Informatizzare l'alfabetizzazione delle masse democratiche

Una cosa che difficilmente saprete è che la scuola italiana non è frutto del caso e della sfiga, come si sarebbe portati a pensare, ma è il risultato della volontà di qualcuno. Non è una cosa di cui si parla nei giornali on-line, ma esiste tutta una schiera di pedagogisti, accademici ed insegnanti che elaborano costantemente nuove forme di educazione, che poi vengono tradotte nelle riforme di cui si legge sulla stampa.

Ora, visto i risultati, voi vi immaginerete chissà che cosa. Nella realtà, costoro cercano delle vie per ammodernare la scuola, per renderla al passo coi tempi, per aprirla al nuovo che avanza. Non sembra però, perché la scuola a tutto potrà preparare, ma non certo alle novità più nuove.

Questo perché i pedagogisti, gli accademici e gli insegnanti che parlano di modernità non ne sanno niente. Cioè, loro sanno che là fuori c'è il mondo contemporaneo, ma non ci vivono dentro e non lo conoscono. Infatti, se seguite le lezioni di questa dotta schiatta, non ci capirete niente, perché parlano di un mondo che non esiste e che si sono creati nella loro mente. È come saltare dentro un buco nero in cui il buio sovrasta ogni cosa e non lascia sfuggire il minimo barlume di luce.

Se la vedete dal di dentro, è del tutto logico che la scuola sembri ferma al dopoguerra: non è che non l'abbiano mai cambiata, è che si sono preoccupati di cose irrilevanti o non esistenti, o di adattarsi ad una modernità teorica mai verificata sul campo.

Tutto questo lo dico perché sto seguendo un dibattito (di cui non fornisco i vari link volutamente) in cui ci si chiede come si possano portare le masse italiane ad un livello di “alfabetizzazione informatica” tale per cui riescano ad usare “gli strumenti social del web 2.0” ad un livello superiore di “coscienza ed autocoscienza” in modo da aumentare la “democraticità” di internet.

Leggendo cose del genere, vi sentirete confusi e non capirete bene quale sia il succo del discorso. È normale, non siete abituati a sentir parlare un pedagogista che cerca di riformare la scuola. Se lo lasciate parlare (o se seguite i commenti della discussione) alla fine arrivate alla succo. Che è questo:

Un'insegnante di lettere delle medie che spiega a dei dodicenni come usare Facebook.

L'alfabetizzazione informatica!
Le masse autocoscienti!
Il social web 2.0!

Ma 'nde remengo!
Youporn tutta la vita!

Emozionati e due


L'amico di bloggosità Yossarian mi ha fatto l'onore di dedicare un post al mio post sulle emozioni in letteratura. Siccome discutere troppo a lungo nei commenti non mi piace, e visto che tanto non devo pagare la carta su cui scrivere, gli rispondo a mia volta qui.

La prima critica che mi muove è quella di creare una netta dicotomia fra emozioni e razionalità, e farne due "categorie", due "assoluti" giudicati in quanto tali. La critica è facilmente respingibile in quanto il centro del discorso non stava nel giudizio da dare alle emozioni o alla razionalità, ma nella richiesta del pubblico di avere opere d'arte che suscitino in loro emozioni. Una richiesta di questo tipo non genera che opere mediocri, perché per suscitare emozioni non serve molto, bastano alcuni trucchi del mestiere che (ad esempio) a Hollywood conoscono perfettamente. Un'opera eccelsa provocherà emozioni, ma un'opera mediocre è sufficiente a provocare le stesse emozioni. Considerato che a parità di risultato si cerca sempre la via più economica, la domanda di emozioni genera offerta mediocre.

Continua poi Yossarian:

Se stabiliamo che "generare emozioni" e' male in quanto tale - cosi' come chi lo pensa del "generare razionalita' " - allora possiamo tranquillamente buttare nel cesso duemila anni di letteratura, cosi' in blocco, senza riflettere, criticare e capire.

Anche in questo caso, la critica non tiene conto del fatto che nel post non si stabiliva che “generare emozioni” è una cosa malvagia o deplorevole, ma si cercava di definire una scala di valori, all'interno della quale il “generare emozioni” non occupa il gradino più alto, come invece si tende normalmente a credere. E in effetti gli ultimi 2500 anni di letteratura, per la stragrande maggioranza, sono stati buttati via. Come ho già avuto modo di scrivere, la letteratura che è arrivata a noi è solo un selezione ristrettissima dell'effettiva produzione. È rimasto pochissimo e quello che è rimasto è solo il meglio del meglio.

Ergo attenendosi alla dicotomia degli assoluti insita nel tuo ragionamento, l'Edipo Re e' semplicemente la storia di un tizio che si scopa la madre, Paolo e Francesca una faccenda di corna, e Madame Bovary le menate di una "casalinga disperata".

Constatato che non vi è alcuna dicotomia degli assoluti nel mio ragionamento, siccome hai citato due tra le mie opere di letteratura preferite, adesso ti metti comodo e ti becchi il superpippone. Tutto, fino alla fine e senza discutere. Gli altri possono andare a casa, se vogliono.

Edipo Re. Personalmente, la ritengo la più grande opera letteraria della nostra cultura. Perché parla dell'incesto tra una madre e il proprio figlio? No. L'incesto, in tutta l'opera, rimane in disparte, è il sottotesto che serve al pubblico per comprendere gli eventi, ma non è il fulcro dell'Edipo Re. Con questo non voglio dire che lo spettatore ateniese non fosse scandalizzato e non provasse orrore per quello che accadeva in scena, ma se la tragedia si limitasse a questo, noi oggi non la leggeremmo ancora con amore e dedizione. Che emozioni ci può suscitare un rapporto incestuoso? In internet ci sono migliaia di ore di film pornografici a tema, ci hanno fatto persino una serie di successo negli anni '80? Cavolo, a noi l'incesto piace, sai che emozione leggerti l'Edipo Re, dove l'incesto non viene mai nominato...

So già che c'è un lettore, Tonino il secchione, che si agita sulla sedia ed è preda di violenti spasmi. Stai calmo, Tonino: lo so che c'è la Poetica di Aristotele, lo so che c'è la catarsi, lo so. Come dicevo più sopra, non ho mai detto che le grandi opere (pun not intended) non suscitino emozioni, ma che il suscitare emozioni non sia caratteristica sufficiente per far catalogare un'opera come grande. E con questo ritengo superata ogni critica che parta dalla concetto di catarsi in Aristotele.

La realtà è che l'Edipo Re non parla di un tizio che si scopa la madre, ma è un formidabile dipinto del contrasto tra sapienza religiosa e sapere razionale, tra legge divina e diritto umano, tra tradizione e modernità; non solo Sofocle ci descrive il contesto storico in cui vive (la Grecia che vuole stabilire la supremazia della ragione sulla mistica, che rivendica il primato del diritto positivo su quello divino, che spegne la tradizione tribale per iniziare una nuova forma organizzazione sociale) ma coglie l'essenza di tutta la cultura occidentale dei successivi 2500 anni, dei suoi continui contrasti che tanto la devastano quanto la rendono straordinaria.

Solo che per fare questo non basta suscitare le emozioni di un contadino attico in gita religiosa ad Atene. Ci vuole di più, ci vuole l'intelligenza per capire il proprio tempo e la razionalità di metterlo in prospettiva.

Su Dante e Flaubert c'è poco da aggiungere. Entrambi dicono quello che dico io (anzi, io dico quello che hanno scritto loro), solo che loro la prendono un po' più seriamente. La storia di Paolo e Francesca intende spiegare che usufruire della letteratura che “trasmette emozioni” porta ad un abbassamento delle qualità morali, tale da condurre dritti all'inferno; ma non solo, anche essere l'autore di tale letteratura è attività assai deplorevole. Perché il libro fu galeotto, ma anche chi lo scrisse. E Dante alla fine sviene perché in quel momento capisce di essere uno scrittore che ha “saputo trasmettere le proprie emozioni” ai lettori, e che quindi ha aiutato il loro abbruttimento morale e li ha avvicinati alla dannazione eterna.

E lo stesso per Flaubert, il quale viveva in un tempo in cui la letteratura “che dava emozioni” era ancora considerata paraletteratura destinata ai meno colti e che portava in sé i germi della distruzione.

Sulla questione storica, non ho mai detto che la causa della seconda guerra mondiale siano le emozioni. Ho invece detto che la capacità di suscitare emozioni ha saputo radunare un consenso delle proporzioni viste alle parate di Norimberga. Ancora una volta: il fulcro del discorso voleva sottolineare che “suscitare emozioni” è un'attività relativamente semplice, perché agisce su strutture semplici e primordiali del nostro cervello e che quindi di per sé non ha niente di speciale.

Come dice Yossarian, anche infilare lo scroto nel frullatore provoca emozioni. Che è esattamente quello che si intendeva nel post: provocare emozioni non posiziona l'opera a livelli superiori di giudizio.

Emozionati

Da qualche tempo faccio fatica a trovare un libro, un film, un videogioco che mi soddisfino veramente. Al cinema non ci vado praticamente più. Libri, tra lavoro, casa, donna e il maledettissimo internet ne leggo molti meno e quelli che leggo li trovo insipidi. Videogiochi poi, ormai non ti puoi più fidare nemmeno delle riviste specializzate.
Ma sappiamo quale sia la ragione: è il mondo occidentale che è arrivato al capolinea, la mentalità capitalista che ha invaso ogni anfratto della società, l'anteporre il guadagno all'arte, cercare il consenso delle mas... Scherzo, non è niente di tutto questo.
La colpa invece è nostra. Mia e vostra. Più vostra che mia, ma anche un poco mia.
Poffarre, si chiederà il lettore prima di minimizzare il browser che passa il capoufficio... poffarre, dicevamo, ma perché dovrebbe essere colpa mia?
È presto spiegato. Stiamo parlando tra amici, diciamo di arte (per dire letteratura, o cinema, o che so io) e si litiga e ci si insulta e poi si torna amici, però c'è una cosa su cui tutti siamo d'accordo, e che l'andiamo a scrivere nel nostro blog e a postare sul profilo di Feisbuc: l'arte deve trasmettere emozioni ed esprimere ciò che l'autore sente. Eccovi spiegata la morte di qualsiasi forma d'arte: le emozioni e ciò che sente l'artista.
Le emozioni, queste maledette. Le emozioni sono il livello minimo di esistenza umana ed è quello che ci accomuna agli animali. Provare emozioni è la cosa più banale e semplice che ci possa accadere, al pari di avere fame e sete. Quello che ci eleva al di sopra delle bestie è la razionalità e la coscienza di sé.
Per un qualche motivo che non posso dire di conoscere, negli ultimi decenni ha cominciato a propagarsi l'idea che invece non è così, che le emozioni e le passioni sono quello che ci rende umani, e la razionalità quello che ci disumanizza, tanto che persino nella cultura pop la maschera del personaggio razionale incarna le virtù negative per antonomasia, quasi più dell'antieroe. Spock, in Star Trek, è simpatico come una crisi acuta di diverticolite. Addirittura, in una delle ultime versioni di Star Trek, i terrestri sono dei bruti ignoranti privi di autocontrollo (vale a dire che hanno i sentimenti e quindi sono buoni) mentre i vulcaniani sono affetti da una sorta di forma aliena di autismo (vale a dire che sono razionali e quindi sono cattivi).

Le persone razionali hanno le orecchie
a punta e salutano in maniera strana
Non c'è bisogno di sottolineare che le emozioni, appartenendo alla sfera più basilare dell'essere umano, sono quelle che più facilmente si possono manovrare, manipolare e sfruttare. Con delle conoscenze minime sul funzionamento delle emozioni, non è stato difficile far marciare al passo dell'oca decine di milioni di persone e soggiogare l'Europa; la pubblicità si basa esclusivamente sulla manipolazione delle emozioni (e funziona); la politica si basa sulla manipolazione delle emozioni (e funziona).
Quindi, quando il pubblico chiede ad un libro o ad un film di “trasmettergli emozioni”, sta chiedendo di avere film e libri banali e privi di valore, perché per provocare emozioni non ci vuole molto, sono sufficienti alcuni accorgimenti che qualsiasi produttore cinematografico conosce. Sono facili da riconoscere quando non si è il target commerciale del film: perché gli uomini trovano tutti uguali i film “da donne”? Perché le donne trovano ripetitivi i film d'azione? Perché lo sono. 

Se solo una Dodge Charger
del '69 sfondasse la parete...
Tutti i film sono prevedibili, soltanto che se facciamo parte del target cui il film si rivolge, cadiamo nel tranello e lasciamo che la parte irrazionale (le emozioni) prenda il sopravvento su quella razionale, ignorando quello che altrimenti sarebbe palese.
Esistono forme diverse di questo meccanismo. Cioè, se siete colti ed intelligenti non vi fate prendere da Die Hard, andate a vedere Il Divo, oppure Le fate ignoranti, ma non è che il meccanismo emozionale sia diverso. L'anno scorso sono stati celebrati due film come Up in the Air e The Hurt Locker. Se vi sono piaciuti, non è certo per le loro qualità intrinseche: sono storie già raccontate millemila volte e costruite in modo da far leva sulla vostra parte irrazionale. Poiché nella nostra cultura l'attivazione meccanica di sentimenti è considerata una cosa positiva, voi considerate bellissimi quei film. 
 Un uomo buono, reso cinico dal lavoro

Un uomo buono, reso cinico dal lavoro
Uno scrittore come Stephen King è un grandissimo scrittore e non ce ne sono molti come lui. Ma è anche l'esempio migliore di cosa intendo dire. King ha scelto il genere che più di tutti fonda la propria essenza nell'ingenerare emozioni nel lettore: l'orrore. Anni fa lessi IT: avete presente quel tomo da milleduecento pagine? L'ho finito in 4 giorni, non riuscivo a staccarmene, letteralmente. 
 E sfotte pure
Stessa cosa per The Stand e The Tommyknockers. Non puoi leggere un libro di King e smettere. Perché lui sa come muovere le emozioni del lettore. Ma ciò che rende King straordinario costituisce anche il suo limite. Togliete ai suoi libri l'orgasmo da paura e cosa resta di uno dei più grandi artigiani della scrittura viventi? Ahimé, molto poco. Di fatto è costretto alla letteratura di genere, schiavo della sua stessa bravura a farvi sporcare la biancheria, ma non riuscirà mai ad elevarsi all'eccellenza della letteratura.
Dicevamo anche che è importante quello che l'artista sente. Perché? Nessuno si è mai posto questa domanda? Perché quello che un artista sente dovrebbe rendere il suo prodotto degno di nota? Non ha alcun senso. Le sue emozioni non sono diverse dalle mie, né da quelle di nessun altro, né da quelle dei primati nostri cugini. Sono la soglia minima sotto la quale c'è il coma. Le emozioni sono la cosa più comune che esista tra gli esseri umani e quindi costruirci attorno un'opera d'arte non avrà altro che esito che la mediocrità.
 Ci siamo capiti, no?
Quindi, per concludere, quando infestate l'interwebz dichiarando solennemente che l'arte deve trasmettere emozioni e l'artista deve rappresentare quello che sente, sappiate che mi state condannando a dovermi impegnare a schivare film noiosi e libri mediocri. Per dire, nella mia lista Wish List di Amazon c'era da un po' The Road, il libro del premio Pulitzer, osannato, fatto il film, che bello. Vedo che piace in giro, mi dico che forse c'è del buono, poi leggo una recensione in cui si dice che finalmente un libro che regala emozioni vere. Ti saluto, Cormac.
Basta emozioni, vi prego. Datemi intelligenza e razionalità, bravura e talento, ma emozioni no.

Gli esami finiscono prima o poi

Ma oggi comincia l'esame per il pezzo di carta! Italiano. Lo scritto di italiano, meraviglioso. Prendete un adolescente, dategli carta e penna ed insegnategli che per ottenere l'approvazione dell'autorità deve creare in meno tempo possibile un testo in cui esprima il suo pensiero su un argomento qualsiasi, senza il supporto di alcuna fonte.
Non stupisce poi che il mondo sia popolato di gente che sente il bisogno di scrivere la propria opinione su tutto, senza saperne niente, convinti che “questa è la mia opinione” sia un argomento valido: gliel'hanno insegnato a scuola...
(ah, baideuei: la traccia sugli iu-ef-ou non era sugli iu-ef-ou, ma sulle possibilità di vita al di fuori del nostro pianeta. Giornali, inutili come sempre.)
(c'entra niente ma: il prossimo post lo volete di politica o di cultura?)

Centesimo post

100 post in 10 mesi. Effetto cifra tonda, proprio. Fanno quasi 7000 visitatori unici assoluti. Di cui la maggior parte è arrivata cercando il modo di costruire un ottagono irregolare (che non deve essere difficile, se sai contare fino a 8). Altri sono arrivati cercando materiale per le interrogazioni di storia tardo ellenistica e poi la percentuale fisiologica di chi cerca del porno. Ma le chiavi di ricerca che tengo nel cuore sono due: 


La cosa che mi fa più piacere:

Pochi accessi al mio blog, ma praticamente da ovunque. Cioè, fa impressione sapere che è così facile comunicare con tutto il mondo a costi irrisori.
Un ringraziamento particolare ai siti che mi hanno portato più accessi: London Alcatraz, Tra Cielo e Terra e In Minoranza. Senza di voi, non sarei mai arrivato ad avere una media di 37 visitatori unici al giorno negli ultimi tre mesi. Grazie.
Poi, vorrei invitare tutti i lettori che di solito non commentano a lasciare un saluto, così... tanto per contarsi. E magari c'è qualcuno a cui sto particolarmente sullo stomaco: non siate timidi e fate sentire la vostra voce!
Se c'è qualcosa che non va nel blog, fatemelo sapere. Per esempio, ho notato che in Blogger alcuni “gadget”, quelle cose stilosissime sparse per la pagina tipo “Lettori fissi” o “Ultimi commenti”, mi fanno impennare il consumo di CPU, la ventola parte che sembra una turbina e sono costretto a bloccarli con NoScript. A occhio e croce qui da me non ci dovrebbero essere particolari problemi, però nel caso lasciate un messaggio.
(a proposito, credo di avere qualche problemino con la temperatura della scheda grafica, o della motherboard, o che so io, perché soffro di freeze che mi sembrano di chiara origine febbrile. C'è qualcuno che ha una dritta a riguardo?)
Così insomma. Grazie a chi mi legge, grazie a chi si ricorda di sbloccare Analytics (AdBlock lasciatelo pure, qui non c'è pubblicità) e buon proseguimento di lettura. E ricordo a tutte le mie fans che potete scrivermi in qualunque momento del giorno e della notte.

Oggi vi spiego il multiculturalismo

Stasera usciamo io e Frau Angelo, verso l'ora di cena. La strada un po' mondana della città, ma verso la fine, dove tanto mondana non è più. Un signore tra i 50 e i 60, di chiara origine mediterranea (greco, italiano, turco?), parcheggia la propria Mercedes dove non si può. Tre ragazzotti tedeschi, intenti a far nulla e bere birra, aspettano che il signore si allontani e poi gli gridano dietro che non può parcheggiare lì.
Il signore, vedendo che tre giovani bionde bestie ariane si accaniscono contro di lui, cosa fa? Scappa intimorito? Sposta la macchina? Farfuglia delle scuse? Certo che no! Torna sui suoi passi e con aria di sfida grida loro di rimando “cosa volete?”
E loro “ha parcheggiato dove non può!”
“Eh, e allora?”
“E allora non può parcheggiare lì”
Il signore, visibilmente irritato: “E allora chiama la polizia. Dai, chiama la polizia!” E i tre ragazzi dicono qualcosa che non comprendo, ma abbassano decisamente la cresta. A questo punto arriva un altro tedesco che cerca di buttarla in ridere e dice al signore che alla sua età incazzarsi non fa bene alla salute e anche lui si becca la sua bella salva di improperi dal mediterraneo.
A questo punto il signore, dopo aver sfidato i tre giovani a chiamare la polizia, dopo aver insultato uno che passava, si congeda dando dei nazisti a tutti quanti e se ne va, lasciando la macchina in divieto di sosta e senza parole i tedeschi.
Io sono lì che me la rido, perché – onestamente – intanto devi averne un paio di grossi per sfidare apertamente tre ragazzi a quell'età, secondo perché ha ragione: qui se vedono qualcuno steso a terra che non si muove, passano oltre, mentre se parcheggi in divieto di sosta chiamano la polizia.
Frau Angelo mi dice qualcosa in cerca di riprovazione per l'increscioso comportamento del signore ed io le faccio notare che al suo posto avrei fatto la stessa cosa. Perchè? mi chiede attonita e inorridita. Perché dovete imparare a farvi i cazzi vostri.

Se pensavate che gli italiani fossero maestri d'eleganza

Quando si vive all'estero da un po', diventa stranamente facile individuare gli italiani che vi circondano. Non tanto quelli che vivono qui, quanto quelli che arrivano per qualche tempo, turismo soprattutto, oppure brevi viaggi di lavoro.
Gli italiani li riconoscete subito, perché – estate o inverno, pioggia o vento, giorno o notte che sia – sono quelli che in cima alla scaletta del volo Ryanair hanno gli occhiali da sole. Una volta non capivo perché tutti gli stranieri che conoscevo mi chiedessero perché non avevo gli occhiali da sole. Ora capisco: gli italiani sono gli unici che li portano sempre. Anche al buio. Anche con la pioggia.
In inverno si notano ancora meglio: in cima alla scaletta della Ryanair, con gli occhiali da sole e il pelo di cane intorno al collo. Se, mentre nevica, vedete qualcuno con occhiali da sole e pelo di cane intorno al collo, andate sul sicuro.
L'italiano arriva in Germania (o comunque all'estero) e compie sempre il medesimo rito: primo piede che tocca il suolo tedesco, e già comincia a lamentarsi del caffè. Dico, aspetta almeno di raccogliere il bagaglio e andare al bar... E per tutta la permanenza in Germania non farà altro, sia chiaro. E' un atteggiamento talmente radicato che almeno una volta a settimana devo scusarmi con gli astanti, di qualsiasi nazionalità essi siano, perché io bevo caffè tedesco e non mi lamento che non sia buono come in Italia. Mi guardano con due occhi così.
Ancora prima che il bagaglio arrivi sul nastro, sta già telefonando. Ma non telefonando tipo “Hallo Jurgens, sono arrivato in aeroporto puoi venire a prendermi?” No no, sta telefonando in Italia e parla del viaggio (50 minuti di volo, capirai) e di come è andata. Una volta, mentre aspettavo la valigia, un signore stava chiamando l'idraulico che andasse a casa di sua madre a sistemare non so cosa.
La caratteristica principale dell'italiano all'estero, comunque, è la totale mancanza di consapevolezza di essere all'interno di una cultura diversa, in cui ci si relaziona in maniera diversa. Per esempio, una cosa che mi piace dei Paesi d'oltralpe è che, negli spazi pubblici, la gente non rompe. In metro, per strada, al supermercato si parla a voce moderata, il cellulare non ha la suoneria attivata e in generale non si fa casino. Poi d'improvviso entrano in scena tre o quattro italiani che sembrano tutti sordi: gridano, telefonano (in Italia, perché se sei in metro a Berlino non puoi non telefonare in Italia). Non riescono a fare come tutti, stare seduti e parlare piano. Non si rendono conto che tutt'intorno a loro la gente è calma, tranquilla, non urla. Imperterriti.
Quando poi parlano con degli autoctoni, non sono in grado di mettere a fuoco che in altre culture non si gesticola o si gesticola in maniera diversa. Io, quando parlo con dei tedeschi, non gesticolo, perché è un modo di comunicare che non comprendono e quindi non facilita la discussione, la complica. Infatti spesso mi chiedono di tradurre i gesti degli italiani che smaniano a bracciate ampie e ben distese, perché il linguaggio del corpo è tanto peculiare quanto la lingua madre ed altrettanto incomprensibile ad uno straniero. Non è che ci voglia un genio a capirlo (ci sono arrivato anche io), ma i miei compatrioti no, loro sono fieri di questa cosa, chiaro segno dell'incapacità di relazionarsi con qualcosa che sia minimamente diversa dal proprio ombelico.
Per gli italiani c'è una cosa che però le trascende tutte: l'inglese. In tutto il mondo, l'inglese è una lingua che si impara e si usa. Per noi no. Per noi è come il corpo mistico di Cristo, un qualcosa di metafisico che lega tra loro i sudditi di Sua Maestà britannica e dalla quale noi siamo esclusi, per sempre ed a priori. E così non vale nemmeno la pena di impararlo.
Salvo poi andare in Inghilterra, pretendere di parlare inglese anche se non lo si conosce e lamentarsi che gli inglesi sono proprio dei cafoni perché fanno finta di non capire quello che hai detto, che insomma dai uer iseee deee bass-stoppeee? si capisce benissimo. Per non parlare del fatto che bestemmiano senza pudore, perché si credono gli unici a poter comprendere quel che dicono. Nemmeno sfiora la loro mente che ci possa essere un tedesco che parla italiano, o un italiano che parla italiano.
In Germania la prostituzione è legale. Ci sono alcune zone della città dove può capitare di incontrare delle signorine molto a modo che tentano di fare amicizia con voi. Per esempio, a Berlino in Oranienburger Strasse, che è una strada nota e ben frequentata e non certo un posto degradato. Per dire che nelle citate signorine ci si può imbattere anche se si è realmente intenti a far altro. Di solito il tentantivo di abbordaggio va così: prima mi chiedono se parlo inglese o tedesco (che sono straniero è chiaro). Se rispondo che fa lo stesso, mi chiedono da dove vengo. Italia. A questo punto si fermano, mi guardano e chiedono conferma del fatto che sia italiano. Sì perché? Perché hai detto che parli tedesco e inglese. Sì be', il mio tedesco ha ampi margini di miglioramento, ma per la situazione è più che sufficiente. Ah no, perché di solito gli italiani non parlano niente, solo italiano e basta. Eh, invece no, pensa. Ciao stammi bene.
Le prime volte invece cercavo di svicolare in maniera molto maschia, ricorrendo al più classico dei mmmpfrgllnfsitri. Le signorine, che il loro mestiere lo sanno fare bene, attaccano con il parimenti classico da dove vieni. Italia. Ah viiivaittalia, bellaittalia, ciao amore, bombino, begorina, scobare... (la “p” è un po' ostica da pronunciare, si sa). Sì ciao, ora che hai gridato “begorina” di fronte a 15 turisti giapponesi sono proprio eccitato. Badate però che se parlate in tedesco o in inglese non vi diranno mai cose del genere anzi, saranno decisamente educate, segno che non sanno esattamente quello che stanno dicendo.
E questo mi ha fatto capire due cose: che il livello culturale dell'italiano in gita è inferiore a quello di una prostituta che esercita in strada (con tutto il rispetto per le prostitute, che non vuol dire che sono sceme solo perché sono prostitute). E che gli italiani, quando interagiscono con una prostituta, iniziano a esprimere frasi senza senso tipo “bella Italia” e “pecorina”. Siccome la prostituta in questione non ha coscienza di quello che sente, ma lo sente dire da tutti gli italiani che incontra, impara che ogni volta che vede un italiano deve parlare come un tamarro di periferia.
Se entrate un po' in confidenza con qualche ragazza straniera, prima o poi vi confesserà che è universalmente noto come gli italiani ci provino sempre, con tutte ed in maniera ossessiva. Diciamocelo: siamo sputtanati. Non siamo tutti così, ma il fatto è che per il mondo girano orde di italiani infoiati convinti che le straniere siano delle ninfomani allo stadio terminale, e poi ci andiamo di mezzo tutti.
Secondo me è anche interessante da un punto di vista antropologico: perché gli italiani vanno all'estero pensando che le donne di lì la diano a tutti senza pensiero, senza discernimento, senza logica? La realtà non è quella, ma cosa fa scattare questo pensiero? È ancora una volta l'idealizzazione di un estero mitologico, dove tutto funziona meglio e persino per raccattare una ciulatina non si deve far fatica? Il sesso come parte delle prestazioni assistenziali fornite dallo Stato?
Alla lunga queste scene intaccano il tuo orgoglio di italiano. Che c'era. Ma poi cominci a vedere certe cose. Ti rendi conto che non esci più con altri italiani perché ti vergogni; non ce la fai più a sopportare i tuoi connazionali che trattano i camerieri come servi; che quando c'è da pagare succede sempre il finimondo e alla fine c'è sempre qualcuno che non ha messo tutti i soldi. Sempre sempre sempre. Che non sanno stare a tavola in maniera educata senza disturbare tutti i clienti di un locale. Che appena ottengono un ruolo di minima responsabilità sul lavoro, cominciano a piazzare chi garba a loro nei posti che contano; che appena superano la massa critica, cercano subito di avvilupparti nella loro rete di amici della quale non hai nessun interesse a far parte.
Così quando a volte mi sento triste perché al bar, di pomeriggio, vedo i vecchietti bere un caffè e mangiare un Bockwurst da due etti con la senape (senape e caffè, la merenda dei campioni), guardo fuori, la strada fredda, bagnata dalla pioggia, buia perché qui è buio sempre, è buio dentro, e vedo un cretino con gli occhiali da sole che grida bestemmie mentre persino le prostitute lo evitano schifate, ordino un Bockwurst anch'io. Ma senza caffè. Meglio una Coca Cola. 


True Blood terza stagione

I quesiti dell'estate

Si è più sfigati ad aspettare l'11 giugno per i mondiali o il 14 giugno per l'E3 di Los Angeles? Dite la vostra nei commenti.
(Come dite? Non sapete cos'è l'E3 di Los Angeles? Poco male, io non so nemmeno chi sia l'allenatore dell'Italia).

E ci lamentavamo di "cmq" e "xké"

Noto da qualche tempo a questa parte (nel senso che ho cominciato a notarlo da poco, non che sia cominciato da poco) che tra i blogger e i commentatori dell'internet si sta radicando un uso curioso di un'abbreviazione solitamente destinata a testi più seriosi. Mi riferisco all'uso di “cit.
Come dicevo, quest'abbreviazione è sempre stata confinata alle note a pie' di pagina di saggi e scritti accademici. Si usa in un caso in cui non si deve usare op. cit. Op. cit. è l'abbreviazione del latino opus citatum e si utilizza per indicare un'opera citata – appunto – nella nota precedente, senza dover riscrivere tutta la tiritera. Cit. si adotta al medesimo scopo, ma quando si fa riferimento ad una nota precedente non contigua. Credo. L'importante è che entrambe significano “opera citata”.
Nel rutilante mondo della blogopalla, qualcuno ha scoperto l'abbreviazione cit. Solo che, non conoscendone il significato, le ha attribuito quello più intuitivo di “citazione”. E fin qui la cosa mi lascerebbe indifferente, abbiamo tutti cose migliori da fare che non badare a queste sciocchezze. Quello che mi fa rizzare i peli degli stinchi è l'uso che si fa di cit.
Che è il seguente: qualcuno scrive un testo qualunque e tra le righe ci infila una citazione. Poi, dopo la citazione, tra parentesi ci sbatte cit. Che è un po' come raccontare una barzelletta e spiegarla ancora prima che la gente rida. Cioè, mettere delle citazioni nei testi si è sempre fatto. Nei testi poetici e letterari, come anche nei dialoghi tra persone in carne ed ossa, la citazione non è mai sottolineata, non è mai indicata, perché è un gioco che si instaura tra l'autore ed il fruitore, è l'occhiolino strizzato al lettore colto e serve a condividere un qualcosa in più con un cerchia ristretta di persone. Lo scopo di fare una citazione, quindi, è proprio quello di rivolgersi ad un numero inferiore di lettori. Certo, una cosa del genere potrebbe essere considerata preambolo allo start sucking each other's dicks, ma in questa sede non interessa.
Se il nostro cittadino della rete decide di fare una citazione, non deve indicarla in alcun modo, altrimenti viene meno il senso di fare la citazione. Se Foscolo avesse scritto su Facebook, ne sarebbe uscito qualcosa del tipo:

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente
(cit.), me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.

E se Catullo fosse vissuto ai giorni nostri, dovremmo leggere poesie del genere:

Quello mi sembra simile a un dio, (cit.)
quello mi sembra superiore agli dei - se non suona bestemmia -, (cit.)
perché, seduto innanzi a tè, senza scomporsi,(cit.)
ti vede e ti ascolta,(cit.)
mentre dolcemente sorridi; a un tuo sorriso invece io miseramente(cit.)
mi sento tutto svenire, perché non appena
ti scorgo, o Lesbia, non mi rimane neppure
un filo di voce.
Si paralizza la lingua, una sottile folgore(cit.)
per le membra mi scorre, mi ronzano le orecchie(cit.)
di un interno suono, mi cala sugli occhi(cit.)
duplicata la notte.(cit.)

Capite che la cosa non ha senso? O si fa la citazione e la si affida alla sensibilità del lettore, oppure si mette la citazione tra virgolette e si dice chiaramente chi si cita. Non questo continuo “guarda, ho fatto una citazione, te la mostro col dito. Ma non ti dico di chi è. Ah-ah!”
Poi ci sono quelli più evoluti, che hanno scoperto l'esistenza di [N.d.A.]. È un'abbreviazione che si trova, mi sembra, assai di rado, perché difficilmente un autore mette una nota al testo che sta scrivendo, ed in effetti di solito viene utilizzata all'interno della citazione di un testo altrui, oppure, in opere di letteratura in prosa, per indicare uno spiegone messo in mezzo senza particolare motivo, giusto per. Invece l'internauta moderno ne ha del tutto travisato la funzione e la usa in sostituzione delle care, vecchie parentesi o di una incidentale. Per esempio:

Allora, ieri avevo voglia di smanettare con il PC e allora ho pensato che potevo installare questo software che promette di boostare le prestazioni della CPU e di sfruttare al 100% la mia SV nVidia [cosa che avevo già fatto il mese scorso NdA] e allora ho cercato dappertutto ma non riesco a trovarlo.

Che Anubi mi assista, cosa c'entra NdA? Sei tu l'autore del testo, cosa ti metti, le note al tuo testo? Qual è il prossimo passo, togliersi una costola? Se davvero NdA si usasse in questo modo, avremmo versi del genere:

S’i’ fosse Cecco, [com’i’ sono e fui NdA],
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.

Invece no, non li abbiamo. E ci sarà un perché... Comunque, come sempre esiste una soluzione: se tu, giovane o vecchio internauta, ti sei per ventura trovato tra le mani un qualche saggio o paper o articolo accademico, e trovi tutte quelle abbreviazioni così carine, fa' una cosa: dimenticale. Non usarle. In nessun caso. Mai.

Una curiosa mancanza

Stavo pensando che, a mia conoscenza, non esistono termini volgari che indichino il clitoride. È strano, perché in italiano solitamente vi è un vocabolario assai ricco e molto “rude” per indicare la zona genitale e anale.
L'unica spiegazione è che fino a pochissimo tempo fa, generalmente, nessuno sapesse dell'esistenza del clitoride.
Interessante.

Gli ingegneri alieni non progettano robot umanoidi

Qualche consiglio per gli autori di videogiochi a sfondo fantascientifico. Provate a riflettere prima di ideare un nuovo gioco, che ne dite?
Basta scenari postapocalittici: New York distrutta, le piante che crescono sui grattacieli, strade non percorribili. Basta.
Se proprio dovete sfruttare l'apocalisse, non è possibile che si salvino solo comunità di fricchettoni. I fricchettoni saranno i primi a morire, in un'apocalisse. La cosa più probabile è che riescano a sopravvivere solo quelli che hanno conoscenze tecniche adeguate. Preparare chilum non è una conoscenza tecnica.
Qualsiasi apparecchiatura ha bisogno di energia per funzionare, persino i carretti. Quindi, in un mondo dove al massimo si produce elettricità con una dinamo attaccata ad un mulino, non è possibile che tutte le apparecchiature elettroniche funzionino sempre, anche se prive di una qualsivoglia alimentazione. Decidete: o il mondo è regredito ad un livello tecnologico minimo e non ci sono computer funzionanti, oppure il mondo non è regredito ad un livello tecnologico minimo e allora i computer funzionano.
Lo steampunk è affascinante, ma non si capisce per quale motivo nel futuro debbano avere apparecchiature elettroniche di ghisa, grandi come una locomotiva e tutte incrostate di sostanze non meglio definite.
La tecnologia, a quanto pare, tende a produrre manufatti sempre più piccoli e leggeri. Perché nel futuro devono avere sempre macchinari giganteschi, ospitati nel cuore della Terra, azionati da ingranaggi (di ghisa) che sembrano quelli di Tempi Moderni?
I robot non prenderanno il controllo della Terra. Non scherzo. Ai robot non importa niente di comandare la Terra.
Se create un mondo dove i robot comandano la Terra, perché dovrebbero costruire altri robot a forma di cane, pesce, scorpione, foca monaca? Perché dovrebbero mandare pattuglie di robot a controllare la presenza di essere umani superstiti casa per casa, a coppie, quando basterebbe fare una ripresa aerea con una telecamera a raggi infrarossi? Cioè, perché i robot dovrebbero avere un'IA avanzatissima ma una tecnologia inferiore a quella di un moderno esercito umano? Come hanno fatto a vincere? Perché non li abbiamo sconfitti?
Se vi cimentate in una space-opera, non inventatevi la federazione di specie aliene.
Se proprio volete la federazione interstellare, non – ripeto: non – dipingete gli alieni come specie superiori, razionali e senza sentimenti, e gli umani come outsider analfabeti informatici buoni solo a rompere le regole sacre della federazione, che però alla fine gli alieni intelligentissimi, siccome sono razionali, non hanno i sentimenti e allora avevano torto loro e ragione gli umani.
Se gli alieni sono più avanti di noi, ci annienteranno, oppure ci renderanno schiavi, oppure ci lasceranno perdere; ma di certo non ci accetteranno alla pari all'interno del più importante strumento politico modellato per mantenere la pace nel precario equilibrio della galassia.
Mai. Più. Marine. Dello. Spazio.
Che siano gli esseri umani del futuro o una civiltà aliena, fatevene una ragione: non esiste architettura in alcun angolo dell'universo che preveda di costruire edifici composti di piattaforme da superare a salti. Non esiste ingegnere che progetti una fabbrica, un impianto di raffinazione delle deiezioni umane, un hangar per astronavi che sia fatto di piattaforme. Tantomeno piattaforme mobili. Tantomeno piattaforme mobili accanto a fiamme libere che vengono sprigionate ad intervalli regolari.
In territorio alieno o robotico, non ci sono kit di pronto soccorso comptaibili con la fisiologia umana.
Gli scudi energetici sono un'idiozia.
Perché gli alieni sono degli esseri umani deformi? Perché i robot che controllano il mondo sono sempre a forma di essere umano?
Fate un giro per la vostra città: vedete in giro scatole incustodite piene di munizioni e razzi RPG? Ecco, per quale motivo nel futuro controllato dai robot, invece, ad ogni angolo di strada c'è un bussolotto pieno di bombe al plasma?
I mecha giganteschi stanno alla tecnologia di fantascienza come The Fast and the Furious sta alla Formula 1.
Perché vi ostinate a far vestire la gente come se uscisse da un numero di Hokuto no Ken?
Ricreare un mondo profondo e complesso non significa inventarsi pagine e pagine di una fantomatica enciclopedia galattica: è come dire che la Divina Commedia è straordinaria perché ci sono le note a pie' di pagina che spiegano chi sono i vari personaggi incontrati da Dante e quali sono le allegorie teologiche. Sì, Mass Effect, ce l'ho con te...
La sospensione di incredulità non è compresa nel prezzo di acquisto. Dovete impegnarvi.
In occidente ci sono bravissimi scrittori di science fiction, perché non vi ispirate a loro, invece che a qualche leggenda orientale di cui avete letto su Wikipedia e cioè di cui non sapete niente tranne quello che c'è scritto in qualche manga tradotto male?
Nel futuro non si prevede che la Terra arresti il suo moto di rotazione e il giorno e la notte continueranno ad alternarsi. Significa che nel futuro non farà buio 24/7.
Provate a pagare una sola persona per scrivere la trama, i dialoghi e la sceneggiatura del videogioco. Possibilmente qualcuno la cui formazione vada oltre Final Fantasy, Il Signore degli Anelli e Dungeons & Dragons. Questo dovrebbe aiutare a risolvere i problemi di cui sopra.