent'anni era assieme ad un mezzo delinquente con cui ha fatto un figlio, probabilmente più per ignoranza che per prendere il sussidio, poi il tipo è sparito e l'ha lasciata sola col fantolino. Così le spetta di diritto una casa con due camere da letto, completamente ammobiliata e pagata dallo Stato, che è più di quello che due giovani lavoratori che vivono insieme possono aspettarsi. A me non interessa il caso particolare, ma il fatto che quella ragazza non solo ha avuto l'irresponsabilità di mettere al mondo un figlio, non solo non ha pagato per il suo sbaglio, ma si trova a vivere meglio di chi nella vita non ha fatto cazzate, si alza tutte le mattine per andare al lavoro e a fine mese ha l'affitto da pagare.
In maniera diversa, questa mentalità sta attecchendo anche nelle fasce più istruite di popolazione: l'università gratuita imbarca sempre più gente che si iscrive solo per mantenere lo status di studente, avere l'assicurazione sanitaria pagata e fare la bella vita a spese del contribuente. Salvo poi manifestare che il capitalismo turboliberalista sta tagliando i fondi per l'istruzione. Poi, alla fine degli studi, hanno il coraggio di definirsi “disoccupati” e di ricorrere all'Hartz IV, perché il ragionamento che fanno è “se qualsiasi turco arrivato l'altro ieri può mantenere la sua famiglia senza lavorare, perché non dovrei farlo anche io?”
Non ho statistiche a riguardo, ma credo che l'analfabetismo di ritorno sia una realtà abbastanza importante; i figli di immigrati, magari di terza o quarta generazione, ancora non parlano il tedesco; è un fatto noto, per esempio, che i figli di italiani non vanno a scuola dopo l'obbligo e figuriamoci all'università.
È evidente che il sistema del welfare tedesco è un obbrobrio, partorito da qualche ingegnere sociale sulle cui buone intenzioni non metto la mano sul fuoco, che si ritorce proprio contro quelli che si vanta di proteggere. E che gli ingegneri sociali preposti al meccanismo siano incapaci o in malafede si capisce subito dai dibattiti in tv, quando – messi di fronte al fatto compiuto, innegabile, che i ragazzi mandati obbligatoriamente a scuola per 15 anni ne escono più stupidi di quando sono entrati – cominciano a blaterare che è colpa della televisione, dei realitisciò, che i giovani ormai pensano solo a diventare divi del Grande Fratello e che bisogna fare di più per loro, più scuola, più aiuti, più politiche di sostegno, più governo, più Stato.
Poi, quando i soldi finiranno e schiere di poveri non sapranno come mettere insieme il pranzo con la cena, arriverà qualche bravo caporale a dire che la colpa è del turboliberismo anglosassone che con le sue banche e i suoi speculatori li sta affamando apposta (per divertimento) e che è ora che lo Stato faccia qualcosa, che si riprenda la sovranità, che stampi moneta in proprio e chissà quali altre amenità si inventeranno per tenersi la gente dalla propria part