La cultura del mignolo alzato

Leggendo le pubblicazioni specializzate si percepisce che in questo periodo l'ossessione del mondo dei videogiochi è quella di apparire come un medium maturo che possa essere considerato alla pari con altri media, primo tra tutti il cinema. 

Il motivo di questa ossessione è chiaro: come io, nato e cresciuto in un ambiente relativamente lontano dalla cultura alta ho sentito il bisogno di colmare questa mia lacuna per non dovermi sentire un gradino più in basso degli altri, così il mondo dei videogiochi e la stampa di settore in particolare sono arrivati al punto in cui anelano al riconoscimento culturale da parte degli altri rami dell'intrattenimento. 

Ma come io, nel mio tentativo di colmare il presunto divario culturale, mi sono ritrovato a perseguire una formazione accademica che mi ha reso particolarmente difficile trovare un lavoro, così i videogiochi stanno imboccando una via che difficilmente giungerà a qualcosa di buono.

Allo scorso Electronic Entertainment Expo (per gli amici E3) è stato presentato un nuovo progetto che dovrebbe, negli intenti, portare il videogioco ad un livello di maturità superiore. Ecco la presentazione:


Da questo filmato si può capire cosa intendano gli sviluppatori e la stampa quando parlano di maturità del medium: palette di colori dominata dal nero, dialoghi à la detective Callahan, voci rauche à la Batman, combattimenti a mani nude tipo Matrix, girl power, superpoteri e temi come "la vita dopo la morte". Impressionante eh?

Se questo miscuglio di luoghi comuni della cultura pop è considerato il prossimo scalino verso la maturità dei videogiochi, l'asso nella manica da giocarsi per mettersi al pari col cinema e la letteratura, capite bene che la strada per un vero riconoscimento è ancora lunga e perigliosa. 

Tutti questi elementi sono, come detto, dei cliché, stereotipi che si possono incontrare in qualsiasi produzione precedente. Il ricorso ai luoghi comuni di per sé non è sbagliato, perché di fatto è impossibile non ricorrervi: una narrazione funziona per mezzo di determinati meccanismi e non usare quei meccanismi significa creare una narrazione orrenda. Il problema, e la vera forza di chi crea, è saper rimaneggiare i luoghi comuni per arrivare a qualcosa di mai visto prima. Riproporre per la milionesima volta scene di violenza, condite di dialoghi da superduri e con il personaggio femminile che dovrebbe ribaltare lo stereotipo della donzella in pericolo 15 anni dopo Buffy the Vampire Slayer non è nemmeno un esercizio di stile: è catena di montaggio, dove si assemblano pezzi e si produce su larga scala. Che va benissimo, ma non è il modo di creare un'opera culturalmente matura.

E quale potrebbe essere allora un videogioco che rappresenti il passaggio verso una produzione "matura"? Ce ne sono due che sono esemplari in questo senso, ma a cui nessuno mai penserebbe. Preparatevi... sedetevi... 

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GTA: Vice City e GTA: San Andreas.

Per chi avesse vissuto su Marte negli ultimi 10 anni, questi giochi rappresentano due successi commerciali planetari. Il giocatore impersona un delinquente che si fa strada nel mondo del crimine per mezzo di una lunga fila di omicidi. Il gioco è ambientato in una città e i suoi dintorni, che possono essere liberamente esplorati, senza essere legati ad alcun vincolo predefinito. Il tratto fondamentale dei due titoli è il ricorso alla violenza, che viene così tanto caricata e espansa da superare il limite del grottesco e sfociare nel surreale.

Quello che però rende i due giochi interessanti è l'ambientazione. GTA: Vice City è ambientato nella Miami degli anni 80, mentre GTA: San Andreas nella California dei primi anni 90. Tuttavia la ricostruzione delle due città non è "filologica", per così dire, ma è la sintesi della cultura pop dei rispettivi anni. Quindi né Miami né la California sono ricostruzioni storiche dei loro equivalenti reali, ma una fusione degli elementi caratteristici della cultura pop di quegli anni: il risultato è un pastiche di riferimenti a film, telefilm, musica, programmi radio, automobili, abbigliamento dell'epoca, continuamente alternando tra parodia e omaggio a quegli anni.

Così in GTA: Vice City si trova tutto ciò che ha reso gli anni 80 quelli che ricordiamo: colori fluo, abiti pastello, musica elettronica, il pericolo sovietico... un concentrato di cultura pop in cui gli anni 80 sono più anni 80 degli anni 80. I tratti principali di quegli anni sono così tanto caricati da renderli iperreali e infine surreali. E lo stesso vale per GTA: San Andreas: le gang di neri e ispanici, i pestaggi della polizia, la Rivolta di Los Angeles, X-files, la musica rap...

Quello che rende i due giochi culturalmente interessanti (e ricordiamo che sono giochi vendutissimi, non roba di nicchia buona per i salotti bene) è che gli sviluppatori non hanno voluto rincorrere altri media sul loro piano. Coscienti di dover creare un gioco e non di scimmiottare il cinema, hanno deciso di inventare una formula propria, nella quale tutti i riferimenti culturali - tantissimi - vengono rimaneggiati per dar vita a qualcosa di nuovo. La prima cosa che si deve fare in GTA: Vice City è travestirsi da colletto blu, infiltrarsi in una manifestazione di operai e provocare disordini, in modo che lo sciopero fallisca. Nel gioco la situazione fa molto ridere, perché è un rovesciamento parodico dei valori comunemente accettati, ma il sottotesto è chiaramente radicato nella situazione - seria - del settore manifatturiero americano durante gli anni di Reagan.

Entrambi i giochi sono intessuti seguendo questa trama e ci riescono perché l'intento non è quello di creare un gioco "maturo", ma un gioco che sia divertente e che riesca ad esprimersi a diversi livelli di profondità. Infatti la serie di GTA è universalmente nota per essere caciarona, priva di senso, gratuitamente violenta, perché la maggior parte dei giocatori, quando vanno in mezzo a degli operai in sciopero con un martello in mano, non ha idea dei collegamenti con la situazione reale dei lavoratori americani di quell'epoca. Ma se si ha una conoscenza più approfondita, si può anche godere del gioco ad un ulteriore livello, senza intaccarne minimamente l'aspetto ludico e di intrattenimento.

Perché l'intrattenimento intelligente non è quello che tira gli spiegoni sul senso della vita e la direzione che sta prendendo il mondo, ma è quello che sa riconoscere i tratti salienti dell'immaginario collettivo e li mette a disposizione del fruitore nella consapevolezza dei propri limiti espressivi.

Ma ovviamente queste cose non le leggerete mai nella stampa di settore, perché chi scrive e parla di videogiochi si limita a vedere l'aspetto superficiale (OMG picchiamo gli operai LOL) in quanto carente dei riferimenti culturali generali che permettono un approccio diverso. Basta solo osservare con costernazione la sintassi delle recensioni dei videogiochi.

Conseguenza di questa incapacità di capire che il tono leggero e apparentemente sciocco è in realtà frutto di una complessa rielaborazione della cultura specifica del periodo è la richiesta di creare giochi maturi, intesi come prodotti seriosi in cui si tirano infiniti spiegoni su come la vita fa schifo e il mondo è una cloaca.

Così dopo GTA: San Andreas è uscito GTA IV, un pastone noiosissimo di cliché sulla vita degli immigrati dell'Europa orientale a New York, che non fa né ridere, né piangere, né pensare. Si tira fuori il luogo comune del sogno americano infranto e si continua con una lunga serie di eventi telefonati, visti e rivisti in tutte le salse. E non può che essere così: a meno che il gioco non venga prodotto da emigrati bosniaci con le pezze al culo, nessuno sa veramente mettersi nei panni di un povero cristo sbarcato clandestinamente a New York all'inizio degli anni 2000 e deve per forza di cose ricorrere a luoghi comuni presi in prestito qui e lì. Le poche parti degne di nota sono ad esempio una missione in cui si deve rapinare una banca: tutta la scena è in realtà un omaggio al film Heat di Michael Mann ed è un breve "ritorno alle origini" che purtroppo dura troppo poco.

Ma chiaramente questa svolta nella serie GTA è stata acclamata dalla stampa di settore, che ha applaudito al nuovo tono "maturo", perché per la stampa di settore la palette di colori scura e la storia-polpettone strappalacrime sono la forma che dovrebbe prendere la cultura "alta". Senza rendersi conto invece che è la forma che prendeva Anche i ricchi piangono.

Quando allora i giochi diventeranno culturalmente rilevanti, al pari del cinema e della letteratura? Quando saranno creati da e pensati per persone che sono già fruitori di cultura nel suo complesso, le quali non pensano che la cultura sia una cosa noiosa dove la gente è tutta seria e si parla solo di amore, morte e filosofia politica. Ricordiamoci che noi impariamo molto di più dalla commedia che non dalla tragedia riguardo alla vita nell'Atene classica, perché una società è fatta di sberleffi e scoregge più che di sovrani che si accecano e sorelle che raccolgono i corpi in putrefazione dei fratelli.