Tra le difficoltà che ho incontrato vivendo qui in Germania una delle più sottili da riconoscere è quella comunicativa. Non ce ne accorgiamo, ma noi italiani comunichiamo attaverso un linguaggio molto complesso e ricco di sfumature.
Una frase può cambiare di significato il base al tono con cui viene espressa, in relazione alle espressioni facciali, ai movimenti del corpo. Facciamo, nella lingua parlata, ampio uso di iperboli, di doppi sensi, di ambiguità semantiche e di ironia al punto che ci si può permettere di usare parole offensive in senso affettuoso.
Anche se a star zitti non si sbaglia mai. |
In Germania, ma da quel posso dire per esperienza, anche in Olanda, Scandinavia, la fascia nordica dell'Europa, l'uso della lingua è più letterale, e non c'è molto spazio per l'ambiguità. A significa A e difficilmente esistono funzioni non verbali che possano alterarne il significato.
Quando questi due mondi comunicativi entrano in contatto insorgono le difficoltà. Se ad esempio alla richiesta di ragioni l'italiano risponde con l'eloquentissimo “eeeeh” che significa “cosa ci vuoi fare? Son cose più grandi di me... solo Iddio ha la verità: che te lo dico a fare, che tanto siamo tutti impotenti di fronte alla morte?”, l'interlocutore rimarrà educatamente in attesa per giorni della risposta, perché “eeeeeh” non è una parola, non ha alcun significato e quindi magari un semplice “non so” sarebbe stato meglio. Solo che non “non so” non è la vera risposta, perché “non so” attribuisce a chi lo esprime una qualche responsabilità che invece “eeeeh” rimuove totalmente.
Le situazioni più difficili sono quelle in cui l'italiano ricorre all'artificio retorico di dire A per indicare il contrario di A; l'ironia, che si fonda sulla condivisione dei parlanti di una serie di segnali esterni a lessico. Ora che ci penso, è una cosa che non ho mai sentito da uno straniero, mentre con i colleghi italiani, per farci due risate, capita spesso di fare discorsi di questo tipo.
I tedeschi non comprendono che "Alleanza" non significa sempre alleanza. |
L'altra sera eravamo alla cena di Natale con l'azienda. Un paio di nordici hanno cominciato a lanciare commenti offensivi nei riguardi della cameriera che serviva al nostro tavolo. Secondo loro era stupida e scema, perché gli ordini non arrivavano con sufficiente velocità. Sapete, il ristorante era completamente vuoto, c'eravamo solo noi, quindi se la mia birra non arriva entro un minuto dall'ordine vuol dire che la cameriera è stupida. Non incapace sul lavoro, non imbranata. Stupida.
Infastidito, ho provato a buttarla in ridere, dicendo ammiccante che in fondo non è certo per il cervello che le donne ci piacciono, no? Il collega nordico (non tedesco) mi risponde tutto serio “allora la tua ragazza è stupida?”
Qui il processo è interessante. Primo, non sono riusciti a comprendere che con quella frase non affermavo il suo senso letterale. Dal loro punto di vista, era sì una battuta, ma di un maschilista che pensa che le donne siano stupide. Secondo, una battuta fintamente sessista provoca imbarazzo, perché non si può dire “donna stupida” in pubblico, mentre è lecito dare della stupida ad una cameriera solo perché sta facendo il suo lavoro in un ristorante pieno di gente e non passa tutta la sera a chiedere a te povera stellina quanti cubetti di ghiaccio vuoi nel bicchiere (cosa che non sarebbe successa se il cameriere fosse stato maschio, ci scommetto la cistifellea).
In questo caso è stata colpa mia, perché avrei dovuto sapere che quella è la reazione standard alle battute. Il mio consiglio è di ricordare che quando si parla con i nordici si deve dire tutto attraverso frasi non ambigue, prive di domande retoriche, senza ricorrere al linguaggio del corpo e agli ammiccamenti del tono di voce.
Non ricorrete mai agli “eeeeh”, ai “capisc' a me”, agli occhiolini tipo “ci siamo capiti”. Sia il vostro parlare sì sì, no no. Il di più viene dal maligno.
(soprattutto, sperate che la ditta organizzi la cena di Natale in un ristorante meno a buon mercato, così non ci saranno problemi con le cameriere troppo indaffarate)