Da quando qualcuno ha avuto la rivoluzionaria idea di concepire lo Stato come un distributore di servizi e un redistributore di ricchezza, il mondo occidentale ha intrapreso senza indugio quella strada. A fare scuola sono stati Mussolini, Roosevelt, Hitler e Stalin e non ci voleva un genio per capire dove saremmo andati a finire.
In Italia lo Stato dalla culla alla tomba opera attraverso canali informali o apertamente illegali, attraverso la distribuzione di favori, appalti, posti di lavoro e lasciando alla famiglia una grossa parte del lavoro. Tutte cose che sappiamo.
Nel nord Europa invece lo Stato fa le stesse cose, ma sotto il mantello della legalità e delle buone apparenze. Quello che da noi succede nelle zone d'ombra o nella illegalità, lì è sancito ufficialmente. In più, lo Stato agisce anche tramite l'assistenzialismo mascherato, ovverosia creando lavori e figure professionali dal niente. Costoro hanno sicuramente un aspetto più elegante e profumato del falso invalido che vince il concorso truccato per entrare alle Poste, ma il principio è lo stesso.
Conosco persone che lavorano come dirigenti in tutta una serie di mercati artificiali dai nomi esotici come “cooperazione internazionale” o “sostegno al microcredito”; conosco ingegneri che vivono studiando, pagati dalle università, i possibili effetti idrogeologici del riscaldamento globale. Conosco gente che viene pagata per lavorare in associazioni antimperialiste e anticapitaliste. Senza contare gli innumerevoli Ph.D. di cui si sente parlare anche nei giornali italiani. E non dimentichiamo interi settori, come quello automobilistico, tenuti in vita ben oltre l'accanimento terapeutico.
Tutti lavori che non esisterebbero se non ci fosse lo Stato a crearli. Poi però bisogna anche pagarli, in qualche modo. E chi paga? Gli altri, quelli che lavorano nel mercato, meglio noto come “mondo reale”. Ma l'assistenzialismo è una droga: provoca dipendenza ed assuefazione, così bisogna averne sempre e sempre di più.
La situazione ormai sta andando fuori controllo e bisogna pagare, qualcuno deve pagare. Sempre quelli che lavorano nel mondo reale. Parliamo della Germania. Contrariamente a quanto si legge sui giornali, anche nel nord Europa c'è gente che lavora senza essere dirigente; persone e famiglie che hanno lavori normali e stipendi normali. Per queste persone non c'è nessuna assistenza particolare. Un lavoro normalmente pagato mette il lavoratore nella fascia di reddito appena superiore al limite minimo per non essere considerato legalmente povero e ciò preclude l'accesso agli aiuti fiscali e assistenziali. In questo modo una famiglia con due redditi si trova ad affrontare la tassazione completa, a dover pagare l'affitto, a dover pagare tutte le imposte dirette ed indirette, le bollette e così via.
Dunque, mentre una famiglia normale deve stare attenta a come vive, un numero sempre crescente di disoccupati mantiene lo stesso tenore di vita di quella famiglia senza lavorare, perché lo Stato fornisce un sussidio di disoccupazione che non è altissimo, ma viene integrato fornendo una serie di servizi ritenuti fondamentali per la dignità umana, come l'affitto, i mobili, le bollette e la televisione digitale (eh già: Berlusconi avrà anche finanziato i decoder con i soldi pubblici, ma in Germania hanno dichiarato la tv digitale un bene di primaria importanza e hanno pagato la televisione nuova a un sacco di gente con i soldi pubblici). Fino a ieri 27 settembre il sussidio di disoccupazione copriva anche sigarette ed alcol.
Dall'esterno potrebbe sembrare una semplice questione di principio, ma nel mondo reale non è così. Nel mondo reale, chi vive di sussidi entra in diretta competizione con la famiglia normale ed è avvantaggiato sotto molti aspetti. Per esempio, se non siete ricchi e cercate un appartamento in affitto sarà difficilissimo trovarne uno decente, perché i padroni di casa preferiscono affittare a chi vive di assistenzalismo: in quel caso paga lo Stato e loro sono sicuri di avere ogni mese i soldi. Il lavoratore normale invece porta con sé un rischio che, per quanto ridotto, è sempre maggiore dell'assenza di rischio garantita dallo Stato.
Se per caso siete una giovane coppia che ha deciso di fare le cose per bene, di progettare seriamente il futuro, di crearsi una certa sicurezza economica e fare figli al momento che riterrete opportuno, non riceverete nessun aiuto dallo Stato, dovrete arrangiarvi a trovare un asilo nido, la mamma dovrà sperare che il datore di lavoro la riprenda dopo la maternità e tutte quelle che cose che secondo i giornali italiani non succedono in Germania. Se invece non siete capaci di far niente, non avete voglia di lavorare, passate il vostro tempo libero a ubriacarvi e fate figli perché troppo ignoranti per sapere come evitarli, allora lo Stato vi aiuta in tutti i modi, fornendovi soldi, vitto, alloggio, assistenza sanitaria, asili nido e tutto il resto.
L'assistenza sanitaria è quasi al capolinea. Per ogni persona che paga, ce ne sono sette che ricevono le prestazioni gratuitamente. Vuol dire che un lavoratore che paga l'assicurazione sanitaria regolarmente, quell'unica volta che va dal dottore rischia seriamente di trovare chiuso perché il dottore lavora solo entro un certo budget mensile di spesa rimborsato dall'assicurazione, oppure trova il dottore, paga ancora 10 euro e si sente dire che non ha niente. Contemporaneamente ci sono 7 persone che invece dal medico ci vanno chissà quante volte al mese, tanto per loro paga quel lavoratore.
Qualcuno penserà che comunque è giusto, perché i ricchi partecipano alle spese per i poveri. Ovviamente no. I ricchi hanno le loro assicurazioni sanitarie che funzionano in maniera diversa, dove ognuno paga per sé. In quella che viene creduta la patria dell'assistenza sociale, chi può permetterselo ha una sanità separata dal resto della popolazione, esattamente come in Italia.
Ci poi sono un sacco di piccole spese che però sommate a fine anno pesano. Per dire, il canone TV costa 215 euro all'anno, in più c'è una gabella sul cavo della TV, che ne costa 216. Fanno 430 euro all'anno che si è obbligati a pagare al solo scopo di dare lo stipendio ad un baraccone che nessuno vuole, perché in Germania come in Italia come ovunque nessuno pagherebbe un soldo di cacio per tenere in piedi le tv di Stato. Ma ovviamente solo se lavorate, perché se non avete un lavoro non solo lo Stato non vi fa pagare queste gabelle, ma addirittura si è premurato di fornirvi un apparecchio per il digitale terrestre al momento del cambio.
Da queste parti c'è l'idea che gli studenti non debbano pagare niente o, al massimo, una cifra simbolica. Teatri, cinema, mezzi pubblici devono essere gratuiti per gli studenti. Un universitario che già si prende i soldi dal governo, ha l'alloggio a prezzi ridicoli (quando non gratis) può andare in giro 365 giorni all'anno sui mezzi a spese dei contribuenti, mentre un coetaneo che lavora con uno stipendio di ingresso può facilmente arrivare a pagare più di 1000 euro all'anno di mezzi. Mentre in Italia il passaggio da studente a lavoratore di solito significa un miglioramento del tenore di vita, qui in Germania spesso è il contrario: lavorare permette uno stile di vita inferiore che studiare, tranne nel caso di posti di lavoro statali o posti di lavoro altamente retribuiti, che però significano 60/70 ore di lavoro alla settimana, oppure trasferte 6 giorni su 7.
Le pensioni sono ormai un sogno. Il lavoratore di oggi deve pagare le pensioni che vengono erogate oggi, mentre deve pagare anche la propria pensione di domani (sempre che sia abbastanza accorto da farlo, e che sappia rinunciare a qualcosa da giovane per non morire di fame da vecchio).
È evidente che non si tratta di una guerra tra poveri, se per poveri intendiamo quelli realmente poveri. È una guerra tra una parte di popolazione che prende i soldi e l'altra che deve fornire i soldi. È una guerra di attrito non dichiarata, ma soprattutto una guerra in cui i soldati non sanno di essere in prima linea. L'unica cosa che sanno è che la qualità della vita scende, lentamente ma inesorabilmente. Ma senza una visione d'insieme, non sanno cosa pensare.
In questo quadro non si è parlato di un fattore: l'immigrazione. Quando i primi sintomi di crisi d'astinenza indotta dall'assistenzialismo si sono fatti sentire, i pianificatori sociali – anziché interpretarli come tali – hanno preferito assecondarli ed hanno pensato “ma perché non chiamiamo un po' di negri a lavorare per noi, che tanto quelli campano con un piatto di riso al giorno e ci mantengono i nostri pensionati e il nostro ospedale?” Solo che non è andata proprio così, perché gli immigrati, arrivati in Paesi drogati di assistenzialismo, ci sono caduti anche loro.
Come i disoccupati italiani vanno in Europa a sfruttare i Ph.D., allo stesso modo gli immigrati sfruttano i sussidi di disoccupazione e vivono nelle pieghe del sistema. E perché non dovrebbero? È legale, non l'hanno nemmeno chiesto, c'è e si prende. Qualcuno si fa forse scrupoli a prendere un dottorato in Germania pagato dal contribuente tedesco perché in Italia non trova lavoro? No, mica è illegale... lo offrono loro, non lo pretende il laureato. In Germania gli immigrati si sono integrati perfettamente, campando alle spalle del contribuente al pari di milioni di tedeschi.
La coperta però si sta accorciando e il contribuente comincia a sentire fresco ai piedi. E se la prende con gli immigrati che vivono di sussidi e non lavorano. Perché se la prende con loro? Perché è razzista? No. Perché è cattivo? No. Non per questo, ma per una serie di ragioni.
Primo, l'immigrato è diverso alla vista, non si confonde, soprattutto se la pelle è di tonalità scura. Secondo, vivere con il sussidio è una forma diretta e facilmente identificabile di assistenzialismo. Terzo, i media si chiedono sempre se sia giusto o meno alzare o abbassare i sussidi ai disoccupati e agli immigrati.
Invece un tedesco che di lavoro fa il manager per un'azienda automobilistica non viene considerato come una persona che percepisce uno dei più alti sussidi di disoccupazione esistenti, ma come una persona realizzata da ammirare e da invidiare. Inoltre, i media parlano degli incentivi statali al settore automobilistico come di un aiuto all'economia e al benessere dei lavoratori.
Mentre concettualmente non c'è differenza tra il disoccupato turco che vive di sussidi ed il dirigente tedesco che vive di sovvenzioni, sul piano della percezione l'immigrato diventa la causa di tutti i problemi, mentre il dirigente non viene nemmeno considerato. Tanto è vero che un politico tedesco, cioè chi per antonomasia vive alle spalle dei contribuenti e non crea nulla di produttivo per il Paese, può scrivere un libro in cui accusa gli immigrati di vivere alle spalle dei contribuenti e di non creare nulla di produttivo per il Paese e nessuno gli ride in faccia. È come se Riina scrivesse un libro in cui accusa Provenzano di essere mafioso: non che sia falso, per carità, ma insomma...
Credendo di poter salvare il salvabile, vogliono togliere a quelli che considerano più deboli per non rimanere senza. Credono che gli immigrati siano la causa dei problemi, anziché una delle conseguenze; pensano di essere diversi solo perché hanno la macchina nuova comprata a rate invece di una vecchia comprata in contanti; appena non sono loro i beneficiari dei sussidi, scoprono quanto ingiusti ed antieconomici siano. E qualche partito di destra prende i loro voti.
Sta succedendo esattamente quello che è successo con la Lega in Italia: a parole ce l'avevano con Roma ladrona, con i terroni, con i musulmani; nei fatti, l'unica cosa che hanno fatto è stata mettere le mani sui soldi del contribuente e cercare di arraffarne quanti più possibile. Probabilmente è la fine cui è destinata l'ondata xenofoba e razzista che sta travolgendo l'Europa: suggere alla mammella pubblica e fare di tutto perché altri non facciano lo stesso. E intanto i quotidiani hanno materia da isteria un tanto al chilo.