Frutta fresca!

Ci sono quelli come me, che sono nati in piccoli paeselli di campagna, che sono troppo giovani per essere cresciuti in un'economia agricola, ma sufficientemente vecchi da averne visto gli ultimi strascichi. In casa avevamo il Commodore 64 e davanti alla porta di casa le galline. Voleva dire che si viveva in maniera abbastanza contigua alla cosiddetta “natura”, agli animali domestici, alle coltivazioni.

Una delle cose che da bambino mi colpivano di più erano gli abitanti di città che per qualche motivo capitassero dalle nostre parti. Per me, per noi, erano uno spettacolo impagabile: il loro approccio alla natura era talmente lontano dal nostro, la loro scala di valori talmente sballata che ci sembravano degli alieni un po' scemi. I cittadini facevano cose strane, per esempio trovavano adorabili le galline. No dico, le galline. Come si fa? Per noi le galline erano delle bestiole che servivano a fare uova e brodo; per loro erano dei cuccioli che provocavano sentimenti di empatia. Evidentemente questi cittadini avevano qualche rotella fuori posto.

Col tempo ho dovuto abituarmi, per forza di cose, ai cittadini. Al fatto che parlino al proprio cane come fosse un bambino, al fatto che bacino il proprio gatto, al fatto che considerino topi e conigli animali da compagnia. Quando dico “abituato”, intendo che ho smesso di ridere loro in faccia, non che abbia smesso di ritenerli totalmente fuori di testa.

A volte ho raggiunto livelli di incomunicabilità estremi: quando conobbi la tedesca che adesso siede di fianco a me cercando di finire un test di italiano, ho dovuto penare per convicerla che è assolutamente normale che l'acqua di casa arrivi da sottoterra e non da un acquedotto. Non è avvelenata, non è tossica e comunque viene controllata ugualmente per sicurezza.

Durante le scorse vacanze pasquali trascorse con la di lei famiglia, c'è stata una discussione sul cibo “bio”, cioè biologico. E qui i cittadini hanno dato prova di sé, come al solito.

Premessa: qui il cibo “bio” lo trovate in tutti i supermercati e la categoria abbraccia una serie sterminata di prodotti, dai cetrioli al salame, dalle banane al muesli. Naturalmente costa molto di più di quello normale, perché è “bio”, talvolta anche il doppio.

Il cibo “bio” in casa nostra c'è finito qualche volta e da allora lo abbiamo bandito, in quanto per noi è una truffa bella e buona. Di quello che abbiamo comprato, abbiamo dovuto buttarne la metà perché presentava chiari segni di marcitudine. Durante la discussione, abbiamo esposto le nostre ragioni, solo che invece di ricevere i complimenti per la sagacia, ci è stato spiegato che è ovvio trovare la verdura che va a male, perché è “bio”. E allora ho capito che per i cittadini la verdura è come l'acqua: una cosa che si compra al supermercato. Un servizio.

Per chi è nato in mezzo a gente che dall'agricoltura traeva sostegno, è normale pensare alla coltivazione come ad un processo abbastanza delicato e fragile. Basta avere un giardino e qualche albero da frutto per capire che avere frutta buona in qualità decente non è cosa da lasciare alla natura. Se lasciate che sia la natura a prendersi cura del vostro albero, al momento di raccogliere vi troverete con ben poco in mano: caldo, freddo, troppa pioggia, poca pioggia, grandine, parassiti, malattie, animali sono solo una parte dei fattori naturali che cercheranno strenuamente di rovinare la vostra frutta. Perché l'agricoltura è un atto contro natura: la frutta non è fatta per sfamare l'uomo, ma dare una discendenza all'albero e l'uomo, con la tecnologia, interviene in questo processo e lo piega alle proprie necessità.

Per noi uomini moderni tutto questo ci è in gran parte oscuro. Andiamo ogni giorno al supermercato e compriamo tutta la verdura che ci piace, riempiamo le sporte della frutta preferita, senza che manchi mai. Non esistono più carestie, non esistono più condizioni meteo avverse. Una volta, quando grandinava, sentivo sempre esprimere un pensiero di compassione per i contadini; oggi, qui in città, non ci pensa nessuno.

Abbiamo perso di vista il legame esistente tra il riempire il sacchetto di zucchine e il lavoro dei campi. Avere cibo sempre disponibile è diventato il nuovo standard di vita e non ci si aspetta niente di meno. Ma se la disponibilità di cibo è diventata la norma, prima o poi arriverà qualcuno disposto a pagare di più per avere qualcosa di meglio. E si creerà un mercato dedicato a queste persone. Il mercato del “bio” è la risposta ad una richiesta formulata da chi non sa niente di agricoltura, o di natura, ma vuole avere cibo migliore.

I produttori “bio” fanno leva sull'immaginario del consumatore inurbato, con disponibilità economiche medio-alte, che non sa cosa sia la natura. Prima gli si fa credere che il cibo normale sia velenoso perché non “naturale”, poi gli si propone un'alternativa naturale. Si inizia a coltivare riducendo i costi e immettendo nel mercato cibo di qualità inferiore, cioè si adottano tecnologie agricole vecchie e meno costose, ma anche meno produttive. Questo cibo viene poi venduto ad un prezzo maggiorato, perché il prezzo maggiorato sta a significare qualità superiore, e la scarsa produttività non diventa un problema perché il mercato è relativamente piccolo. Invece di vendere molto a basso prezzo, si vende poco a prezzi alti.

Questo mercato si fonda sull'idea di far parte di una minoranza illuminata e migliore, che paga di più perché vuole di meglio. Se parlate con i normali utilizzatori di cibo “bio” avvertirete precisamente quest'idea di fare la scelta migliore, di nicchia, da avanguardia. Non si rendono conto di essere dei semplici consumatori come tutti gli altri, solo con maggiori disponibilità economiche; non si rendono contro di mangiare cibo di qualità scadente, ma sono convinti di mangiare sano.

Oltretutto, qui in Germania di coltivazioni ne vedete ben poche, a parte il luppolo in Baviera, ma i supermercati sono sempre colmi di frutta e verdura “bio”. Vuol dire che quel cibo arriva dal sud dell'Europa, dal nordafrica e dal sudamerica. Il che probabilmente spiega la bassa qualità: gli vendiamo gli scarti di produzione e glieli spacciamo per “bio”; per non dire del fatto che viaggiano per mezzo mondo prima di arrivare agli scaffali: davvero naturale.

È inutile spiegar loro che se dovessimo adottare sul serio l'agricoltura biologica come l'intendono loro, cioè in pratica se dovessimo coltivare come agli inizi del '900, loro si sognerebbero di andare ogni giorno al supermercato, non importa quale mese dell'anno, e trovare tutte le loro stuzzichevoli delicatezze. Ma in fondo perché farlo? C'è una nicchia di mercato che si occupa di queste persone e ci fa un sacco di soldi sopra, perché dovremmo convincerli del contrario? Lasciamoli mangiare le fragole biologiche così stanno buoni. È una delle cose buone del mercato: ruba ai fessi che si credono intelligenti e lascia in pace quelli che hanno un minimo di testa.