Gnothi sautòn

Riflettevo su una citazione dal film Fight Club:

Self-improvement is masturbation

Trasformiamo la frase in una formula matematica, dove “self-improvement” è A e “masturbation” è B. Otterremo:

A=B

Ora, posto che la memoria dei giorni di scuola non mi faccia difetto, se A=B, allora B=A. Di conseguenza, ritorniamo dalla formula alla frase ed otteniamo:

Masturbation is self-improvement

Secondo me Tyler Durden non aveva in mente questo, quando ha fatto lo splendido nel film.

Riflessioni a margine di una giornata d'autunno

Ieri pomeriggio passeggiavo per la grande via dello shopping, indossando il mio completo in tweed e assaporando la mia pipa Dunhill, e ripassavo con la memoria i brani più noti del diario del conte di Wellington, quando una gazzarra assai peculiare mi ha distolto dai miei pensieri. Torto il collo in direzione del frastuono, ho scorto un assembramento di persone di fronte ad un palco eretto nella piazza. Ho riconosciuto subito una tipica manifestazione della cultura pop contemporanea: la campagna elettorale. In effetti da un po' di tempo la città è tappezzata da manifesti pubblicitari che recano dei messaggi inintelleggibili perché scritti seguendo la grafia tipica degli SMS e delle chat: una lunga lista di SPD, CDU, FDP, LG, MFG... avrei dovuto pensarci.

Non fraintendetemi, io sono un grande estimatore della cultura pop: mi è dispiaciuto che Michael Jackson sia morto; i Queen sono parecchio simpatici e trovavo Christina Aguilera adorabile, prima che diventasse un'attrice hard. Anche se non comprenderò mai il fanatismo e gli schiamazzi di fronte ad un palco.

In quel gran baccano sono riuscito a cogliere due o tre parole, che poi sono le stesse che tutti vanno ripetendo da settimane (cioè da quando hanno visto che la Linke ha stravinto gridandole ad ogni angolo di strada): “basta soldi alle banche”; e non ho potuto fare a meno di pensare ad uno di questi signori quando sarà al governo.

M'immagino la prossima crisi di liquidità delle banche e vedo un rappresentate dei banchieri che si incontra con il politico.

I due si siedono e sanno già quale sia lo scopo dell'incontro. Il politico parte dicendo che ovviamente lui non può dare alle banche in difficoltà nemmeno un centesimo, principalmente perché ha promesso l'esatto contrario due mesi prima e perché ha già finanziato a fondo perduto l'industria automobilistica per tre volte nel giro di una settimana.

A questo punto il banchiere assume l'espressione tipica del tedesco quando ti sta per inculare: sorriso largo e compiacente, aria bonaria e pacioccosa e inizia a parlare come se si rivolgesse ad un bambino di 6 anni. “Signor politico, lei non capisce. Lei deve darci i soldi, perché altrimenti se lei non ci da i soldi, noi diciamo a tutti che non ne abbiamo più e ci rifiutiamo di darne ai nostri correntisti, cioè ai suoi elettori. In questo modo scateniamo una bella ondata di panico, che spingerà tutti i suoi elettori a ritirare i propri soldi da tutte le banche, che non potranno fare fronte alla richiesta e dovranno chiudere. Ci prenderemmo tutti i soldi delle imprese e smetteremmo di fare credito a chiunque. A questo punto solo l'Onnipotente sa cosa potrebbe succedere. Forse la fine del mondo?”

Il politico, che non sa resistere al fascino di un uomo autorevole che gli dice con gentilezza cosa fare, si limita a fare sì con la testa, estrae il blocchetto degli assegni e chiede iniziare il salvataggio mettendoci i propri soldi.

A quel punto mi sono rimesso la pipa in bocca e ho continuato la mia passeggiata pomeridiana, sorridendo tra me e me ed invidiando un poco l'entusiasmo di quei giovani per i loro idoli.

Crolli e mammuth

Scrivo questo post in fretta perché tra poco crolla il mondo come lo conosciamo e da domani sarò costretto a cacciare antilopi per sfamare la mia tribù.

… … …

Se avessi pubblicato un incipit del genere qualche anno fa, sicuramente sarebbe stato interpretato come un divertissement o, dai più seriosi, come la prima riga dell'ennesimo romanzo distopico. Oggi il rischio è che in troppi mi prendano sul serio. Il più diffuso argomento di discussione da bar di questi mesi – la crisi economica – sta convertendo al millenarismo un numero elevatissimo di persone (a proposito, si sono già stancati tutti dell'Iran? Gli ultimi rumour lo davano in procinto di annientare l'imperialismo yankee). Non saprei spiegarmi del tutto questo atteggiamento, ma una qualche ragione credo di averla individuata.

Do per inteso che non sto scrivendo di chi si interessa della crisi economica e dei suoi riflessi sociali e politici, ma di chi propone profondissime analisi del tipo “l'impero americano sta crollando, esattamente come è crollato l'impero romano” oppure “siamo al capolinea, fra qualche settimana torneremo a vivere nelle caverne e a cacciare mammuth. Ma i mammuth si sono estinti. Ommioddio senza cibo moriremo tutti!”

Perché così tante persone credono che a breve tutto finirà? Da dove traggono l'idea? In parte credo l'abbiano imparato a scuola; più precisamente, durante le ore di storia. Facciamo uno sforzo di memoria. C'era l'uomo primitivo, poi ha scoperto l'agricoltura e ha fondato l'impero assiro-babilonese. Poi l'impero assiro-babilonese è crollato, avanti veloce, impero egizio. Avanti veloce, in Grecia nascono le polis. Arriva l'impero persiano (ma quando l'hanno fondato quello, che non c'è scritto nel libro?) ma Atene lo sconfigge e crea il suo piccolo impero anche lei. Avanti ancora, l'impero ateniese crolla. Arriva Alessandro Magno, che crea l'impero di Alessandro Magno, che poi crolla. Avanti veloce, arrivano i romani, che fanno l'impero. Che poi crolla.

Questo è quello che – fino a poco tempo fa – si imparava di storia tra gli 8 e i 9 anni. Capite che se ad un bambino di 8 anni insegnate una cosa del genere (che è anche parecchio truculenta, se ci pensate) non ci sarà verso di togliergliela dalla testa. Si chiama imprinting, ed è irreversibile. E' naturale che anni più tardi, quando sentirà nominare l'impero britannico – crollato! – o l'impero americano – crollato! – non potrà che operare secondo l'ovvio sillogismo: tutti gli imperi sono crollati, l'impero americano è un impero, l'America (e noi con lei, che siamo il suo impero) crollerà. E non abbiamo nemmeno un mammuth da cacciare.

C'è un unico problema però. Che nessun impero, nessuna organizzazione sociale è mai “crollata”. La parola “crollo” implica una caduta repentina, una distruzione totale, un avvenimento talmente veloce da essere appena appena percepibile con i sensi. Ma niente di tutto questo è veramente avvenuto. Vi propongo solo un esempio tra i possibili: quello della città-stato greca, la polis.

Chiunque abbia studiato storia antica, anche ad un livello discreto (intendo dire liceo classico seguito da una facoltà umanistica non specializzata in storia antica), sa benissimo che la polis, come struttura politico-sociale, crolla nel 338 a.C. con la battaglia di Cheronea, quando la Grecia entra a far parte del regno macedone e quindi dell'impero di Alessandro, per poi confluire nel periodo ellenistico, dove una serie di regni governati da elite greche hanno portato avanti la loro routine di guerre, invasioni e controinvasioni, fino all'assorbimento da parte della Repubblica romana. Questa è la vulgata riguardo la storia greca e vi sfido a metterla in discussione... Ah no, è vero, ero io che volevo metterla in discussione. Va bene. Allora facciamo i conti della serva.

Le polis crollano nel 338 a.C. Vediamo... quando è stata abrogata la costituzione di Atene? I libri dicono 86 a.C. No, ci deve essere uno sbaglio... eppure... no no, è proprio l'86, circa 250 anni dopo quello che insegnano a scuola. E cosa è successo in quel periodo? Eh, un sacco di cose.

Dopo che Alessandro Magno è morto, le polis facevano parte dei cosiddetti regni ellenistici (l'Egitto era uno di questi ed è finito ufficialmente per mano di Ottaviano Augusto: lo dico per quelli che si sono sempre chiesti che fine avesse fatto una volta terminate le piramidi, visto che non ne parla mai nessuno). Io dei regni ellenistici non ho mai capito niente. E' uno dei periodi storici più complicati in assoluto: è un continuo inseguirsi di alleanze, matrimoni, guerre, invasioni e annessioni che al confronto la lista dei governi della Prima Repubblica e relative maggioranze parlamentari è una poesia di Ungaretti. In pratica cosa succede? Che di volta in volta i sovrani ellenistici devono trovare nelle varie polis degli alleati da mobilitare per l'ennesima guerra contro gli altri sovrani. Alla fine della guerra, di solito il sovrano vincitore proclamava le polis passate dalla sua parte libere e contemporaneamente le annetteva al proprio regno. E' la prima forma attestata di bispensiero. Comunque, l'importante è capire che all'epoca tutti quanti ragionavano in termini di polis, le alleanze si stringevano con le polis e si punivano le polis nemiche. Quindi la tesi che le polis crollino nel 338 a.C. non sta in piedi.

Ok, vuol dire che la polis non è crollata nel 338, sarà crollata più avanti, no? Vediamo...

Come dicevamo, i regni ellenistici vanno avanti per un po' così. Intanto nella parte meno civilizzata d'Italia è emersa un'altra città-stato, Roma, che zitta zitta si è allargata verso il mondo greco, prendendo il controllo di una sua grossa parte, il sud Italia e la Sicilia. Poi, siccome in Grecia avevano già inventato la storia, la filosofia, la letteratura, il teatro, l'architettura, la medicina e la pederastia, ai romani non è rimasto altro da fare che muovere guerra alla più ricca e potente città dell'epoca: Cartagine. Poi, è successo quello che capita a tutti: dopo essere venuti alle mani con il più grosso attacabrighe del paese, dopo averle prese di santa ragione ed essere riusciti infine a ucciderlo, mozzargli la testa, aprirgli l'addome, estrarne gli organi e mangiarli ancora caldi, vi girate, con il volto coperto di sangue e le mani che reggono l'intestino dell'avversario, verso quelli che guardano e ghignate nel più sadico dei modi, come per dire “su, chi è il prossimo?”; così ha fatto Roma dopo aver finito la seconda guerra punica: si è girata verso est, esattamente con quel ghigno grondante sangue. Alcune polis, che continuavano a dover fare alleanze e controalleanze per non essere distrutte ogni due anni da un sovrano diverso, vedendo Roma lì a ovest, l'hanno chiamata a dar loro una mano, facendo leva sul fatto che alcuni sovrani ellenistici avevano dato man forte a Cartagine (avete presente gli amici del bulletto che da dietro vi tirano calci sulle gambe mentre voi siete impegnai col bulletto?). Roma non vede l'ora e alla fine vince. Siamo nel 196 a.C. e Tito Q. Flaminino, il console che ha combattuto in Grecia, proclama le polis libere, stringe i suoi accordi di pace e se ne va. Le polis sono contente e sono libere (sono passati 142 anni dal crollo delle polis, ma tutti fanno finta di niente). Ora, Roma aveva molti pregi, ma non è mai stata famosa per aver liberato qualcuno. Però siccome in Grecia non insegnavano storia romana, le polis non lo sapevano e si sono fidate, creature. E così, nei successivi 50 anni, si sono trovate per ben due volte a dover scegliere da che parte stare nella guerra tra Roma e Macedonia. Poiché avevano interpretato la proclamazione di libertà del 196 nel senso di essere “libere di fare quello che volevano”, alcune delle polis scelsero la parte sbagliata del conflitto, cioè la Macedonia. Quando Roma vinse, si scoprì che “libere” significava più che altro “libere di stare sempre e comunque dalla parte di chi le aveva proclamate libere”, che non è neanche sbagliato come concetto.

Nel 146 a.C Roma distrugge Corinto, mentre tutte le altre polis fanno una fine diversa a seconda di come si erano comportate durante la guerra. Qui la storia è complicata e per niente chiara, ma è evidente che Roma si rapporta alle polis, che quindi esistono ancora e hanno una certa valenza politico-militare. 192 anni dal loro crollo e ancora tutti si ostinano a far finta di niente.

Gli anni successivi sono legati al destino di Roma e soprattutto alle guerre intestine della nuova potenza egemone. Anche in questo periodo storico, tuttavia, le polis si schierano con le varie fazioni in lotta e continuano ad esistere come unità politica. Con la fine delle lotte e l'instaurazione della pax augusta, le polis continuano la loro vita all'interno dell'impero romano.

Un fenomeno culturale che indica chiaramente come le polis continuassero ad avere un peso è la cosiddetta “seconda sofistica”. Con questo termine, molto impreciso, si intende una sorta di fioritura culturale ellenica, che si protrae all'incirca tra il 50 e il 250 dopo Cristo, ad opera di personalità di spicco del mondo greco, di rango senatorio o consolare, che fungevano da anello di congiunzione tra la polis e l'imperatore. Siamo a 550 anni dal crollo delle polis e ancora si le polis esistono.

Da questo lungo excursus, cosa possiamo capire? Che il nostro concetto di “crollo”, di “fine” è una semplificazione che ci serve a schematizzare il mondo per renderlo facilmente comprensibile; è una scorciatoia linguistica che ci aiuta nell'economizzare la fatica di comunicare; ma non esiste una realtà intesa come “crollo”. Se potessimo viaggiare nel tempo e andare a parlare con un abitante della Grecia del 153 d.C. e gli spiegassimo che il sistema delle polis è crollato 490 anni prima, probabilmente vi guarderebbe con aria smarrita e cercherebbe di capire di cosa diavolo state parlando (sempre che – vedendovi sbucare da una lacerazione del continuum spazio-temporale – non si prostri a terra adorandovi come un dio e dica “sì” a qualunque cosa diciate). Così come, se un viaggiatore del tempo arrivasse dal futuro e ci spiegasse che nei suoi libri di storia gli stati Europei sono “crollati” dopo la seconda guerra mondiale, “dissolvendosi” nelle due nuove strutture politiche, l'impero Usa e il blocco sovietico, noi non capiremmo cosa intenda (e andremmo in cerca di un IBM 5100 nel tentativo di farlo star buono). Eppure non avrebbe tutti i torti: in un'Europa in cui gli Stati erano da secoli in lotta, le due potenze emergenti hanno imposto la propria forma di governo, hanno stabilito dei presidi militari e hanno cercato di creare uno spazio di uniformità economica all'interno dei loro domini. Che è esattamente quello che hanno fatto i romani quando sono arrivati in Grecia.

Il medesimo ragionamento vale per la caduta dell'impero romano. Non c'è mai stato nessuno “crollo”, ma una progressivo cambiamento di assetto politico che ha richiesto parecchi decenni per completarsi e che noi definiamo “crollo”. Senza mai dimenticare che l'impero romano d'Oriente, nella persona di Costantinopoli, è stato definitivamente preso nel 1453, circa mille anni dopo la data che di solito si indica come “caduta” dell'impero romano. Per dire, in occidente ci siamo fatti tutto il medioevo, le crociate, i comuni, i sacriromanimperi e l'umanesimo, nel frattempo.

Questo per dire che è improbabile che dall'oggi al domani la realtà come la conosciamo finisca e ci si ritrovi tutti in un mondo tipo Mad Max. Ci saranno cambiamenti, ci sono sempre. Ma non li percepiremo, perché esisteranno solo nella mente dei redattori di testi scolastici del 2500 d.C.

La crisi continuerà ad essere un grosso problema, e francamente perdere il lavoro per me sarebbe molto peggio che il crollo dell'impero romano. Ma il mondo continuerà, continuerà la società e non vedremo quattro scalmanati percorrere il cielo in groppa a cavalli radioattivi.

Anche se so che qualcuno lo spera. Putroppo però il mondo non brucerà solo perché noi non siamo riusciti a renderlo quello che volevamo fosse.

Escuela de desempleo

Mi par di capire che in Italia (vivo all'estero), come ad ogni settembre, si stia litigando per colpa del Ministro dell'Istruzione. Per un emigrante come me, è bello sapere che a casa certe cose non cambiano mai. La scuola è come la nazionale, tutti si sentono in diritto di dire la loro, e chi sono io? Il figlio della serva? E allora ecco la parola di un docente mancato.

Cos'è la scuola? E' il metodo istituzionalizzato attraverso cui si insegna ai giovani quello che non possono imparare con l'esperienza, sia esso un epinicio o il diritto civile, passando per l'alfabeto e le tabelline.

La scuola come la intendiamo noi nasce con gli Stati nazionali moderni, quando le classi dirigenti capiscono di aver bisogno di una popolazione in grado di saper leggere e scrivere, perché il medioevo era passato da un pezzo e intanto in Inghilterra si erano incaponiti a fare la rivoluzione industriale.

In Italia la scuola rifletteva le condizioni sociali dell'epoca: c'era la scuola per i signori, cioè la classe dirigente, e la scuola per i popolani, che doveva fornire il minimo indispensabile. Poi è venuto il fascismo, che ha fatto la riforma Gentile, ed ha segnato la scuola italiana fino ai giorni nostri. Qui non affronteremo il merito della riforma, ma solo alcune riflessioni di contorno. Quella riforma ha dato vita ad un sistema scolastico profondamente classista. C'erano i licei per i figli dei ricchi, gli istituti tecnici per quelli che potevano permetterselo e il resto si accontentava della terza elementare. In questo periodo in Italia la classe dirigente è anche la classe che ha in mano l'economia. C'è una sostanziale identità tra chi ha il potere economico e chi ha il potere politico. Questa classe dirigente è quindi colei che ha creato la scuola per i propri figli. La scuola italiana nasce quindi intrinsecamente elitaria. Sopra tutti stava il liceo (classico e in seconda istanza scientifico), destinato alla classe dirigente. La sua funzione è abbastanza evidente: concentrarsi sulla formazione ideologica di chi sarà destinato a comandare. I figli dei signori non avevano bisogno di una scuola che insegnasse loro un lavoro, perché tanto sarebbero andati all'università e dopo di essa avrebbero comunque trovato un'occupazione all'altezza della propria provenienza sociale. Quei cinque anni dunque venivano usati per formare ideologicamente i virgulti e conformarli al vivere cui erano destinati. La formazione vera e propria sarebbe avvenuta in seguito.

Gli istituti tecnici erano anch'essi destinati ad un'esigua frazione della popolazione, ed erano – per quel tempo – una ottima forma di educazione, alla fine della quale si poteva aspirare a lavori di un certo prestigio (ricordiamoci che nel 1923 la quasi totalità dei cittadini erano contadini analfabeti che aravano il campo con i buoi).

Il liceo classico era un'ottima scuola perché era per pochi, quei pochi erano ricchi e venivano da famiglie con un alto livello di istruzione, ed era stato creato dalla classe dirigente per soddisfare le proprie esigenze interne. Non c'era l'idea che il figlio di un contadino facesse il classico, s'iscrivesse all'università e magari diventasse podestà. Il liceo classico non era concepito come un mezzo di promozione sociale, bensì come mezzo di distinzione sociale.

Poi il fascismo è caduto, ma la scuola è rimasta la stessa per un bel po'. Solo che l'Italia tutto intorno stava cambiando e un poco alla volta, passo passo, i figli dei contadini hanno cominciato a bussare alle porte degli istituti tecnici e magari dell'università. A questo punto c'è stata la svolta irrazionale della scuola italiana. Invece di rimodulare il sistema formativo nel suo complesso e permettere a tutti di avere accesso all'istruzione, si è pensato semplicemente di aprire le porte e far entrare quelli che gradivano. Ovviamente la cosa non si è notata subito. Nel dopoguerra i figli dei contadini non andavano tutti a scuola, perché molti cercavano ancora di mettere insieme il pranzo con la cena. Ma anno dopo anno la popolazione nel suo complesso ha migliorato le proprie condizioni economiche. E ha cominciato a mandare i figli a scuola.

E così, la scuola d'elite, anziché diventare scuola per tutti, è diventata scuola di massa. Qualcuno ha pensato che se il liceo classico poteva accogliere pochi figli di ricchi istruiti, poteva tranquillamente accogliere anche molti nipoti di contadini analfabeti.

Nel frattempo il potere politico è passato di mano ai nuovi governi democratici, che non erano necessariamente espressione del potere economico. Cioè, chi ha iniziato a mettere le mani sulla scuola nel dopoguerra non aveva più le stesse motivazioni che avevano spinto alla riforma Gentile. Mancava l'interesse a creare una buona scuola, perché si credeva che sarebbe bastato mandare il nipote di un contadino alla scuola che era stata dei ricchi per farlo diventare come i ricchi. Se il liceo classico era un'ottima scuola, chiunque ci fosse andato avrebbe avuto un'ottima istruzione. Invece non è così: una scuola intrinsecamente elitaria non è fatta per accogliere tutti, ma siccome si è deciso che tutti dovevano andarci e non rimanere esclusi, si è stati costretti ad abbassare il livello generale di istruzione impartita, illudendo i figli degli operai e i nipoti dei contadini di avere l'educazione dei ricchi, mentre gli si rifilava una versione scadente.

Col tempo questa idea non poteva che rivelarsi disastrosa. Alle elite economiche la scuola di massa, cioè di bassa qualità, non dà preoccupazioni: loro possono mandare i loro figli ad altre scuole e comunque il loro scopo non è trovare un lavoro a 20 anni.

Il problema sorge per i figli dei non-ricchi, quello sterminato strato sociale medio e medio-basso abbastanza benestante da poter offrire un'istruzione ai propri figli ma non abbastanza ricco da evitare loro di affrontare il mercato del lavoro. Il vero problema è che la stragrande maggioranza degli studenti, pur avendo un'istruzione, non ha un posto di lavoro garantito (come i figli dei ricchi) perché per ogni studente ce ne sono altri dieci come lui. Il ragionamento che è stato fatto è il seguente: per anni la classe dirigente del Paese è uscita dal liceo classico, di conseguenze se io faccio il liceo classico diventerò classe dirigente. In pratica si è confuso l'ordine causale degli eventi. Non è vero che si diventava classe dirigente perché si faceva il classico (come si continua a credere) ma si faceva il classico perché si era classe dirigente.

E così, mentre l'Italia cambiava, si rivoluzionava e entrava nel nuovo millennio, la scuola è rimasta uguale a sé stessa, uno strumento obsoleto costruito a misura di una società che non esiste più. Oltre a questo, non è più nell'interesse di chi ha il potere economico ed è lasciata in mano a chi a il potere politico, che l'ha usata a scopi elettorali. In pratica è stata semplicemente lasciata andare e smossa ogni tanto in modo da recuperar voti alla bisogna: finché la forza d'inerzia le ha permesso di andare avanti ha continuato ed ora che l'inerzia è finita si sta fermando.

Quindi trovo un po' limitate le critiche alla Gelmini, quando il problema è di portata ben maggiore, direi storica, e prescinde le responsabilità del singolo politico al governo. Resta il problema di chi a scuola c'è già e ha bisogno di un'istruzione adeguata. Come ho detto, se siete figli di ricchi, potete fare niente, tanto una sistemazione la troverete. Se invece non provenite da famiglie particolarmente ricche o con una rete di conoscenze particolarmente ampia e utile, mi permetto di dare alcuni consigli a chi è alle superiori e sta decidendo cosa fare dopo il diploma. Magari qualche giovane sta cercando aiuto per scegliere l'università, magari vostro figlio o vostro nipote.

Se state facendo il liceo sapevate fin dal principio che avreste dovuto proseguire negli studi ma se siete in un istituto tecnico e avete deciso per l'università, il discorso vale anche per voi.

Per prima cosa sappiate che finita l'università non vi aspetta un lavoro, vi aspetta la lotta per trovarne uno. Siete in concorrenza con centinaia di migliaia di persone che avranno esattamente il vostro stesso grado di preparazione e la competizione sul mercato sarà estrema. Certo, ci saranno alcuni corsi di studio particolari richiesti dal mercato, ma quasi sicuramente non li frequenterete.

La cosa importante da tener presente è che in Italia il lavoro si trova tramite la vostra rete di relazioni. Scordatevi di mandare ottimi curriculum alle aziende, di fare colloqui iperdifficili e superare test attitudinali. Il posto di lavoro si trova grazie alle relazioni che vi siete costruiti negli anni. Cominciate presto: tutte le persone che ho conosciuto e che hanno un lavoro minimamente all'altezza del loro grado di istruzione lo hanno trovato in questo modo. Gli altri o stanno cercando di fare gli statali (e ve lo sconsiglio, meglio il superenalotto) oppure fanno un lavoro che potevano cominciare a 19 anni con un semplice diploma, cominciando a mettere via soldi e contributi 10 anni prima.

Se però volete evitarvi tutto questo, prendete in considerazione l'opzione più seria: fare l'università all'estero. So che, per un italiano, la parola “estero” fa ricordare le colonne di emigranti con la valigia di cartone, ma i tempi sono cambiati. Studiare per esempio in nord Europa significa avere università di qualità aperte a tutti ed a costi ragionevoli. Non so come funzioni in Spagna o in Francia, ma per esempio conosco la situazione della Germania (ci vivo). Studiare qui ha innanzitutto dei vantaggi sul piano economico. Gli affitti costano poco, il cibo costa poco e l'università costa poco o comunque meno che in Italia. Se in Italia non volete fare i pendolari, vale la pena di venire qui fosse solo per la questione economica. Quando sono arrivato vivevo a Berlino e con i 400 euro al mese che prendevo per lo stage mi pagavo vitto e alloggio (in un appartamento a cinque minuti da Alexanderplatz). Da studenti avete diritto ai mezzi di trasporto gratuiti (o meglio, pagate un abbonamento semestrale che è compreso nelle tasse universitarie) e avete diritto a sconti su moltissime cose, dal cinema ai treni. Se scegliete la Germania dell'ovest, aspettatevi un costo della vita leggermente più elevato, ma comunque non paragonabile a quello italiano. Le infrastruttre sono ottime, la pianificazione del vostro lavoro sarà eccellente e avrete a disposizione biblioteche di alto livello. Inoltre avrete modo di venire a contatto con studenti da tutto il mondo e avrete la possibilità di fare un Erasmus in un altro Paese, allargando ancora di più le vostre conoscenze. Di questo io ho avuto esperienza diretta e mi ha fatto un'ottima impressione.

So che in Inghilterra studiare è molto più costoso, ma in questo caso è possibile ricorrere a borse di studio di vario genere. I Paesi scandinavi sono un'altra meta che ho sentito essere ottima per studiare, come pure Belgio e Olanda. Almeno, questo è quello che mi è stato riferito.

Non abbiate paura della lingua. Potete prendervi un semestre o due per impararla nella città dove volete vivere, non casca il mondo se vi laureate un anno più tardi. Se avete dubbi per la questione economica, non sarà molto peggiore di quella di uno studente fuori sede che dalla Sicilia o dal Friuli si muove a Roma o Milano, anzi, a conti fatti è probabile anche un risparmio, ma dipende molto da dove andate, naturalmente. Considerate poi che in ogni caso laurearsi in Italia significa essere disoccupati e farvi mantenere dalla vostra famiglia a lungo.

Senza contare che vi divertirete come dei matti

Non ascoltate più di tanto quello che i professori delle superiori vi dicono. Vivono nel loro mondo e non hanno idea di quello che aspetta gli studenti italiani, vi dicono quello che gli piace sentir uscire dalla loro bocca, niente più. Non fidatevi troppo nemmeno di quello che le università vi propongono: siccome il loro finanziamento dipende dal numero di iscritti, si venderebbero le madri pur di accaparrarsi uno studente. Qualsiasi facoltà scegliate, vi diranno che il livello occupazionale a meno di un anno dal conseguimento della laurea è altissimo. Palle. Dopo la laurea sarete buttati nella jungla, i posti migliori saranno presi dai figli dei ricchi, poi dai figli di politici/sindacalisti vari, poi da chi è riuscito a costruirsi la propria rete di conoscenze (ho visto gente ottenere posti di alto livello solo perché invece di prepare esami ha fatto il cameriere nei locali giusti e ha conosciuto la gente giusta). Se non siete in una di queste categorie, finirete in un call centre oppure a fare la segretaria. Non pensate che a voi non toccherà, se non farete niente per evitarlo.

Evitate facoltà ridicole dove regalano voti senza far niente. Fate quello che vi piace, ma non lasciatevi andare. Studiare è difficile e se non volete fare alcuna fatica, il posto da centralinista è lì che vi aspetta.

Rendetevi conto che l'Italia non è più quella del boom degli anni '60: siamo un Paese in declino, con un livello culturale infimo, senza grandi prospettive per il futuro e per voi (noi) non c'è posto. La gente se ne va già e se ne va per un motivo. Poiché è meglio agire per scelta che per necessità, pensate bene a quello che volete fare.

La maggior parte della minoranza

Noi uomini funzioniamo a gruppi, nel senso che ognuno di noi cerca di far parte di un gruppo di simili. I nostri simili possono essere molto dissimili tra loro e noi potremmo far parte di gruppi di simili diversi. Apparteniamo al gruppo di amici che si frequentano, ma anche al gruppo con cui andiamo in palestra, così pure al gruppo di appassionati del Necronomicon e via dicendo.

L'uomo tende naturalmente a relazionarsi con un gruppo ristretto di simili. Quando il gruppo supera un certo numero di individui iniziamo a smettere di indentificarci con esso e più grande è il gruppo, minore è la nostra identificazione con esso; per contro, tutti quelli che stanno al di fuori del gruppo cui apparteniamo sfumano in lontanza andando a far parte di una massa indistinta che sta sullo sfondo.

In questo senso apparteniamo tutti ad una minoranza: qualunque sia il gruppo di cui siamo parte, per quanto grande, rispetto alla generalità della popolazione, siamo sempre in minoranza. Il fatto non è particolarmente strano ma, a differenza che in passato, ognuno di noi oggi percepisce questo contrasto molto più intensamente, soprattutto grazie ai media di massa che mettono a disposizione di tutti il monto intero. Solo che il mondo intero trascende la nostra capacità di identificazione e quindi diventa una presenza enorme e confusa che preme sulla porta di casa senza mai sostanziarsi nella realtà.

Di conseguenza tutti si sentono, magari inconsciamente, parte di una minoranza. E lo sono, nei fatti. Ognuno di noi è sempre in minoranza, a prescindere dalla propria posizione o appartenenza, perché il numero di quelli che non fanno parte del nostro gruppo è sempre maggiore degli appartenenti al nostro gruppo.

Avere una connessione internet è molto interessante, perché permette in poco tempo di venire a conoscienza di una serie infinita di gruppi (o minoranze) che altrimenti non sapremmo nemmeno esistere. Si scherza dicendo che in internet ognuno può trovare un sito pornografico dedicato alla più strana perversione sessuale: questo è precisamente il meccanismo di cui stiamo parlando applicato.

Dopo qualche anno di lettura di blog e forum, non è possibile quindi non notare certe dinamiche che, sebbene esaltate dalle potenzialità del medium internet, fanno parte del sentire comune. Il processo più interessante però è la costante con cui il singolo si relaziona con il gruppo cui appartiente in antitesi al resto. In sostanza, il singolo sente di appartenere ad un gruppo e, al di fuori di questo gruppo, anziché vedere una serie di altre minoranze, riconosce solo una massa indistinta di persone, componendo un'immagine del mondo divisa in due: un “noi” in minoranza e un “loro” maggioranza. Da qui, possiamo creare una breve tassonomia non scientifica delle varie minoranze, in base al modo in cui il “noi” interpreta il “loro”.

La prima categoria di minoranza comprende quelli che definisco “vittimisti”. Secondo costoro il mondo va male e, per qualche motivo, sono venuti a contatto in maniera negativa con un'altra minoranza. La mescolanza dei due fatti li porta ad attribuire i mali del mondo a quella minoranza, confondendola con la totalità del mondo. Ad esempio, chi è di sinistra ripete da anni il mantra secondo cui l'Italia è governata in maniera totalitaria dai fascisti i quali, mentre governano il Paese, contemporanemante organizzano colpi di Stato e fuggono in Sudamerica. Per contro, chi è di destra vede comunisti e sinistroidi ovunque, hanno in mano tutti i giornali, tutta la musica, il cinema, la pubblicità, insomma, il famoso monopolio della cultura con cui faranno diventare tutta la popolazione omosessuale. I gruppi di cattolici sono convinti che il mondo sia in mano agli atei, che hanno come fine ultimo quello di distruggere la Chiesa di Roma, mentre gli atei mettono in guardia su come il Vaticano controlli ogni singolo aspetto della politica e dell'economia della Nazione e su come voglia spazzare gli atei e la scienza dalla faccia della Terra.

Come si vede, per ogni minoranza sembra esservene un'altra uguale, contraria ed onnipotente votata al suo annientamento e, guardacaso, loro fanno parte proprio della minoranza che verrà annichilita. Di qui il nome di “vittimisti”.

Vi sono poi gli “elitaristi”. Chi appartiene a questa minoranza assume una posizione più evoluta e non scende ad accusare le altre minoranze di alcunché. Si atteggia a sergente Hartman, non si sente superiore a negri, froci, terroni e marocchini, perché per loro sono tutti uguali, non contano niente allo stesso modo. Per costoro gli altri sono solo un gregge, sono tutti stupidi e mossi dagli istinti di fame e riproduzione, mentre loro fanno parte degli aristoi, i migliori destinati a comandare. Praticamente quelli che credono di aver capito sul serio Nietzsche, loro.

Esiste poi la minoranza degli “intellettualisti”. Sono particolarmente dediti alla lettura, al cinema d'essai, alle varie Biennali. Non guardano gli altri con disprezzo, bensì con sgomento e dolore perché non si capacitano di come sia possibile vivere senza guardare almeno due film coreani al mese e andare a gioire per le mostre di arte contemporanea senza scendere nella scala evolutiva. La massa (cioè quelli che loro non frequentano) non è malvagia o pericolosa come credono gli elitisti, è solo costretta in uno stato di semibestialità che non le permette di esprimersi se non a grugniti o attraverso la secrezione di odori. Queste persone possono anche definirsi progressisti o di sinistra in certi casi, ma prima o poi giungeranno alla rivelazione che tutti quegli scimmioni che camminano sul marciapiede votano, orrore.

Questo tipo di tassonomia si potrebbe applicare in molti altri casi, ma ragioni di spazio e di tempo suggeriscono di fermarsi qui. Il lettore potrà certamente fare proprio il metodo e utilizzarlo come simpatico gioco di società nelle fredde serate invernali.

Interessa notare però alcune cose: la prima è che l'essere parte di una minoranza costituisce motivo di orgoglio, poiché chi è al di fuori di quella minoranza esiste solo come individuo massificato. Poi, essere pochi significa essere migliori. Ed infine, ad essere massificati e conformisti sono sempre gli altri. Strano, davvero.

Spero che nessuno ora pensi che in questo blog si inizierà a crearsi una nuova forma di minoranza per essere ancor più alternativi di quelli che si sentono già migliori del resto della popolazione. No, tutt'altro. La nostra speranza è che questo blog diventi il punto di incontro per coloro che sanno di essere maggioranza, di far parte della media, di non essere nulla di così speciale rispetto agli altri.

Ci definiremo, per prendere in prestito una felice intuizione di un grande del pensiero contemporaneo, “mediamente mona”. Sappiamo cioè di non essere particolarmente migliori degli altri, ma siamo anche convinti di non essere poi tanto peggiori, via. Non salveremo il mondo, ma nemmeno lo annienteremo. Siamo la sana via di mezzo. I “mediamente mona”.

Clash of civilizations

Un prete in un orfanotrofio per sole bambine, con a disposizione manodopera minorile gratuita, il quale, pagato dallo Stato per celebrare una guerra vittoriosa contro un Paese islamico, rielabora una delle storie più importanti della tradizione ebraica. Cosa pensate possa uscirne?

Qualcosa del genere?

Di nuove e vecchie generazioni

Volevo infine aggiungere una cosa molto importante, prima di partire con questo blog sfizioso e al passo coi tempi.

Internet non è più la riserva degli addetti ai lavori né il territorio di ragazzini smanettoni. Significa che adesso ci sono persone anche di 60 e più anni che leggono blog e scrivono commenti. Mi fa molto piacere, naturalmente, ma permettetemi di spiegare una o due cose.

La mia generazione è cresciuta ascoltando la musica di un ragazzo che a 28 anni si è sparato in testa con un fucile a pompa dopo aver composto alcune delle più deprimenti canzoni che uomo ricordi, insieme alla musica di ventenni americani che sceglievano titoli del tipo “Omicidio è l'accusa che mi hanno fatto”.

Siamo cresciuti passando pomeriggi interi con videogiochi talmente violenti da venire banditi in qualche nazione, finché alla fine ci siamo appassionati ad una serie chiamata “Furto d'auto aggravato”, dove il reato in questione è un passatempo da educande rispetto a quelli che si devono commettere per vincere il gioco (tra i quali ricordiamo rubare un aeroplano Harrier da una portaerei).

I film che ci hanno segnato sono “The Matrix”, dove si spiega che tutto quello in cui crediamo è falso, anche la fetta di mortadella che abbiamo appena mangiato, e “Die Hard With a Vengeance” dove... be', dove c'è un mucchio di pallottole ed esplosioni.

Capita quindi che chi ha più di – diciamo – 45 anni giudichi tutto questo in maniera negativa e venga a spiegarci quale sia la vera musica, il vero cinema ed il vero intrattenimento. Ecco, se potete evitare, ci fate un favore.

Lo sappiamo che ai vostri tempi la musica era diversa, che sapevate come divertirvi e che il cinema come allora non lo hanno più fatto. Il problema è che per potervi dare una gioventà spensierata e piena di speranze vi siete mangiati tutta la torta, lasciando a quelli che venivano dopo soltanto il piatto da leccare. Capite anche voi che – passi che non c'è più torta, passi che dobbiamo leccare il piatto – sentirsi dire che non si è mangiata abbastanza torta da parte di quelli che l'hanno finita risulta quantomeno irritante.

Quindi lasciate perdere, ve lo dico subito: il mondo non è quello che avete immaginato a vent'anni, fondamentalmente per causa vostra, e ora non è più tempo di venire ad insegnare a noi quello che non siete stati in grado di fare voi.

Siamo nichilisti, senza valori e, di base, non ce ne frega nulla. Almeno secondo i parametri che avete usato voi e che hanno reso il mondo quello che è ora. Fatevene una ragione e lasciateci stare. Ora vado che devo completare GTA IV al 100% (e se non avete capito quello che ho appena scritto, benvenuti nel nuovo millennio).

I puntini sulle iii

Il buon blogger deve sempre ricordare ai propri lettori di essere un tipo molto particolare, facendo risaltare la propria incapacità di gestire i rapporti sociali. Il genere letterario del blog richiede di proclamare la propria misantropia prima del quarto post e di ricordarla almeno una volta al mese: ostentare disprezzo per il genere umano fa aumentare il pagerank in maniera sensibile. Non c'è niente di meglio per una persona che odia il genere umano di condividere i propri pensieri con centinaia di migliaia di individui che odia e disprezza dal profondo dello stomaco.

Poiché il bravo blogger deve comunque rassicurare il lettore, in rapida successione è necessario assicurare che non tutto è perduto: gli uomini sono male, ma i cani sono molto migliori. Novanta commenti di applausi da parte di coloro che il blogger ha testé dichiarato di disprezzare.

Spiacente ma, come avrete già capito, temo che non sarò un bravo blogger. In generale non odio gli uomini, né li disprezzo, quindi non scriverò mai di quanto sia misantropo o eventualmente autistico (nella versione particolarmente cool del misantropo si raggiungono eccessi letterari che nel mondo reale richiederebbero cure apposite).

Ma soprattutto, i cani non sono superiori all'uomo. Se non ci credete, andate al parco e osservate attentamente chi porta al guinzaglio chi. Quello che tiene il guinzaglio appartiene alla specie superiore.

Diecimila anni di addomesticamento sono una prova sicura di chi sia superiore. Tuttavia, se qualcuno si crede inferiore al proprio cane, non è che necessariamente abbia torto.

I puntini sulle ii

… ovvero di come inimicarsi da subito tutti i lettori. Non saprei, non so come dirlo senza mancare di rispetto a nessuno, quindi andrò subito al punto, ma non prendetela sul personale.

Io credo nel diritto delle persone di detenere armi. Ecco, l'ho detto.

Comprendo che oggi è quasi una bestemmia affermare una cosa del genere, però se abbiamo deciso di parlarci in maniera franca ed onesta (perché l'abbiamo deciso, vero?) bisogna farlo fino in fondo. Comprendo anche di non aver alcuna possibilità di piacere dopo aver detto questo, ma cercherò almeno di spiegarmi.

Ci sono alcune cose al mondo che sono sgradevoli, ma esistono. Una di queste è la violenza. C'è, è li fuori ed è dentro di noi. La violenza è il primo grande ostacolo alla libertà e c'è un solo modo per opporsi ad essa: la violenza. E' un dato di fatto, purtroppo. Questo lo sapevano bene i nostri antenati: nelle società arcaiche potevano fare guerra solo gli uomini liberi; il possedere armi era un privilegio dei ricchi e i ricchi erano i liberi. Per usare termini moderni, diritti politici e guerra andavano di pari passo e la libertà non era concepibile senza la possibilità di difenderla con le armi. I liberi avevano le armi, gli schiavi no. Era così ad esempio nella Grecia arcaica. E quando, col tempo, fu necessario aumentare il numero di uomini da impiegare al fronte, si dovettero concedere i diritti politici a strati sempre più larghi (e meno ricchi) della società.

Ironicamente, i più fieri oppositori del diritto di avere armi indossano magliette con il volto di Che Guevara e dicono di predicare i valori della Resistenza. Del primo non c'è molto da dire: di mestiere organizzava guerre in nome della libertà.

Sulla seconda invece sarebbe anche ora di parlarci chiaro. I valori della Resistenza sono riassumibili in poche parole: “in nome della libertà, prendo in mano il fucile e mi sollevo contro chi mi governa”.

Forse qualcuno si aspettava che parlassi del diritto di sparare al primo che mette piede nella mia proprietà. Illusi. Quand'ero in prima o seconda media ci fecero vedere un film, “L'amico ritrovato” se non mi sbaglio. Ricordo la scena di un ebreo reduce della prima guerra mondiale che attende, indossando fieramente la divisa, sull'uscio di casa il nazista che lo sta per portar via. All'epoca mi parve una scelta di incredibile coraggio e dignità. Oggi mi pare una scelta da mona. L'equipaggiamento militare sarebbe stato anche appropriato, ma mancava l'elemento base: il Gewehr 98. Grazie a questo eccellente fucile in dotazione all'esercito tedesco, sapendo che i nazisti stavano per arrivare, avrebbe potuto mettere al sicuro la propria famiglia, appostarsi in un luogo riparato ed iniziare a far saltare le cervella di tutti i nazisti che si presentavano. Obiezione: tanto dopo cosa sarebbe successo? Probabilmente esattamente quello che è successo a tutti quelli a cui i nazisti hanno bussato alla porta e che non hanno fatto niente: ucciso in qualche campo di concentramento. Ma se tutti gli ebrei avessero avuto la possibilità e la mentalità di sparare a vista alle SA che tentavano di entrare in casa loro per rapirli ed ucciderli, probabilmente la storia sarebbe andata in maniera diversa.

L'altra obiezione in sequenza sarà: “ma se tutti avranno le armi, si ammazzeranno per strada come cani senza motivo”. Avete mai visto due karateka fare a botte? No. Forse perché apprendono una filosofia segreta che impedisce loro di usare violenza per non generare controriflussi negativi alla propria coscienza? Neanche per idea. Semplicemente perché sanno fin troppo bene che se fanno a botte con un loro pari, si faranno male. Avete mai visto ragazzi che sparano sulla folla da uno scooter? Sì, certo, l'ultima vota hanno anche ucciso un ragazzino. Sapete perché lo fanno? Perché sanno che nessuno ha una pistola. Se sapessero che statisticamente in quella folla una o due persone hanno la pistola e sono pronti ad usarla (ma non sanno chi sono, perché non sono in divisa) ci penserebbero due volte prima di fare una cosa del genere.

E' chiaro che “diritto ad avere armi” non significa “distribuiamo armi in piazza dal rimorchio di un camion”. Significa avere detentori di armi che sono stati preparati ed istruiti ad usarle.

Non c'erano ebrei armati sui treni per la Polonia.

I puntini sulle i

Forse è il caso di iniziare a mettere alcune cose al proprio posto, così io le dico e poi non ne parliamo più. Di solito quando discuto con qualcuno, mi trovo sempre in contrasto per una ragione di fondo che il mio interlocutore non comprende. Per me la prima cosa da salvaguardare è la libertà dell'individuo. Dell'individuo singolo, concreto ed in carne ed ossa. Ogni azione, ogni scelta, ogni politica, ogni legge deve avere la libertà individuale come fondamento. Il problema è che, mediamente, i miei interlocutori provengono da una cultura o cattolica o sinistrorsa o parafascista. Questo significa che non sono in grado di concepire la libertà del singolo se non come il primo passo verso l'apocalisse. Per le tre grandi religioni monoteiste d'Italia, l'individuo è male e la collettività che gli sta attorno è bene in quanto limita, riduce o annulla la libertà del singolo. Qui scatta l'incomunicabilità tra me e l'interlocutore, perché per me la libertà del singolo è la base su cui costruire tutto il resto. Senza di essa nulla ha valore. La società esiste sì, ma non è un essere senziente dotato di volontà propria. E' un insieme di individui che con le loro scelte ne determinano gli esiti. Sacrificare il bene individuale per il bene comune è una follia, perché significa sacrificare il bene individuale in cambio di un nulla, perché il bene collettivo non esiste. Io su questo non transigo, ma ovviamente ne discuto. Ora sapete perché ogni volta che qualcuno arriva a proporre strane idee che parlano di bene comune, collettività e società, prima mi deve spiegare perché ed in che modo vuole restringere le libertà individuali. Poi passiamo al resto. Tanto poi arriva quello che dice “sì, ma se tutti fanno quello che gli pare, dove andremo a finire?” Rispondo io: se non sai gestire la tua libertà e hai bisogno che ti spieghi come farlo, in realtà sei in cerca di un padrone, quindi dovresti rivolgerti ad un sito di annunci BDSM.

Ouverture

Ed ecco un altro blog che nasce. Se ne sentiva il bisogno: il numero di blog nel mondo è tale che non si riesce a contarli. Forse si arriva ai 200 milioni totali, forse si supera questa cifra. Uno in più che differenza può fare? Nessuna, in effetti.

Tre giorni dopo aver inventato la letteratura, gli scrittori hanno scoperto che le opere si vendevano meglio se scritte in prima persona e hanno inventato i racconti in prima persona. E' da allora che si sa che l'io poetico non è l'autore, però il trucchetto funziona sempre, da 2500 anni e, invece di imparare e farci un poco furbi, abbiamo inventato il blog, che è la forma estrema di questo topos.

Quindi, accingendomi alla scrittura, mi impegno con i lettori ad aderire compostamente al genere letterario del blog, parlando in prima persona e descrivendo pensieri, sentimenti e avvenimenti come se fossero miei. In cambio il lettore dovrà impegnarsi a non cadere nel trucco e scambiare l'io narrante con l'io reale.

Mi pare un patto ragionevole.

Di cosa parlerò? Di tutto quello che farà aumentare le visite al blog, escludendo quello di cui so poco o niente. Tendenzialmente non parlerò mai di sesso: è un trucco per far aumentare l'audience decisamente troppo basso. Anche per me.

Alcune precisazioni. I commenti tendenzialmente non saranno moderati. Questo non significa che non vigilerò, tutt'altro. Sia chi scrive che chi legge conosce alla perfezione le regole del commentare civile, quindi non c'è bisogno che vi spieghi quando interverrò. Se ci fosse qualcuno che non le sa, imparerà da solo vedendo i propri interventi erasi. Naturalmente mi riservo in casi estremi di usare la mannaia senza discernimento, colpendo forte e nel mucchio, ma non credo servirà. Se succede, posso dire di avere avvertito (in realtà i commenti ai post più vecchi di 14 giorni saranno moderati, ma è una questione tecnica che mi serve per avere sotto controllo la situazione).

Scrivo nel poco tempo libero che mi rimane, quindi se non rispondo ai commenti è solo perché non ho tempo. A volte nei commenti le discussioni diventano lunghe e interessanti, e quelle sono le più difficili da seguire. Abbiate pazienza in questi casi, ma piuttosto di scrivere in fretta ed essere frainteso, preferisco tacere.

I link. Non mi piace il mercato di link. Qui a fianco ne vedete alcuni. Sono i link che considero interessanti e che credo possano interessare anche il lettore di passaggio, non ho ritorni di alcun genere nel rimandare a quei siti e non c'è alcun scambio in atto. Mettendo quei link in bella vista, io sto dicendo a chi mi legge di fidarsi di me e che quei siti valgono lo sforzo di almeno un'occhiata. Non venite qui con la solita frase “il tuo blog mi piace, perché non facciamo scambio di link?”. Se qualcuno mi ha linkato, mi fa molto piacere e mi onora, ma non mi sento in dovere di ricambiare: se il sito o blog in questione dovesse piacermi, potrei likarlo oppure no. Se siete delle donne particolarmente avvenenti siete avvantaggiate.

Cercherò di postare ad un ritmo decente, ma non faccio promesse. In realtà la prima regola del buon blogger è postare tanto, anche un post al giorno (ma non di più): non sono mai stato bravo a fare niente in vita mia, quindi è probabile che non sarò nemmeno un bravo blogger.

Giuro di non usare faccine nei post. Un minimo di serietà bisogna mantenerlo, sempre.

Buona lettura.