Crolli e mammuth

Scrivo questo post in fretta perché tra poco crolla il mondo come lo conosciamo e da domani sarò costretto a cacciare antilopi per sfamare la mia tribù.

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Se avessi pubblicato un incipit del genere qualche anno fa, sicuramente sarebbe stato interpretato come un divertissement o, dai più seriosi, come la prima riga dell'ennesimo romanzo distopico. Oggi il rischio è che in troppi mi prendano sul serio. Il più diffuso argomento di discussione da bar di questi mesi – la crisi economica – sta convertendo al millenarismo un numero elevatissimo di persone (a proposito, si sono già stancati tutti dell'Iran? Gli ultimi rumour lo davano in procinto di annientare l'imperialismo yankee). Non saprei spiegarmi del tutto questo atteggiamento, ma una qualche ragione credo di averla individuata.

Do per inteso che non sto scrivendo di chi si interessa della crisi economica e dei suoi riflessi sociali e politici, ma di chi propone profondissime analisi del tipo “l'impero americano sta crollando, esattamente come è crollato l'impero romano” oppure “siamo al capolinea, fra qualche settimana torneremo a vivere nelle caverne e a cacciare mammuth. Ma i mammuth si sono estinti. Ommioddio senza cibo moriremo tutti!”

Perché così tante persone credono che a breve tutto finirà? Da dove traggono l'idea? In parte credo l'abbiano imparato a scuola; più precisamente, durante le ore di storia. Facciamo uno sforzo di memoria. C'era l'uomo primitivo, poi ha scoperto l'agricoltura e ha fondato l'impero assiro-babilonese. Poi l'impero assiro-babilonese è crollato, avanti veloce, impero egizio. Avanti veloce, in Grecia nascono le polis. Arriva l'impero persiano (ma quando l'hanno fondato quello, che non c'è scritto nel libro?) ma Atene lo sconfigge e crea il suo piccolo impero anche lei. Avanti ancora, l'impero ateniese crolla. Arriva Alessandro Magno, che crea l'impero di Alessandro Magno, che poi crolla. Avanti veloce, arrivano i romani, che fanno l'impero. Che poi crolla.

Questo è quello che – fino a poco tempo fa – si imparava di storia tra gli 8 e i 9 anni. Capite che se ad un bambino di 8 anni insegnate una cosa del genere (che è anche parecchio truculenta, se ci pensate) non ci sarà verso di togliergliela dalla testa. Si chiama imprinting, ed è irreversibile. E' naturale che anni più tardi, quando sentirà nominare l'impero britannico – crollato! – o l'impero americano – crollato! – non potrà che operare secondo l'ovvio sillogismo: tutti gli imperi sono crollati, l'impero americano è un impero, l'America (e noi con lei, che siamo il suo impero) crollerà. E non abbiamo nemmeno un mammuth da cacciare.

C'è un unico problema però. Che nessun impero, nessuna organizzazione sociale è mai “crollata”. La parola “crollo” implica una caduta repentina, una distruzione totale, un avvenimento talmente veloce da essere appena appena percepibile con i sensi. Ma niente di tutto questo è veramente avvenuto. Vi propongo solo un esempio tra i possibili: quello della città-stato greca, la polis.

Chiunque abbia studiato storia antica, anche ad un livello discreto (intendo dire liceo classico seguito da una facoltà umanistica non specializzata in storia antica), sa benissimo che la polis, come struttura politico-sociale, crolla nel 338 a.C. con la battaglia di Cheronea, quando la Grecia entra a far parte del regno macedone e quindi dell'impero di Alessandro, per poi confluire nel periodo ellenistico, dove una serie di regni governati da elite greche hanno portato avanti la loro routine di guerre, invasioni e controinvasioni, fino all'assorbimento da parte della Repubblica romana. Questa è la vulgata riguardo la storia greca e vi sfido a metterla in discussione... Ah no, è vero, ero io che volevo metterla in discussione. Va bene. Allora facciamo i conti della serva.

Le polis crollano nel 338 a.C. Vediamo... quando è stata abrogata la costituzione di Atene? I libri dicono 86 a.C. No, ci deve essere uno sbaglio... eppure... no no, è proprio l'86, circa 250 anni dopo quello che insegnano a scuola. E cosa è successo in quel periodo? Eh, un sacco di cose.

Dopo che Alessandro Magno è morto, le polis facevano parte dei cosiddetti regni ellenistici (l'Egitto era uno di questi ed è finito ufficialmente per mano di Ottaviano Augusto: lo dico per quelli che si sono sempre chiesti che fine avesse fatto una volta terminate le piramidi, visto che non ne parla mai nessuno). Io dei regni ellenistici non ho mai capito niente. E' uno dei periodi storici più complicati in assoluto: è un continuo inseguirsi di alleanze, matrimoni, guerre, invasioni e annessioni che al confronto la lista dei governi della Prima Repubblica e relative maggioranze parlamentari è una poesia di Ungaretti. In pratica cosa succede? Che di volta in volta i sovrani ellenistici devono trovare nelle varie polis degli alleati da mobilitare per l'ennesima guerra contro gli altri sovrani. Alla fine della guerra, di solito il sovrano vincitore proclamava le polis passate dalla sua parte libere e contemporaneamente le annetteva al proprio regno. E' la prima forma attestata di bispensiero. Comunque, l'importante è capire che all'epoca tutti quanti ragionavano in termini di polis, le alleanze si stringevano con le polis e si punivano le polis nemiche. Quindi la tesi che le polis crollino nel 338 a.C. non sta in piedi.

Ok, vuol dire che la polis non è crollata nel 338, sarà crollata più avanti, no? Vediamo...

Come dicevamo, i regni ellenistici vanno avanti per un po' così. Intanto nella parte meno civilizzata d'Italia è emersa un'altra città-stato, Roma, che zitta zitta si è allargata verso il mondo greco, prendendo il controllo di una sua grossa parte, il sud Italia e la Sicilia. Poi, siccome in Grecia avevano già inventato la storia, la filosofia, la letteratura, il teatro, l'architettura, la medicina e la pederastia, ai romani non è rimasto altro da fare che muovere guerra alla più ricca e potente città dell'epoca: Cartagine. Poi, è successo quello che capita a tutti: dopo essere venuti alle mani con il più grosso attacabrighe del paese, dopo averle prese di santa ragione ed essere riusciti infine a ucciderlo, mozzargli la testa, aprirgli l'addome, estrarne gli organi e mangiarli ancora caldi, vi girate, con il volto coperto di sangue e le mani che reggono l'intestino dell'avversario, verso quelli che guardano e ghignate nel più sadico dei modi, come per dire “su, chi è il prossimo?”; così ha fatto Roma dopo aver finito la seconda guerra punica: si è girata verso est, esattamente con quel ghigno grondante sangue. Alcune polis, che continuavano a dover fare alleanze e controalleanze per non essere distrutte ogni due anni da un sovrano diverso, vedendo Roma lì a ovest, l'hanno chiamata a dar loro una mano, facendo leva sul fatto che alcuni sovrani ellenistici avevano dato man forte a Cartagine (avete presente gli amici del bulletto che da dietro vi tirano calci sulle gambe mentre voi siete impegnai col bulletto?). Roma non vede l'ora e alla fine vince. Siamo nel 196 a.C. e Tito Q. Flaminino, il console che ha combattuto in Grecia, proclama le polis libere, stringe i suoi accordi di pace e se ne va. Le polis sono contente e sono libere (sono passati 142 anni dal crollo delle polis, ma tutti fanno finta di niente). Ora, Roma aveva molti pregi, ma non è mai stata famosa per aver liberato qualcuno. Però siccome in Grecia non insegnavano storia romana, le polis non lo sapevano e si sono fidate, creature. E così, nei successivi 50 anni, si sono trovate per ben due volte a dover scegliere da che parte stare nella guerra tra Roma e Macedonia. Poiché avevano interpretato la proclamazione di libertà del 196 nel senso di essere “libere di fare quello che volevano”, alcune delle polis scelsero la parte sbagliata del conflitto, cioè la Macedonia. Quando Roma vinse, si scoprì che “libere” significava più che altro “libere di stare sempre e comunque dalla parte di chi le aveva proclamate libere”, che non è neanche sbagliato come concetto.

Nel 146 a.C Roma distrugge Corinto, mentre tutte le altre polis fanno una fine diversa a seconda di come si erano comportate durante la guerra. Qui la storia è complicata e per niente chiara, ma è evidente che Roma si rapporta alle polis, che quindi esistono ancora e hanno una certa valenza politico-militare. 192 anni dal loro crollo e ancora tutti si ostinano a far finta di niente.

Gli anni successivi sono legati al destino di Roma e soprattutto alle guerre intestine della nuova potenza egemone. Anche in questo periodo storico, tuttavia, le polis si schierano con le varie fazioni in lotta e continuano ad esistere come unità politica. Con la fine delle lotte e l'instaurazione della pax augusta, le polis continuano la loro vita all'interno dell'impero romano.

Un fenomeno culturale che indica chiaramente come le polis continuassero ad avere un peso è la cosiddetta “seconda sofistica”. Con questo termine, molto impreciso, si intende una sorta di fioritura culturale ellenica, che si protrae all'incirca tra il 50 e il 250 dopo Cristo, ad opera di personalità di spicco del mondo greco, di rango senatorio o consolare, che fungevano da anello di congiunzione tra la polis e l'imperatore. Siamo a 550 anni dal crollo delle polis e ancora si le polis esistono.

Da questo lungo excursus, cosa possiamo capire? Che il nostro concetto di “crollo”, di “fine” è una semplificazione che ci serve a schematizzare il mondo per renderlo facilmente comprensibile; è una scorciatoia linguistica che ci aiuta nell'economizzare la fatica di comunicare; ma non esiste una realtà intesa come “crollo”. Se potessimo viaggiare nel tempo e andare a parlare con un abitante della Grecia del 153 d.C. e gli spiegassimo che il sistema delle polis è crollato 490 anni prima, probabilmente vi guarderebbe con aria smarrita e cercherebbe di capire di cosa diavolo state parlando (sempre che – vedendovi sbucare da una lacerazione del continuum spazio-temporale – non si prostri a terra adorandovi come un dio e dica “sì” a qualunque cosa diciate). Così come, se un viaggiatore del tempo arrivasse dal futuro e ci spiegasse che nei suoi libri di storia gli stati Europei sono “crollati” dopo la seconda guerra mondiale, “dissolvendosi” nelle due nuove strutture politiche, l'impero Usa e il blocco sovietico, noi non capiremmo cosa intenda (e andremmo in cerca di un IBM 5100 nel tentativo di farlo star buono). Eppure non avrebbe tutti i torti: in un'Europa in cui gli Stati erano da secoli in lotta, le due potenze emergenti hanno imposto la propria forma di governo, hanno stabilito dei presidi militari e hanno cercato di creare uno spazio di uniformità economica all'interno dei loro domini. Che è esattamente quello che hanno fatto i romani quando sono arrivati in Grecia.

Il medesimo ragionamento vale per la caduta dell'impero romano. Non c'è mai stato nessuno “crollo”, ma una progressivo cambiamento di assetto politico che ha richiesto parecchi decenni per completarsi e che noi definiamo “crollo”. Senza mai dimenticare che l'impero romano d'Oriente, nella persona di Costantinopoli, è stato definitivamente preso nel 1453, circa mille anni dopo la data che di solito si indica come “caduta” dell'impero romano. Per dire, in occidente ci siamo fatti tutto il medioevo, le crociate, i comuni, i sacriromanimperi e l'umanesimo, nel frattempo.

Questo per dire che è improbabile che dall'oggi al domani la realtà come la conosciamo finisca e ci si ritrovi tutti in un mondo tipo Mad Max. Ci saranno cambiamenti, ci sono sempre. Ma non li percepiremo, perché esisteranno solo nella mente dei redattori di testi scolastici del 2500 d.C.

La crisi continuerà ad essere un grosso problema, e francamente perdere il lavoro per me sarebbe molto peggio che il crollo dell'impero romano. Ma il mondo continuerà, continuerà la società e non vedremo quattro scalmanati percorrere il cielo in groppa a cavalli radioattivi.

Anche se so che qualcuno lo spera. Putroppo però il mondo non brucerà solo perché noi non siamo riusciti a renderlo quello che volevamo fosse.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Se devo essere sincero la notizia dell'estinzione dei mammuth un po' mi rassicura, dal momento che non so fino a che punto sarei riuscito a cacciarli col mio arco.
ma tanto ho già fatto scorta di tonno in scatola, quindi per qualche mesetto almeno sono coperto.

Detto questo, la tua disamina, è come sempre sottile.
I testi di storia sono condannati a separare gli avvenimenti in compartimenti stagni, e il loro punto di vista è macrostorico, se mi posso permettere tale termine.

Forse una storia basata principalmente sulle conseguenze dirette dei vari avvenimenti sulla vita delle persone potrebbe fornirci una idea più precisa dei momenti storici che hanno davvero segnato una qualche "svolta"

A presto
Santaruina

Anonimo ha detto...

Carino il riferimento a Titor.

Si è molto condivisibile il tuo pensiero,
quasi sempre però il cambiamento repentino e
separabile col coltello c'è , quando viene messa in atto un'azione violenta, una guerra,
una presa della Bastiglia qualsiasi in cui chi ha vinto puo' effettivamente dire :"ho vinto,stai Zitto",
come nel Risiko.
La vedo dura mascherare il Crollo della Repubblica di Venezia con queste armi concettuali.

Speriamo di non dover assistere mai a qualcosa di simile.

Riguardo allo sperare che le cose vadano male,
spesso è l'eterno schema della volpe e l'uva.
Mascherare la propria insoddisfazione
verso se stessi e il mondo odiando il mondo.
Per queste persone vale ciò che Goethe
dedicò al giovane Schopenhauer:
"Se vuoi godere del tuo valore/devi dare un valore al Mondo"

Clarius

Unknown ha detto...

Ciao Santaruina, in effetti dipende sempre dal punto di vista che si assume e dagli scopi che ci si prefiggono. L'importante è non dimenticare mai che per quanto attentamente guardiamo, il nostro campo visivo è limitato.

Consapevolezza innazitutto.

(grazie per la citazione)

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Clarius, forse confondi il rivolgimento politico con quello che intendevo io.

Quando si parla di fine della polis, non si intende semplicemente il termine di un'esperienza amministrativa e politica.

Il suo significato è ideologico, economico, sociale. Significa lo stravolgimento del mondo come lo si conosceva. La caduta di Venezia non ha portato ad un rivoluzionamento dell'economia. Così come il crollo dell'impero austro-ungarico non ha significato la fine del mondo.

Ho cercato di esaminare il concetto di "fine dei tempi" in relazione alla crisi attuale. Non sto negando il cambiamento, sto affermando che anche quando il cambiamento è profondo gli uomini sono andati avanti. E ci sono stati sconvolgimenti al cui confronto la crisi attuale è una passeggiata. Giustamente Santaruina citava la guerra gotica, per esempio.

Il succo del discorso è che anche se cambierà qualcosa, non sarà che ci sveglieremo un giorno e diremo "oh guarda, è crollato tutto. Dobbiamo tornare a riunirci in tribù di cacciatori-raccoglitori, orsù"

Anonimo ha detto...

Angelo, sappiamo tutti e due che quello che dici
è impossibile.Non può crollare tutto dall'oggi
al domani,chiaro,siamo d'accordo entrambi.
Quello a cui mi riferivo era la possibilità di una guerra termonucleare globale alla "War Games".
Se vengono tirate anche solo 30 testate in giro per il mondo,il 95% della gente OCCIDENTALE (i classici aborigeni andranno avanti comunque) probabilmente dirà,dall'oggi al domani,"il mondo come lo conosciamo è finito ieri".
Volevo dire questo nel commento. Magari è fuori luogo, questo si, perchè al momento questa minaccia non è a "def-com 5" (per continuare con l'esempio del film) per fortuna.
Come te, anche in caso di un (siamo ottimisti, via) improbabile collasso generale degli scambi economici, penso si andrà avanti con uno scenario simile a quello descritto dal gruppo goliardico "John Titor".Frammentazione post- postmoderna insomma.
E' sempre un piacere leggerti

Clarius (claudio tipo)

Anonimo ha detto...

segnalo un post di risposta a questo articolo http://petrolio.blogosfere.it/2009/09/crolli-mammuth-catastrofisti-e-pronipoti.html

Unknown ha detto...

Grazie per la segnalazione :-)

Anonimo ha detto...

Beati i poveri di spirito...