Tuas sortes arcanaque fata

Quello che spesso mi fa disperare è vedere che nei comportamenti umani c'è sempre un sottofondo di arcaico ed irrazionale che tutto il progresso scientifico degli ultimi 250 anni non è ancora riuscito a estirpare. Generalmente noto soprattutto un approccio magico alla realtà che è lo stesso uguale identico da migliaia di anni.

Prendete l'uso della parola. Le società arcaiche consideravano la parola, sia scritta che parlata, uno strumento in grado di alterare la realtà fisica. Gli incantesimi, i libri sibillini, le formule scaramantiche, le preghiere... tutte parole che venivano usate per modificare il corso degli eventi.

Al giorno d'oggi, benché sotto altre forme, questa visione del mondo persiste molto più di quanto non si pensi. Prendiamo la cosiddetta politically correctness. Essa altro non è che il tentativo di modificare la realtà (sociale) per mezzo della parola. Così usare African-american al posto di nigger dovrebbe aiutare la situazione socio-economica degli afro-americani. Chiamare gli immigrati "migranti" dovrebbe aiutare i nuovi venuti a rifarsi una vita nel Paese ospitante.

È chiaro a chiunque dotato di un minimo di raziocinio che tutto ciò è falso. Il ragazzo che vive negli housing project, senza padre, con la madre prostituta dipendente da crack, ha le stesse probabilità di finire male sia che lo si chiami nigger, sia che lo si chiami African-american. Ugualmente chi è "migrante" avrà gli stessi problemi e le stesse difficoltà di chi è "immigrato", anzi forse un pelo di più, visto che l'immigrato è arrivato, il migrante è sempre lì che gira come uno scemo per mantenere fede al participio presente.

A quanto pare un ministro italiano ha detto che il lavoro non è un diritto. Naturalmente gli sciamani si sono scatenati, perché nella loro testa neolitica definire il lavoro non come un diritto fa perdere il lavoro a chi ce l'ha e impedisce a chi non ce l'ha di trovarlo. Per qualunque persona raziocinante la questione dovrebbe apparire invece per quello che è: definite il lavoro un diritto, definitelo un non-diritto; definitelo un dovere, definitelo un piacere. Che tanto non cambia niente nel mondo reale. Che lo sia o non lo sia, è irrilevante alla fine di trovare, avere, mantenere il proprio lavoro. 

Cioè, poniamo che ci mettiamo d'accordo nel definire il lavoro un diritto. In forza di ciò, provi il candidato a trovare lavoro e dimostri che è più facile trovare lavoro. Anzi, magari provi ad andare a un colloquio e ad affermare perentorio al tiziodellerisorseumane che il lavoro è un diritto, così ci facciamo pure due risate che non ci stanno mai male.

L'unico problema che vedo qui è che abbiamo tirato su un sacco di gente che pensa di poter influenzare la realtà per mezzo delle parole. E che si aspettano un lavoro perché la magica parola scritta sul libro sacro della Sibilla della Costituzione esprime la parola "diritto".

Buona fortuna a pagare il mutuo.

11 commenti:

bionda84 ha detto...

clap clap!

Mike ha detto...

Anche le leggi e la costituzione della repubblica italiana sono solo parole.
Se un ministro della repubblica afferma che il lavoro non e` un diritto mentre la costituzione afferma che il lavoro e` un diritto dimostra quantomeno una grave ignoranza per la funzione che ricopre, visto che il suo lavoro sarebbe anche quello di occuparsi di lavoratori e disoccupati nel rispetto della legislazione italiana.

Tommy Angelo ha detto...

Anche non sapere il paternoster è una grave ignoranza, ma questo continua a non cambiare niente nel mondo reale.

Gabrer ha detto...

OT: Prova Disquis. Messaggio da cancellare

Gabrer ha detto...

Sono più in disaccordo che in accordo.

E' vero che la parola è una semplice categoria descrittiva della realtà, e da tale dovrebbe essere tratta.
Ma se le parole non portano un cambiamento concreto della realtà, non si può fare finta che noi esseri umani non attuiamo la nostra capacità di modificare la realtà concreta a partire dal nostro mondo simbolico.

Una stretta di mano non ha mai provocato nessun cambiamento concreto sulla realtà, oltre ad energia termica dovuta all'attrito da sfregamento, eppure come pensare che questa
http://www.ilpost.it/files/2011/08/101870896.jpg o
http://3.bp.blogspot.com/-H4zTJ8pl3vc/T1fiwy-auKI/AAAAAAAAGgU/Vgg3t38IHKk/s1600/berlusconi_papa.jpg non abbiamo avuto un riscontro concreto del reale?

Oggi in molti danno un valore distorto alla parola (penso sia una re-azione al credito cresciuto a dismisura verso la comunicazione BTW).
Ma nella fattispecie di un ministro che si occupa di lavoro e delle relative riforme, che veda il lavoro come un diritto o meno non mi sembra roba da politically correct seppur tutti i farlocchi del caso si siano accodati, IMHO.

Forse non siamo poi tanto in disaccordo.

Tommy Angelo ha detto...

Non è questione di correttezza politica. È questione che un essere umano deve mangiare, cioè deve introdurre degli alimenti che sostengano le sue funzioni vitali. Questa è una necessità fisiologica dalla quale non possiamo sottrarci, a meno di morire.

Siccome il cibo in tavola non ci arriva da solo, bisogna procurarselo, cioè bisogna lavorare. Il cacciatore-raccoglitore, il contadino, il manager con l'ufficio nella City di Londra.

Non si può stare senza lavoro perché altrimenti non si soddisfa una necessità fisiologica. Mangiare, bere, respirare e lavorare sono condizioni senza le quali non si vive.

Che tu le chiami diritti o no, è del tutto irrilevante. Se non respiri o se non lavori semplicemente non ci sei. E se qualcuno stabilisce che il lavoro non è definibile come un diritto, la tua necessità di lavorare non cambia; così come non cambia nel caso in cui sia definito un diritto.

Devi lavorare sempre e comunque, altrimenti non sei (perché muori), e se non ci sei fisicamente non ti possono nemmeno mancare i diritti, perché i diritti si applicano alle persone vive.

Gabrer ha detto...

E' vero che il diritto non è un oggetto appartenente alla sfera della concretezza, a differenza delle necessità fisiologiche e del cibo.

Ma non puoi far finta che il contesto in cui sei inserito non è più (per fortuna) quello dell'uomo nudo e crudo, come un fungo nella foresta. Esiste uno strato simbolico che tanta fatica è costato, che nonostante sia simbolico ha ripercussioni molto concrete.

Che il nostro sia uno "stato di diritto", non significa che esista qualcosa di concreto, "il diritto", ma che delle regole scritte, e custodite a Roma nel nostro caso, vanno rispettate pena qualcosa di molto concreto.

Semplificando, nello spazio simbolico delle regole custodite a Roma, la cui mancata applicazione ha conseguenze molto concrete, deve esistere la norma per la quale chi osteggia il lavoro si trova la polizia a casa?
Chi fa firmare la lettere di dimissioni in bianco alle donne deve trovarsi la polizia molto concreta dietro casa?
I soldi che riscuoto forzatamente (le tasse) devono essere finalizzate alla creazione di condizioni utili al fiorire di attività? O mando concretamente a casa chi li vuole usare per pagare super pensioni?

Rendere il lavoro un diritto significa questo, e non come giustamente tu critichi, che il pane diventa pane sceso dal cielo (o da Roma).
Purtroppo è vero che la tendenza è sempre più a intendere i diritti per come tu li rigetti, ma il rischio di destrutturare l'aspetto simbolico che tanto aiuta a vivere meglio concretamente, sarebbe come non credere che la matematica porti a migliorare il concreto :)

Tommy Angelo ha detto...

Correggimi se sbaglio. Il diritto è proprio delle società complesse, dove si creano regole generali per mantenere l'integrità della società medesima.

Quindi il diritto di voto, o il diritto alla difesa in tribunale, sono situazioni che nascono solo all'interno di gruppi sociali complessi.

Non esiste il diritto di voto in un gruppo sociale primitivo, come non esiste il diritto alla difesa in una società dove non esistano processi formali codificati per legge.

In più, non esistono diritti in relazione al singolo uomo, ma solo nella gestione dei rapporti tra uomini. Un ipotetico uomo solo non ha bisogno di alcun diritto, perché manca il contesto sociale che possa generare la necessità di avere diritti.

Al contrario, mangiare o bere sono necessità che non cambiano o nascono al mutare della complessità della società: deve mangiare tanto il cavernicolo che vive da solo in un'isola del Pacifico, quanto il Presidente degli Stati Uniti che gestisce la politica mondiale. Non c'è alcuna differenza tra i due, da questo punto di vista.

Ugualmente, sia il cavernicolo che Obama devono lavorare per mangiare, e anche il lavorare non cambia o non sorge in relazione alla complessità del contesto sociale in cui ci si trova. Devo lavorare io come doveva lavorare chiunque altro prima di me.

A te viene facile considerare il lavoro un diritto perché consideri lo Stato un fornitore di servizi (più o meno di basilari). Quindi per te considerare il lavoro un diritto è molto conveniente, perché un diritto tuo diventa un obbligo da parte dello stato di fornirtelo.

Ovviamente questo funziona bene all'interno degli Stati, organismi molto complessi dove si riesce ad usare le regole formali per ottenere vantaggi particolari.

Ma il lavoro non è un diritto proprio perché, anche se tu elimini lo stato di diritto e lo spazio simbolico delle regole, la tua necessità di lavorare non cambia in nulla (al contrario dei diritti veri e propri come il diritto di voto, alla difesa ecc.)

King_DuckZ ha detto...

Credo che in realtà Gabrer voglia dire che lo Stato, in base a se il lavoro è un diritto o meno, deve dare certi obblighi a chi ti propone un contratto di lavoro.

Facciamo un esempio: mangiare è un diritto. Se tu, genitore, neghi il cibo a tuo figlio minorenne puoi essere denunciato. Non perché tuo figlio muore o rischia la morte, ma perché hai infranto una regola. Dovevi dar da mangiare a tuo figlio e non l'hai fatto. Se muore diventa omicidio che è tutt'un'altra cosa.
Se tuo figlio invece, grasso come un'oca, ti chiede l'iPad e tu (giustamente) glielo neghi, nessuno ti denuncia (a meno di trovarti in Svezia).

Per il lavoro, credo che il discorso sia diverso. Certo, se al colloquio gridi dicendo che se non ti assumono denunci tutti mi sa che non vai da nessuna parte, al massimo al manicomio. Se però lavoro = diritto significa che quando l'azienda per cui lavoro fallisce lo Stato mi da un rimborso mensile allora il discorso cambia. Magari è una cosa mal formulata, su questo siamo d'accordo. E in fondo la Legge non è che un insieme di regole a cui si cerca di non dare ambiguità e con cui si cerca di coprire tutti i casi possibili. Di per sé chiamare il lavoro un diritto o un dovere non cambia le cose, ma avere testi scritti in modo inequivocabile ti porta ad avere torto o ragione in questioni altrimenti ambivalenti. Le leggi sono regole scelte da noi. Magari in qualche realtà parallela avere un iPad è un diritto, avere il pane no, e quando vai a lamentarti alla Polizia che tuo padre non ti dà da mangiare da giorni anche se fai pena non possono farti niente perché ci si attiene alle regole.

Gabrer ha detto...

Sono d'accordo nelle tue premesse, non condivido le conclusioni.

Partendo dalla fine: <>, non cambia quella di mangiare, quella di lavorare potrebbe, eccome. Potrei creare con un piccolo sforzo iniziale una situazione di rendita perpetrata attraverso il sopruso, e così anche i miei figli non avranno bisogno di lavorare.
Per vedere questo non c'è bisogno di immaginare scenari fantasy, basta guardare il feudalesimo e le monarchie assolute (che caso vuole siano state uccise dalla borghesia. Il lavoro al comando, a sancire il diritto.)

<< Al contrario, mangiare o bere sono necessità che non cambiano o nascono al mutare della complessità della società:>>
Non condivido "al contrario", giustamente la necessità di mangiare è innanzitutto primordiale e inscritta nella natura, ma può anche diventare oggetto di diritto, senza che le cose si escludano.
Se io sono la fazione più forte nel territorio posso imporre che, poiché si produce in disavanzo, vengano distribuiti pane e pasta anche a chi non lavora.
Avendo tra l'altro slegato del tutto lavoro e cibo.

Questo per me fa scaturire che:

- lavorare non è una necessità come da te sostenuto (mangiare invece si, ma le cose non si escludono).
- Il cibarsi può essere oggetto del diritto anche se esiste prima di esso.
I diritti sono nati proprio per permettere una gestione più raffinata, quindi con maggiori vantaggi, di necessità che preesistevano. Anche ammesso e non concesso che il lavoro sia una necessità ad esso antecedente, crearne un diritto sarebbe un modo per migliorare la qualità della vita (della difesa, e del diritto al voto.. proprio quest'ultimo barattato per il lavoro).

Quindi io vedo positivamente pensare il lavoro come un diritto. Tu hai svelato però come questo sia piegato a interessi poco nobili, che sfociano nel particolarismo e nello stato assistenziale. Ma questa non è l'unica concretizzazione possibile del diritto al lavoro.

Tommy Angelo ha detto...

basta guardare il feudalesimo e le monarchie assolute (che caso vuole siano state uccise dalla borghesia. Il lavoro al comando, a sancire il diritto.)


Non è corretto: nel sistema feudale il signore non lavorava nei campi e o in officina, ma aveva tutta quella gente che lo faceva per lui perché in cambio offriva protezione militare. I signori e i re venivano rappresentati in armi non per ragioni estetiche, ma perché il modo in cui si assicuravano di avere da un lato dei sottoposti e dall'altro il favore di chi stava più alto di loro era quello di mettersi in prima linea e rischiare di morire in battaglia.


Non sto dicendo che ci fosse eguaglianza sociale, ma il signore non si limitava a mangiare a ufo e raccogliere tasse.


Poi il discorso sulla borghesia che prende il sopravvento sulla nobiltà è un po' più complicato di "ora fate spazio a noi che lavoriamo". La borghesia prende il sopravvento perché portatrice di un sistema economico nuovo e vincente rispetto a quello precedente, ma a sua volta verrà tacciata di nullafacenza e sfruttamento dei lavoratori da parte del nascente movimento socialista. È una questione ricorrente, penso che in qualsiasi posto di lavoro i sottoposti pensino che i superiori non fanno niente mentre sono loro quelli che lavorano sul serio e mandano avanti la baracca.


Non confondiamo la storia con le retoriche create dai vari gruppi sociali che di quella storia fanno parte.


la necessità di mangiare è innanzitutto primordiale e inscritta nella natura, ma può anche diventare oggetto di diritto, senza che le cose si escludano.


Mai detto il contrario. Non ho parlato di esclusione, ho parlato di indifferenza della fame rispetto ad un eventuale suo status giuridico.


Se io sono la fazione più forte nel territorio posso imporre che, poiché si produce in disavanzo, vengano distribuiti pane e pasta anche a chi non lavora.Avendo tra l'altro slegato del tutto lavoro e cibo.


No un momento. Se c'è disavanzo qualcuno l'ha prodotto, cioè ha lavorato. Se obblighi manu militare a distribuire il disavanzo tra chi non l'ha prodotto, non significa che qualcuno non abbia lavorato per produrlo.


Quindi io vedo positivamente pensare il lavoro come un diritto. Tu hai svelato però come questo sia piegato a interessi poco nobili, che sfociano nel particolarismo e nello stato assistenziale.


Non proprio: io ho osservato come in generale si siano abituate le persone a pensare che il lavoro sia una cosa dovuta che qualcuno deve fornire e come non siano in grado di affrontare il reale e scattino pavlovianamente di fronte alle solite buzz word.


Tra l'altro nella Costituzione il lavoro è un diritto nel senso che lo Stato non può impedire alla gente di lavorare (come si faceva durante il fascismo) e dovrebbe fare in modo di creare le condizioni generali più adatte a favorire il lavoro, ma non sta scritto da nessuna parte che il tuo posto di lavoro è un diritto, né che qualcuno deve darti un posto di lavoro per forza.


Lo Stato, il Governo o il Parlamento possono decidere di creare un milione di posti di lavoro in 5 anni, e possono anche farcela. Ma nessuno garantisce che tu sarai tra quel milione di persone che troverà un posto di lavoro. Per quanto il governo possa fare, è sempre un tuo problema e una tua responsabilità trovarti un lavoro. Nessuno lo troverà per te.


Invece c'è un sacco di gente che pensa che il lavoro è un diritto nel senso che hanno diritto ad un posto di lavoro e che se non lo trovano non è responsabilità loro, loro non c'entrano niente, è colpa di un ministro che dice che "a job" (un posto di lavoro) non è un diritto.