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La cultura del mignolo alzato

Leggendo le pubblicazioni specializzate si percepisce che in questo periodo l'ossessione del mondo dei videogiochi è quella di apparire come un medium maturo che possa essere considerato alla pari con altri media, primo tra tutti il cinema. 

Il motivo di questa ossessione è chiaro: come io, nato e cresciuto in un ambiente relativamente lontano dalla cultura alta ho sentito il bisogno di colmare questa mia lacuna per non dovermi sentire un gradino più in basso degli altri, così il mondo dei videogiochi e la stampa di settore in particolare sono arrivati al punto in cui anelano al riconoscimento culturale da parte degli altri rami dell'intrattenimento. 

Ma come io, nel mio tentativo di colmare il presunto divario culturale, mi sono ritrovato a perseguire una formazione accademica che mi ha reso particolarmente difficile trovare un lavoro, così i videogiochi stanno imboccando una via che difficilmente giungerà a qualcosa di buono.

Allo scorso Electronic Entertainment Expo (per gli amici E3) è stato presentato un nuovo progetto che dovrebbe, negli intenti, portare il videogioco ad un livello di maturità superiore. Ecco la presentazione:


Da questo filmato si può capire cosa intendano gli sviluppatori e la stampa quando parlano di maturità del medium: palette di colori dominata dal nero, dialoghi à la detective Callahan, voci rauche à la Batman, combattimenti a mani nude tipo Matrix, girl power, superpoteri e temi come "la vita dopo la morte". Impressionante eh?

Se questo miscuglio di luoghi comuni della cultura pop è considerato il prossimo scalino verso la maturità dei videogiochi, l'asso nella manica da giocarsi per mettersi al pari col cinema e la letteratura, capite bene che la strada per un vero riconoscimento è ancora lunga e perigliosa. 

Tutti questi elementi sono, come detto, dei cliché, stereotipi che si possono incontrare in qualsiasi produzione precedente. Il ricorso ai luoghi comuni di per sé non è sbagliato, perché di fatto è impossibile non ricorrervi: una narrazione funziona per mezzo di determinati meccanismi e non usare quei meccanismi significa creare una narrazione orrenda. Il problema, e la vera forza di chi crea, è saper rimaneggiare i luoghi comuni per arrivare a qualcosa di mai visto prima. Riproporre per la milionesima volta scene di violenza, condite di dialoghi da superduri e con il personaggio femminile che dovrebbe ribaltare lo stereotipo della donzella in pericolo 15 anni dopo Buffy the Vampire Slayer non è nemmeno un esercizio di stile: è catena di montaggio, dove si assemblano pezzi e si produce su larga scala. Che va benissimo, ma non è il modo di creare un'opera culturalmente matura.

E quale potrebbe essere allora un videogioco che rappresenti il passaggio verso una produzione "matura"? Ce ne sono due che sono esemplari in questo senso, ma a cui nessuno mai penserebbe. Preparatevi... sedetevi... 

...

GTA: Vice City e GTA: San Andreas.

Per chi avesse vissuto su Marte negli ultimi 10 anni, questi giochi rappresentano due successi commerciali planetari. Il giocatore impersona un delinquente che si fa strada nel mondo del crimine per mezzo di una lunga fila di omicidi. Il gioco è ambientato in una città e i suoi dintorni, che possono essere liberamente esplorati, senza essere legati ad alcun vincolo predefinito. Il tratto fondamentale dei due titoli è il ricorso alla violenza, che viene così tanto caricata e espansa da superare il limite del grottesco e sfociare nel surreale.

Quello che però rende i due giochi interessanti è l'ambientazione. GTA: Vice City è ambientato nella Miami degli anni 80, mentre GTA: San Andreas nella California dei primi anni 90. Tuttavia la ricostruzione delle due città non è "filologica", per così dire, ma è la sintesi della cultura pop dei rispettivi anni. Quindi né Miami né la California sono ricostruzioni storiche dei loro equivalenti reali, ma una fusione degli elementi caratteristici della cultura pop di quegli anni: il risultato è un pastiche di riferimenti a film, telefilm, musica, programmi radio, automobili, abbigliamento dell'epoca, continuamente alternando tra parodia e omaggio a quegli anni.

Così in GTA: Vice City si trova tutto ciò che ha reso gli anni 80 quelli che ricordiamo: colori fluo, abiti pastello, musica elettronica, il pericolo sovietico... un concentrato di cultura pop in cui gli anni 80 sono più anni 80 degli anni 80. I tratti principali di quegli anni sono così tanto caricati da renderli iperreali e infine surreali. E lo stesso vale per GTA: San Andreas: le gang di neri e ispanici, i pestaggi della polizia, la Rivolta di Los Angeles, X-files, la musica rap...

Quello che rende i due giochi culturalmente interessanti (e ricordiamo che sono giochi vendutissimi, non roba di nicchia buona per i salotti bene) è che gli sviluppatori non hanno voluto rincorrere altri media sul loro piano. Coscienti di dover creare un gioco e non di scimmiottare il cinema, hanno deciso di inventare una formula propria, nella quale tutti i riferimenti culturali - tantissimi - vengono rimaneggiati per dar vita a qualcosa di nuovo. La prima cosa che si deve fare in GTA: Vice City è travestirsi da colletto blu, infiltrarsi in una manifestazione di operai e provocare disordini, in modo che lo sciopero fallisca. Nel gioco la situazione fa molto ridere, perché è un rovesciamento parodico dei valori comunemente accettati, ma il sottotesto è chiaramente radicato nella situazione - seria - del settore manifatturiero americano durante gli anni di Reagan.

Entrambi i giochi sono intessuti seguendo questa trama e ci riescono perché l'intento non è quello di creare un gioco "maturo", ma un gioco che sia divertente e che riesca ad esprimersi a diversi livelli di profondità. Infatti la serie di GTA è universalmente nota per essere caciarona, priva di senso, gratuitamente violenta, perché la maggior parte dei giocatori, quando vanno in mezzo a degli operai in sciopero con un martello in mano, non ha idea dei collegamenti con la situazione reale dei lavoratori americani di quell'epoca. Ma se si ha una conoscenza più approfondita, si può anche godere del gioco ad un ulteriore livello, senza intaccarne minimamente l'aspetto ludico e di intrattenimento.

Perché l'intrattenimento intelligente non è quello che tira gli spiegoni sul senso della vita e la direzione che sta prendendo il mondo, ma è quello che sa riconoscere i tratti salienti dell'immaginario collettivo e li mette a disposizione del fruitore nella consapevolezza dei propri limiti espressivi.

Ma ovviamente queste cose non le leggerete mai nella stampa di settore, perché chi scrive e parla di videogiochi si limita a vedere l'aspetto superficiale (OMG picchiamo gli operai LOL) in quanto carente dei riferimenti culturali generali che permettono un approccio diverso. Basta solo osservare con costernazione la sintassi delle recensioni dei videogiochi.

Conseguenza di questa incapacità di capire che il tono leggero e apparentemente sciocco è in realtà frutto di una complessa rielaborazione della cultura specifica del periodo è la richiesta di creare giochi maturi, intesi come prodotti seriosi in cui si tirano infiniti spiegoni su come la vita fa schifo e il mondo è una cloaca.

Così dopo GTA: San Andreas è uscito GTA IV, un pastone noiosissimo di cliché sulla vita degli immigrati dell'Europa orientale a New York, che non fa né ridere, né piangere, né pensare. Si tira fuori il luogo comune del sogno americano infranto e si continua con una lunga serie di eventi telefonati, visti e rivisti in tutte le salse. E non può che essere così: a meno che il gioco non venga prodotto da emigrati bosniaci con le pezze al culo, nessuno sa veramente mettersi nei panni di un povero cristo sbarcato clandestinamente a New York all'inizio degli anni 2000 e deve per forza di cose ricorrere a luoghi comuni presi in prestito qui e lì. Le poche parti degne di nota sono ad esempio una missione in cui si deve rapinare una banca: tutta la scena è in realtà un omaggio al film Heat di Michael Mann ed è un breve "ritorno alle origini" che purtroppo dura troppo poco.

Ma chiaramente questa svolta nella serie GTA è stata acclamata dalla stampa di settore, che ha applaudito al nuovo tono "maturo", perché per la stampa di settore la palette di colori scura e la storia-polpettone strappalacrime sono la forma che dovrebbe prendere la cultura "alta". Senza rendersi conto invece che è la forma che prendeva Anche i ricchi piangono.

Quando allora i giochi diventeranno culturalmente rilevanti, al pari del cinema e della letteratura? Quando saranno creati da e pensati per persone che sono già fruitori di cultura nel suo complesso, le quali non pensano che la cultura sia una cosa noiosa dove la gente è tutta seria e si parla solo di amore, morte e filosofia politica. Ricordiamoci che noi impariamo molto di più dalla commedia che non dalla tragedia riguardo alla vita nell'Atene classica, perché una società è fatta di sberleffi e scoregge più che di sovrani che si accecano e sorelle che raccolgono i corpi in putrefazione dei fratelli.

L.A. Noire

C'è una cosa che il developperi devono capire, se vogliono che io gli molli ancora dei soldi. Ascoltate, signori delle softuer auz: per scrivere trama e dialoghi di un videogioco dovete assumere e pagare gente che di lavoro scrive trame e dialoghi.

Soprattutto, dovete sincerarvi che questa gente non capisca niente di videogiochi, non sia appassionata di videogiochi e comunque non sia in alcun modo legata alla cultura "nerd" se non per vaghi ricordi d'infanzia.

Sarebbe anche bene che i vostri team di QA, oltre a controllare che i poligoni non copulino, fossero in grado di distinguere un dialogo da una discorso da malati di mente, in modo che poi quando è il momento sappiano prontamente segnalare i problemi di personaggi che fanno discorsi senza senso.

No, perché altrimenti saltano fuori giochi come L.A. Noire, che sembrano la copia rimasticata, reinghiottita e rigurgitata di un qualche filmetto di serie B, con una storia, con i personaggi, i dialoghi e la trama che definire imbarazzanti è fargli un favore.

Anche perché costa oltre 60 cucuzze questo gioco, gradirei qualcosa di meglio.

Val più la pratica della grammatica

Mi sono imbattuto in un post di un blog che non conosco e l'ho trovato particolarmente interessante. Parla di una madre che scrive per sapere che università bisogna scegliere per andare a fare una determinata professione. 

L'argomento è interessante, ma molto di più lo è la risposta di un professionista del settore in questione, che suggerisce senza indugio di non fare l'università. Il consiglio per trovare lavoro è quello di dedicarsi a studi più "tecnici" e "pratici" (e brevi) e di cominciare ad accumulare quanto prima esperienza sul campo. 

Il professionista spiega molto bene i requisiti che lui adotta per assumere personale: primo esperienza; secondo senso di responsabilità (accountability, se la traduzione non è corretta correggetemi); terzo talento; quarto capacità di armonizzarsi al gruppo di lavoro.

La breve ma pregnante disamina mi ha molto colpito perché riguarda un ambito molto ristretto: i videogiochi. Per questo motivo non rappresenta in alcun modo una presa di posizione contro l'educazione universitaria né una riflessione teorica sull'accesso al mondo del lavoro da parte dei ventenni. È una semplice riflessione disinteressata e deideolgizzata su un aspetto singolo e particolare. 

Probabilmente in maniera del tutto non intenzionale l'autore ha centrato in pieno il problema della difficoltà di lavorare da parte degli under 30 e, secondo la mia esperienza (fallace e miope qual'è), è il miglior suggerimento che si possa dare ad un ragazzo che non sia sicuro di cosa fare dopo le superiori; è un consiglio molto saggio e col senno di poi direi che sarebbe stato ottimo quando avevo 19 anni. 

Il post originale si trovata qui: Kids, Don't Waste Your Money On Game Dev Education.

Dai libri sibillini alle righe di codice

All'alba dell'era dell'informatica di massa, la nuova frontiera della cultura pop veniva colonizzata da un nuovo personaggio, il nerd. Caratterizzato da un'intelligenza superiore, applicata principalmente a materie tecnico-scientifiche, e dalla passione per divertimenti ad esse legati (videogiochi, fantascienza, ma anche fumetti e letteratura fantasy...), originariamente il nerd era oggetto di scherno da parte della comunità di pari. Un personaggio quasi negativo.

A distanza di anni, l'immaginario collettivo e la cultura pop usano lo stesso personaggio in maniera opposta, quale figura positiva da valorizzare. L'incapacità di gestire i rapporti sociali viene trattata con accondiscenza, l'incapacità di relazionarsi con le donne diventa motivo di comprensione. Nel 2010 è il nerd che tratta la biondona con alterigia.

15 anni fa questa era fantascienza

La ragione del mutamento è evidente. Poiché le redini del mondo sono tenute da Bill Gates, Steve Jobs, Larry Page, Sergey Brin e Mark Zuckerberg (tutti nerd), poiché costoro controllano le nostre vite, sanno quello che facciamo, dove siamo, chi sono i nostri amici, quante ore di Tube8 guardiamo al giorno, progressivamente stanno trasformando l'immagine di sé stessi: ora siamo nella fase intermedia, quella dei teneri imbranati rubacuori; domani saranno la nuova nobiltà e il nuovo clero, l'élite in grado di far funzionare il mondo informatizzato adorata da una popolazione di niubbi che sa soltanto premere il pulsante “Potenza”.

La religione di domani

La cosa interessante però è il cambiamento sociale che si sta verificando. Ormai sempre più persone che sprecano le loro giornate giocando ai videogiochi e leggendo fumetti si definiscono con orgoglio “nerd”. È interessante perché costoro mancano dell'attributo fondamentale del nerd, l'intelligenza superiore e la passione per lo studio e la scienza, e si dedicano esclusivamente ai passatempi tipici del nerd. Cioè, ci sono persone che si atteggiano a nerd pur non essendolo; come quelli che si indebitano per poter ostentare un'auto da ricchi, sempre più individui ricercano l'accettazione sociale scimmiottando i tratti marginali e esteriori della figura del nerd.

In una completa incomprensione del “fenomeno nerd”, scambiano le cause con gli effetti e dunque credono che l'incapacità di relazionarsi agli altri sia segno di intelligenza, anziché semplice incapacità di relazionarsi. Pensano che leggere fumetti sia un'attività intellettualmente superiore, anziché il passatempo di intelletti superiori. C'è gente che fa finta di essere affetta dalla sindrome di Asperger quasi non fosse una malattia ma un simpatico tratto caratteriale. Che è come far finta di avere la sifilide per far credere di essere grandi amatori.

Insomma, tutto questo è sintomatico di un mondo che sta cambiando le proprie élite culturali ed in cui le classi “inferiori” cercano di emulare alla meglio, nei tratti più semplici ed riproducibili, queste élite. Ed è anche, per i giovani più svegli, la direzione da prendere se si vuole stare abbastanza in alto nella piramide sociale. 

Mafia II, la recensione. Una specie. [spoiler!]


Otto anni fa Illusion Softworks, software house indipendente ceca creò un videogioco dall'iconico titolo – Mafia – una pietra miliare dell'industria. Nel 2007 viene annunciato il seguito. Nel 2008 Illusion Softworks viene inglobata da Take-Two Interactive, un colosso del settore, le viene cambiato nome (diventa 2K Czech) e inizia a rimandare l'uscita del gioco fino ad agosto 2010.

Quella che segue è la storia di come il marketing sia in grado rovinare anche le cose meglio riuscite. Ci saranno spoiler grossi così:



In tutti i forum e riviste del settore si legge che il titolo sì vabbè, però Gran Theft Auto è molto meglio. Questo significa che in molti si aspettavano un gioco tipo GTA. E perché se lo aspettavano? Perché il marketing ha evidentemente voluto così, cercando di far soldi sfruttando un franchise conosciuto al grande pubblico.

Negli ultimi due anni gli sviluppatori si affannavano ogni tre per due a dire che Mafia II non è GTA, segno che probabilmente sapevano che la strategia di marketing era invece proprio quella di attirare i milioni di giocatori di GTA. Si capisce che lo spirito era di creare un gioco dalle forti assonanze con film come Bronx e Goodfellas. Negli intenti doveva essere un titolo fortemente story driven.

Solo che non ci riesce, perché la storia manca di spessore, è troppo breve e tutto succede troppo in fretta. I personaggi sono monocromatici e la trama è solo una successione di luoghi comuni tenuti insieme con lo scotch, talvolta al limite del grottesco. In trasparenza si capisce che tutto ciò è dovuto al fatto che mancano pezzi eliminati a posteriori, manca l'evoluzione e quindi mancano tutti i passaggi logici, prima ancora che narrativi, che fanno arrivare dal punto A al punto B. Ma partiamo dall'inizio.

La storia comincia con una lunga cutscene melodrammatica in cui il protagonista, Vito Scaletta, racconta la storia strappalacrime della famiglia di emigranti siciliani che arriva a New York Empire Bay in cerca di fortuna. Nel giro di 30 secondi ci vengono scodellate l'infanzia e la giovinezza di Vito, in un crescendo di sentimentalismo da edicola della stazione, il povero disperato giuovane italiano che si dedica al furto per avere una vita migliore. Tutto d'un tratto Vito viene arrestato (siamo sempre nella cutscene iniziale) e siccome la Merica vuole invadere la Sicilia (non esiste l'Italia in questo gioco, esiste solo la Sicilia), Vito viene arruolato a forza e mandato in una sorta di reparto speciale operazioni segrete Tier 1 Black Ops.

A questo punto ci si trova a giocare Call of Duty in Sicilia, si sparacchia ad un po' di soldati italiani che occupano la piazza del paese, finché un colpo di artiglieria non vi lascia mezzo morto. Il concept ha senso. Dovendo fare un gioco di sparatorie, si sceglie un veterano di guerra che ha imparato a maneggiare le armi. In più, il tutorial diventa parte integrante del gioco ma, non coinvolgendo la trama vera e propria, non sembra quasi un tutorial.

Solo che tutto va a remengo perché fa la sua truzza comparsa il supereroe che ci accompagnerà per tutto il resto del videogioco: il mafioso che, con il potere della parola, riesce a cambiare il corso della storia. Nel caso particolare, mentre la Merica e la Sicilia stanno combattendo la seconda guerra mondiale, il mafioso dai superpoteri si mette di traverso alle pallottole e, con un megafono stile sindacalista FIOM, dice di smettere e così la seconda guerra mondiale in Sicilia finisce perché il potentissimo Salvatore 'u pisciacurtu ha detto di smettere.

Vito è ferito gravemente e lo rispediscono in Merica per un po', ma poi dovrebbe ripartire per il fronte. Appena tornato (da sottolineare che torna a casa perché ferito, ma non ha un graffio, cammina normalmente, neanche un cerotto a X sulla tempia, niente di niente), prima di tutto va al bar con il suo vecchio amico Joe Barbaro, il quale confessa di essere in contatto con la mafia. Vito pare non capire, ma Joe gli dice che se entrambi riescono ad entrare nella mafia otterranno anche loro i superpoteri, proprio come ha visto fare al supereroe siciliano. E in un attacco di sboronaggine acuta va a fare una telefonata, con la quale convince il Pentagono che, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, un soldato addestrato e con esperienza non gli serve poi così tanto e puf Vito non deve più ripartire per il fronte.

Tutto questo accade nei primi 5 minuti. Ricapitolando: un immigrato arriva in Merica con la nave dall'Europa, due volte, scappa dalla guerra e incomincia a fare carriera nel mondo del crimine organizzato. La trama ciclostilata di GTA IV.

Il resto della storia è un susseguirsi di snodi narrativi ancora più cialtroni. Per un po' continuate a fare i ladruncoli da quattro soldi. E vi beccano. Ancora. Finite in prigione e qui un'idea potenzialmente geniale come ambientare una sezione del gioco all'interno di un penitenziario viene rovinata in maniera clamorosa. Anche in gattabuia c'è il supereroe mafioso che vive come un maragià e vi prende sotto la sua ala, con le guardie che gli lucidano le scarpe e tutto il corredo di luoghi comuni. Passate il tempo facendo a pugni e scappando dalle checche stupratrici, finché qualche altro mafioso coi superpoteri non vi fa liberare.

Vito torna in città che sono ormai gli anni '50. Continua a voler entrare nella mafia e continua a fare il delinquente da quattro soldi insieme al suo amico Joe Barbaro. Poi la storia perde completamente di senso. In pratica ci sono tre famiglie mafiose in città, solo che non sono famiglie vere e proprie, con padri e madri e nipoti, ma delle specie di associazioni di soli maschi siciliani. Voi prima lavorate per una, poi per l'altra, poi per l'altra ancora. Tutti vogliono ammazzare tutti, ma senza motivo. Poi – per non farci mancare nemmeno un luogo comune – la mafia incomincia a maneggiare la droga e comincia il declino e tutti incominciano ad ammazzare tutti.

Talvolta si raggiunge la schizofrenia. Esempio. Ci sono Vito e Joe che devono uccidere un capoclan. Hanno bisogno di un autista e Joe sceglie un ragazzino che conosce lui. Vito è quello calmo e riflessivo, Joe è quello impulsivo e superficiale. Discutono a lungo, Joe continua a dire che non succede niente, mavalà, un giochetto, cosa vuoi che sia; Vito invece è preoccupatissimo, si sta parlando di un adolescente che non è neppure affiliato. La ragione contro l'insensatezza. Alla fine il ragazzino partecipa alla missione e viene ucciso. I due delinquenti partono di brocca. Joe, che non ha mai provato un sentimento uno fino ad allora, comincia a piangere e soffrire e disperarsi come un prefica; Vito invece diventa improvvisamente übercool e comincia a menarla che questi sono i rischi del mestiere, che tutti sapevano che poteva finire così, che non ha senso avere rimorsi. Un delirio totalmente incoerente rispetto a quanto raccontato fino a 10 minuti prima.

Un altro esempio è Henry. Ad un certo punto questo Henry vuole fare affari con Joe e Vito e tutto va a rotoli, come ogni singola cosa che fanno i mafiosi in questo gioco, e finisce mortammazzato. Joe e Vito sbroccano ancora, perché costui sarebbe un loro carissimo amico. Probabilmente lo era nella versione alfa, ma nella retail è solo uno fra le decine di mafiosi che appaiono per cinque secondi, così il giocatore si chiede chi sarà mai questo Henry? Sarà un amico loro, non so, non lo conoscevo, solo di vista, eh ma cavolo così giovane.

La storia si ingarbuglia ancora un po', fino a che c'è lo sfregio totale. In pratica il protagonista del primo Mafia, Tommy Angelo, diventava un infame collaboratore di giustizia e il gioco si chiudeva con lui ormai vecchio fatto fuori da due sicari nel giardino della sua villetta. Rullo di tamburi... in Mafia II hanno deciso che Vito e Joe dovevano essere quei due sicari e così, fottendosene allegramente del fatto che originariamente i due tizi fossero sulla quarantina e vestiti con impermeabile e borsalino, ad uccidere Tommy Angelo arrivano due giovinastri con la camicia pacchiana ed il giubbotto di pelle. Una caduta di stile gratuita ed immotivata. Eh, dice, ma la macchina usata è la stessa. Sì, la macchina sì, ma le persone no! Siamo ai livelli delle armi di Mass Effect!

Succede ancora qualcosa, tipo che Vito va, fucile in mano, ad uccidere i lavoratori del porto in scioperto, ma questi gli dicono che suo padre è stato mortammazzato da quello per cui Vito lavora e Vito cambia idea, gira sui tacchi ed uccide il suo superiore. Si usa così nel mondo del crimine organizzato, no?

Joe a questo punto vuole uccidere Vito, ma non lo uccide perché insieme uccidono un capoclan e un altro capoclan li va a prendere e li fa salire su due macchine diverse e quella di Joe svolta a destra e quella di Vito va dritta. Fine. Senza senso, fine.

Della storia mancano intere sezioni, eliminate per poter creare un polpettone di serie B, su ordine dei dolicocefali del marketing, i quali hanno già cominciato a rivendere le parti mancanti come DLC a 10 euro a botta. E così vi trovate in mano un gioco che doveva essere story driven ed invece sembra una delle sceneggiature scartate di un film di Mel Gibson, un patetico tentativo di racconto buono nemmeno per un film in prima visione assoluta su Italia1.

Poi si stupiscono che la gente ci rimane male che non è come GTA. Ci credo: una storia sgangherata, dei personaggi ridicoli (Joe Barbaro l'hanno creato così stupido, ma così stupido che il dialoghista ad un certo punto fa dire a Vito “ma Joe, ma lo sai che sei così ritardato che mi stupisco che sia ancora vivo?”), sparatorie e corse in macchina, per forza uno pensa che sia GTA ambientato negli anni '50.

E ovviamente tutto ciò non c'entra niente col fatto che 2K Czech sia sussidiaria di 2K Games, posseduta al 100% da Take-Two Interactive, che possiede al 100% Rockstar Games, di cui fa parte Rockstar North, creatrice di Grand Theft Auto.

E non c'entra niente il fatto che il primo Mafia, perla rara creata dalla Illusion Softworks (ora 2K Czech), fosse stato pubblicato da Gathering of Developers, che aveva come obiettivo tenere gli sviluppatori indipendenti lontani dalle grinfie dei colossi come Take-Two.

Grazie signori del marketing, un'altra bella carriola a riempire la concimaia.

8 anni

... che aspettavo.



TV Tropes


Siccome per il fine settimana di Ferragosto sarete tutti in vacanza; siccome, per evitare di cadere in depressione a causa dell'elevato numero di parenti e della crisi di astinenza da ufficio, vi collegerete a internet con qualsiasi apparecchio elettronico possibile; siccome tutti gli altri blogger saranno nella vostra stessa situazione e nessuno aggiornerà il proprio blog e non ci sarà niente da leggere; siccome dunque l'internet italiano dimostra di essere uguale a quell'Italia sempre uguale dagli anni '60 ad oggi, e per questi giorni diventa un buco nero in cui tutti sentono il bisogno di non fare assolutamente niente, come se Ferragosto fosse la fusione dello Sabbath ebraico e del Ramadan islamico.

Insomma, se siete lì in spiaggia col vostro Aifon e non sapete come arrivare a sera, vi consiglio un sito imprescindibile (è in inglese, ma è un buon motivo per imparare l'inglese): tvtropes.org.

Avvertenze: vi deve piacere il cazzeggio e vi deve piacere la cultura pop. Se queste cose non vi interessano o se, al contrario, siete tra coloro che, con monocolo e pipa in bocca, discettano con grandi parole sulla valenza iconoclastica dell'ennesimo reboot dell'ennesimo franchise dell'ennesimo eroe in calzamaglia, non fa per voi.

In poche parole, il sito tratta i luoghi comuni, i topoi narrativi, le tecniche di costruzione di film, telefilm e videogiochi. In maniera più o meno scanzonata, dissezionano un telefilm e ne espongono la struttura portante (rendendo visibile il lavoro “manualistico” che sta dietro alle opere di intrattenimento).

Come molti altri siti di questo tipo (ad esempio, Serialmente in Italia) tvtropes.org ha iniziato parlando di Buffy the vampire slayer, man mano allargandosi ad altri telefilm, poi ai film e poi a tutto.

Io ve lo consiglio: ce n'è per tutti i gusti e crea altissima dipendenza. L'altro giorno sono partito dalla pagina ISO Standard Human Spaceship e poi ciao, mi sono perso nei meandri delle flotte spaziali e non ne sono uscito prima di notte fonda.

Sapevatelo.

Recensioni

Cosa succederebbe se alcuni classici della letteratura venissero recensiti da una rivista di videogiochi? Vediamo...

La Divina Commedia (Xbox360, PS3, PC)
RPG di ambientazione medievale-fantasy. Ottimo level design, anche se il gameplay è troppo lineare e scriptato. La sceneggiatura è interessante nella prima parte, ma si fa via via più scialba col procedere del gioco. Il boss finale è decisamente al di sotto delle aspettative: potete batterlo tranquillamente con il vostro personaggio al livello 35. In compenso la longevità è assai elevata. Non raggiunge la perfezione a causa dei dialoghi troppo lunghi.
Voto: 7

I Promessi Sposi (Xbox360, PS3, PC)
Action-adventure in terza persona in cui un ragazzo deve salvare la propria amata rapita dal boss di turno. Trama apparentemente scontata (Mario, Zelda, Monkey Island...) ma gameplay vario ed articolato. Impersonerete sia il protagonista, Renzo (memorabile la parte in cui partecipate ai tumulti in città e cercate di fuggire alla legge, esplicito omaggio a GTA: San Andreas), che la sua amata, ma anche altri personaggi secondari. Da notare l'eccellente caratterizzazione psicologica del villain di turno.
Voto: 8

La pioggia nel pineto (Wii)
Dagli sviluppatori di Endless Ocean e Endless Ocean 2, questo simulatore di guardia forestale vi permetterà di inoltrarvi in un bosco ricreato nei minimi dettagli e scoprire tutto quello che c'è da sapere sulla flora ed il clima mediterraneo. Un gioco educativo, dedicato alla famiglia, anche se la presenza di un personaggio femminile con abiti troppo succinti ha fatto alzare il rating PEGI a 12+.
Voto: 6,5

San Martino (DS, PSP)
Survival-horror che alla frenesia preferisce un ritmo lento e teso fino al parossismo, mantenuto ed alimentato da un'atmosfera ricreata alla perfezione, anche grazie all'uso intelligente dei colori. Non vi impegnerà per molto tempo, ma è accettabile per una console portatile.
Voto: 7

Orlando Furioso (Xbox 360, PC)
First-person shooter ad alto livello adrenalinico in cui dovrete salvare la vostra amata e contemporaneamente il mondo dall'ormai abusata minaccia islamica. La trama è esile, ma OF non va giocato per la trama. Come tutti gli FPS, si apprezza per il ritmo con cui si snoda e per l'incredibile varietà di mostri, nemici e missioni che si incontrano sulla strada per la vittoria. Inizialmente sviluppato per PC, il porting per console non è riuscito al meglio, anche perché la mancanza di una vera alta definizione si fa sentire. Già annunciato il prequel, in cui verrano spiegate le motivazioni e la storia di Orlando e degli altri personaggi.
Voto: 9

I quesiti dell'estate

Si è più sfigati ad aspettare l'11 giugno per i mondiali o il 14 giugno per l'E3 di Los Angeles? Dite la vostra nei commenti.
(Come dite? Non sapete cos'è l'E3 di Los Angeles? Poco male, io non so nemmeno chi sia l'allenatore dell'Italia).

Gli ingegneri alieni non progettano robot umanoidi

Qualche consiglio per gli autori di videogiochi a sfondo fantascientifico. Provate a riflettere prima di ideare un nuovo gioco, che ne dite?
Basta scenari postapocalittici: New York distrutta, le piante che crescono sui grattacieli, strade non percorribili. Basta.
Se proprio dovete sfruttare l'apocalisse, non è possibile che si salvino solo comunità di fricchettoni. I fricchettoni saranno i primi a morire, in un'apocalisse. La cosa più probabile è che riescano a sopravvivere solo quelli che hanno conoscenze tecniche adeguate. Preparare chilum non è una conoscenza tecnica.
Qualsiasi apparecchiatura ha bisogno di energia per funzionare, persino i carretti. Quindi, in un mondo dove al massimo si produce elettricità con una dinamo attaccata ad un mulino, non è possibile che tutte le apparecchiature elettroniche funzionino sempre, anche se prive di una qualsivoglia alimentazione. Decidete: o il mondo è regredito ad un livello tecnologico minimo e non ci sono computer funzionanti, oppure il mondo non è regredito ad un livello tecnologico minimo e allora i computer funzionano.
Lo steampunk è affascinante, ma non si capisce per quale motivo nel futuro debbano avere apparecchiature elettroniche di ghisa, grandi come una locomotiva e tutte incrostate di sostanze non meglio definite.
La tecnologia, a quanto pare, tende a produrre manufatti sempre più piccoli e leggeri. Perché nel futuro devono avere sempre macchinari giganteschi, ospitati nel cuore della Terra, azionati da ingranaggi (di ghisa) che sembrano quelli di Tempi Moderni?
I robot non prenderanno il controllo della Terra. Non scherzo. Ai robot non importa niente di comandare la Terra.
Se create un mondo dove i robot comandano la Terra, perché dovrebbero costruire altri robot a forma di cane, pesce, scorpione, foca monaca? Perché dovrebbero mandare pattuglie di robot a controllare la presenza di essere umani superstiti casa per casa, a coppie, quando basterebbe fare una ripresa aerea con una telecamera a raggi infrarossi? Cioè, perché i robot dovrebbero avere un'IA avanzatissima ma una tecnologia inferiore a quella di un moderno esercito umano? Come hanno fatto a vincere? Perché non li abbiamo sconfitti?
Se vi cimentate in una space-opera, non inventatevi la federazione di specie aliene.
Se proprio volete la federazione interstellare, non – ripeto: non – dipingete gli alieni come specie superiori, razionali e senza sentimenti, e gli umani come outsider analfabeti informatici buoni solo a rompere le regole sacre della federazione, che però alla fine gli alieni intelligentissimi, siccome sono razionali, non hanno i sentimenti e allora avevano torto loro e ragione gli umani.
Se gli alieni sono più avanti di noi, ci annienteranno, oppure ci renderanno schiavi, oppure ci lasceranno perdere; ma di certo non ci accetteranno alla pari all'interno del più importante strumento politico modellato per mantenere la pace nel precario equilibrio della galassia.
Mai. Più. Marine. Dello. Spazio.
Che siano gli esseri umani del futuro o una civiltà aliena, fatevene una ragione: non esiste architettura in alcun angolo dell'universo che preveda di costruire edifici composti di piattaforme da superare a salti. Non esiste ingegnere che progetti una fabbrica, un impianto di raffinazione delle deiezioni umane, un hangar per astronavi che sia fatto di piattaforme. Tantomeno piattaforme mobili. Tantomeno piattaforme mobili accanto a fiamme libere che vengono sprigionate ad intervalli regolari.
In territorio alieno o robotico, non ci sono kit di pronto soccorso comptaibili con la fisiologia umana.
Gli scudi energetici sono un'idiozia.
Perché gli alieni sono degli esseri umani deformi? Perché i robot che controllano il mondo sono sempre a forma di essere umano?
Fate un giro per la vostra città: vedete in giro scatole incustodite piene di munizioni e razzi RPG? Ecco, per quale motivo nel futuro controllato dai robot, invece, ad ogni angolo di strada c'è un bussolotto pieno di bombe al plasma?
I mecha giganteschi stanno alla tecnologia di fantascienza come The Fast and the Furious sta alla Formula 1.
Perché vi ostinate a far vestire la gente come se uscisse da un numero di Hokuto no Ken?
Ricreare un mondo profondo e complesso non significa inventarsi pagine e pagine di una fantomatica enciclopedia galattica: è come dire che la Divina Commedia è straordinaria perché ci sono le note a pie' di pagina che spiegano chi sono i vari personaggi incontrati da Dante e quali sono le allegorie teologiche. Sì, Mass Effect, ce l'ho con te...
La sospensione di incredulità non è compresa nel prezzo di acquisto. Dovete impegnarvi.
In occidente ci sono bravissimi scrittori di science fiction, perché non vi ispirate a loro, invece che a qualche leggenda orientale di cui avete letto su Wikipedia e cioè di cui non sapete niente tranne quello che c'è scritto in qualche manga tradotto male?
Nel futuro non si prevede che la Terra arresti il suo moto di rotazione e il giorno e la notte continueranno ad alternarsi. Significa che nel futuro non farà buio 24/7.
Provate a pagare una sola persona per scrivere la trama, i dialoghi e la sceneggiatura del videogioco. Possibilmente qualcuno la cui formazione vada oltre Final Fantasy, Il Signore degli Anelli e Dungeons & Dragons. Questo dovrebbe aiutare a risolvere i problemi di cui sopra.

Arte, artigianato, videogiochi e lame nascoste

Questo post parla di videogiochi. Questo post rivela parti importanti dell'opera. Non proseguite se non a vostro rischio e pericolo. Visto che da poco è uscita la versione per PC, visto che ha venduto 7 milioni di copie, visto che ha ottenuto 127 copertine in 32 Paesi (nuovo record) e soprattutto visto che lo sto giocando in questi giorni, dedicherò un post ad Assassin's Creed 2.
Ceiling Ninja is quietly judging you

Per inquadrarlo esaustivamente, dico subito che, in quanto videogioco, è un ottimo videogioco: c'è una giusta mescolanza di generi, stealth, action, puzzle e platform che lo rende godibilissimo, ma darò per scontato che il lettore sappia di cosa si parla.

La storia è nota. Nell'Italia del Rinascimento, siete Ezio Auditore, l'ultimo appartenete per diritto di sangue alla setta fondata da Ḥasan-i Ṣabbāḥ, gli assassini appunto, e dovete combattere i Templari che vogliono dominare il mondo. Gli autori hanno dunque voluto pescare in quella forma di leggenda moderna rappresentata dai templari, accettando e riscrivendo la tradizione che li vuole sopravvissuti a sé stessi e custodi di un potere infinito.

Uno degli obiettivi che gli sviluppatori hanno sempre dichiarato prioritario è stata la possibilità di far rivivere al giocatore l'Italia del Rinascimento. Ci sono riusciti? Vediamo...

La prima cosa da tenere in considerazione è che il gioco (così come il suo predecessore) non è di ambientazione storica, ma contemporanea: è ambientato nel 2012 (certo, proprio quel 2012, quello dei Maya) e il giocatore in realtà è un uomo moderno che viene fatto sedere su di una sedia speciale e gli vengono fatte rivivere le memorie di Ezio Auditore, suo antenato. Il gioco non ha quindi nulla di storico, ma fantascientifico; anzi, il gioco deve moltissimo al film The Matrix: oltre alla poltroncina che ti fa credere di essere nel Rinascimento, il mondo attorno al personaggio viene costruito tramite una specie di costruzione computerizzata in 3D, proprio come in The Matrix, e soffre di continui glitch che dovrebbero simulare la natura informatica di quella realtà; proprio come in The Matrix, il prescelto inizia a ottenere nel mondo reale gli stessi superpoteri che aveva nel mondo virtuale. L'unica differenza è che in The Matrix il programma è verde, in Assassin's Creed 2 è bianco.

No, anche questo è copiato

Non c'è dubbio che gli sviluppatori siano riusciti a ricostruire i più importanti monumenti di Firenze e Venezia in maniera abbastanza precisa, anche se si notano spesso dei problemi con le proporzioni: a Firenze il campanile di Giotto nel gioco è alto circa due volte la cupola del Brunelleschi; Piazza S. Marco a Venezia è estremamente più piccola che nel vero; a parte gli edifici principali, in entrambe le città il tessuto urbano è totalmente slegato da quello originale. Questo si nota particolarmente per Venezia, che – per le ovvie ragioni tecniche – non ha potuto cambiare più di tanto negli ultimi 700 anni, a parte qualche canale interrato e la basilica della Salute. Si può dire dunque che Ubisoft ha fatto bene i compiti, perché al giorno d'oggi ricostruire un edificio in maniera dettagliata anche per una console di gioco non è più impossibile, ma ha tralasciato completamente la verosimiglianza.

Altro problema è la recitazione. Della versione doppiata in italiano non è neanche il caso di spendere più di due righe. Siccome noi abbiamo i doppiatori più bravi del mondo, l'adattamento è il solito cazzotto sui denti.

Ma lasciamo perdere. Perché stranamente anche la versione inglese ha un problema simile. Siccome il gioco è ambientato in Italia, hanno pensato bene di far parlare i personaggi metà in italiano metà in inglese. Nella stessa frase. Ciò significa che tutti i personaggi parlano la parte in italiano come ogni inglese che rispetti, cantilenando ogni sillaba e allungando le vocali senza motivo, mentre l'inglese verrà pronunciato con un finto accento italiano. In pratica è come sentir parlare Joe Pesci ubriaco.

Fuck my mother? That's what you fucking tell me? You motherfucker you!

Al contrario, le voci della folla in sottofondo sono state doppiate da attori italiani che parlano in italiano senza accento. L'unico problema è che imprecano come fossero dei tamarri qualunque: non credo di aver mai sentito così tante parolacce in un videogioco come in Assassin's Creed 2, e tutte assolutamente gratuite e prive di un contesto adeguato. Il culmine si raggiunge quando Ezio definisce un prototipo di macchina volante, che non funziona, “quel pezzo di merda” (immagino traducendo l'inglese piece of crap). È comprensibile che per uno straniero quelle parolacce non abbiano alcun valore, ma penso di non essere l'unico giocatore al mondo in grado di comprendere italiano e inglese.

Altro punto poco riuscito del gioco è la colonna sonora. In un gioco ambientato alla fine del '400, ascoltare musiche che sembrano prese da quelle dei menu di Mass Effect è un pugno allo stomaco. Stiamo parlando di un periodo interessantissimo e fondamentale per la musica mondiale ed è un vero peccato che si sia tralasciato questo aspetto, a favore di qualche jingle da B-movie fantascientifico.

A questo aggiungete una trama esilissima e stereotipata, che però in questa sede non interessa.

Ma perché parliamo di questo? Perché un interessante articolo dal titolo Video games can never be art, dove si presentano in realtà le due tesi contrapposte (non lo saranno mai contro lo sono già), mi ha fatto pensare. Per prima cosa ho pensato che non sono d'accordo con nessuna delle posizioni, per il semplice motivo che parlare di arte significa parlare del sesso degli angeli, visto che non esiste una definizione univoca di arte, e comunque qualunque definizione il vostro interlocutore usi, ha sempre il significato di qualcosa di nobilmente metafisico che si contrappone al vostro gretto materialismo maschilista. È un vicolo cieco.

Se invece riformuliamo, e ci chiediamo “possono i videogiochi essere una forma di espressione culturalmente rilevante?” si perde l'esigenza di paragonare il videogiochi alla Cappella Sistina e ci si focalizza sul loro valore intrinseco, si giudicano per quello che sono e non per quello che qualcuno presume debbano essere. In secondo luogo, si accetta il fatto che i videogiochi siano un fenomeno che coinvolge la società nel suo complesso e non una nicchia. Terzo, schiva la dicotomia “cultura alta-cultura bassa”.

In breve, quello che secondo me è interessante è definire in che modo la forma videogioco può soddisfare o creare le esigenze espressive della società e se sia quindi possibile giudicare un videogioco per la capacità di esprimere i sentimenti, le aspirazioni e l'estetica della società medesima e divenga capace di “parlare” non solo al ragazzino che vuole sparare coi siluri fotonici, ma a molte persone in tempi diversi e riesca a stimolarle anche sul piano intellettuale.

Ho scelto Assassin's Creed 2, innanzitutto perché lo sto giocando. Poi, perché è un fenomeno mainstream, per usare un anglismo. Terzo, perché è costato diversi milioni di dollari (numeri a due cifre). Quarto, perché Ubisoft, colosso del mondo videogiochico, ha deciso di mettersi a far cinema, ed ha iniziato proprio con Assassin's Creed, producendo Assassin's Creed Lineage, che in pratica è un cortometraggio prequel di Assassin's Creed 2. Lo potete vedere su YouTube cliccano qui per la versione inglese oppure qui per la versione italiana.

Ciò detto, bisogna arrivare ad una conclusione. Questo gioco si eleva al di sopra del semplice videogioco? No. Riesce ad essere un prodotto culturalmente rilevante? No.

Perché?

Perché gli autori del gioco sono certamente degli ottimi professionisti. Direi che sono degli ottimi artigiani: l'uso della tecnologia a disposizione ha portato a creare un prodotto tecnicamente ineccepibile. Quello che manca è la conoscenza approfondita della materia che hanno scelto di trattare. Per ricreare davvero il passato non basta ricostruirne gli edifici e vestire i personaggi con abiti d'epoca, inscenando duelli all'arma bianca e infilandoci a tradimento personaggi famosi come Lorenzo de' Medici e Leonardi da Vinci. Bisogna sapere come avrebbero ragionato degli uomini del tempo nei rapporti col potere, nei rapporti col nemico, nei rapporti con gli altri. Personaggi che parlano come se fossero usciti da un vecchio film western o da qualche fanfiction fantasy scritta da un adolescente non reggono lo scrutinio di un giocatore mediamente acculturato.

Ordire trame secondo gli stereotipi narrativi ollivuddiani non può che far pensare ad un prodotto di massa, e quindi privo di valore culturale.

Tratteggiare i personaggi come macchiette da avanspettacolo (sul modello nintendiano it's a-me, a-Mario!) distrugge ogni forma di immedesimazione e verosimiglianza: va bene che noi italiani siamo tanto simpatici e gesticoliamo, ma quegli italiani in particolare hanno praticamente fondato il mondo moderno, pensare che parlino come degli emigranti illetterati mette in mostra non poca insipienza.

Ricordare ogni 5 minuti che quella che vedete non è la realtà ma una sua ricostruzione digitale non è una geniale trovata per amalgamare fantascienza e storia: è fare a pezzi la sospensione di incredulità, che è la conditio sine qua non di ogni storia. Significa copiare e male The Matrix.

La musica: la musica è fondamentale per ricreare l'atmosfera. Una colonna sonora che rifletta la grande opera musicale dell'epoca avrebbe certamente aiutato a dare spessore al gioco.

Come si vede, per tutte queste cose non occorrono milioni di dollari. Basta collaborare con qualcuno che se ne intende, possibilimente non qualche Ph.D. in cerca di soldi facili che parla solo per iperboli, come di solito fanno gli “esperti” consultati in questi casi.

Finora i videogiochi non hanno mai superato il loro limite di mero strumento di intrattenimento. Non ci è riuscito nemmeno Assassin's Creed 2, nonostante le roboanti promesse degli sviluppatori. Potranno mai i videogiochi essere una forma espressiva culturalmente rilevanto? Sì, quando qualcuno riuscirà a fare quel piccolo passo che spinge oltre l'artigianato di alta qualità e riuscirà a parlare anche all'intelletto del giocatore.

Qualcosa del genere, ma che poi posso sparare a Platone

Si era sulla strada buona con un videogioco di qualche anno fa, Mafia. Un gioco ottimo sul piano tecnico, ma anche capace di ricostuire in maniera filologicamente corretta l'America degli anni '20 e '30, di narrare una storia credibile lasciandosi andare ad un piacevolissimo citazionismo cinematografico. Purtroppo nessuno ha raccolto il testimone. Ad agosto uscirà il sequel, stranamente intitolato Mafia II, e staremo a vedere.

A questo punto, di solito entrano in scena i videogiocatori, che cominciano ad enumerare tutti i videogiochi della storia, cercando di spacciarli come opere d'arte che nemmeno Domenico Ghirlandaio. Alla fine vi tirano fuori qualche RPG giapponese, quelli con le trame ridicolmente complicate, i dialoghi drammatici che non finiscono mai e le donne anoressiche ma con le tette a dirigibile.

Quando i videogiochi imitavano la guerra e non viceversa

Alle porte dell'adolescenza, pronto a scoprire il mondo, feci un incontro che mi segnò per sempre: Wolfenstein 3D. All'epoca non lo sapevo, ma sul mio (se non sbaglio) 386 con Windows 3.1 c'era il fondatore d'una prospera schiatta di videogame che avrebbe avuto un successo inenarrabile: lo sparatutto in prima persona. FPS, per gli hardcore wanker e per evitare di pronunciare la parola “sparatutto”. Poi vennero i vari Doom, Duke Nukem, Quake, capisaldi sì, ma che mi avevano anche stancato. Il nuovo millennio, missando insieme computer potenti, Saving Private Ryan e Band of Brothers, mi ha fatto riappassionare al genere FPS con Call of Duty e Medal of Honor (nello specifico Pacific Assault).

Evidentemente mi attira il filone del soldato in lotta con nazismo. Dal 2005 al 2009 non ho più sparato un colpo, per poi ricominciare con Call of Duty: Modern Warfare. Finito quello, ho deciso che è ora di basta. Non per chissà quali motivi, ma se gli sviluppatori di FPS hanno deciso di intraprendere quella strada, io non ci sto. Mi spiego.

Il succo dello FPS era l'eroe solitario che combatte da solo terribili nemici. Terribili nemici che erano più forti di lui. Molto più forti. In Wolfenstein 3D impersonavate un prigioniero che doveva scappare da un castello zeppo di SS e alla fine dovevate sconfiggere Hitler, che pilotava un mecha dotato di ben quattro Gatling.

Superata questa fase à la McLane e raggiunta una certa maturità, in Call of Duty non si era più un eroe solitario, ma un soldato in mezzo a tanti soldati. Solo che si finiva sempre nelle situazioni più difficili: il lancio della 101 Divisione Aviotrasportata in Normandia, la battaglia del Pegasus Bridge, la casa di Pavlov e così via. In Medal of Honor il gioco iniziava con l'attacco a Pearl Harbour e proseguiva con le battaglie nelle isole del Pacifico. Vi assicuro che cercare di difendersi dagli attacchi giapponesi con un M1903 Springfield è tutt'altro che semplice.

Pur nella loro diversità, è facile vedere come questi giochi avessero come caratteristica comune quella di mettere il giocatore in condizione di inferiorità rispetto al nemico. È una cosa logica. Nessuno si appassiona alle storie di quelli più forti di tutti, non si identifica con loro. È bello quando il debole vince sul forte, nessuno si vanta di essere Golia contro Davide. E se per caso create un personaggio invincibile, dovete per forza introdurre un punto debole: Achille aveva il tallone, Superman la criptonite, Joe Hallenbeck la musica rap. Il nodo focale non è la vittoria (per convenzione sapete già chi vince) ma come si combatte. È lo stesso motivo per cui gli alpini e i paracadusti possono ancor oggi essere orgogliosi di Nikolaevka e Al Alamein: hanno perso, ma hanno saputo tener testa ad un nemico più forte e numeroso.

Ora, quando ho preso in mano l'osannato Modern Warfare, sono rimasto prima di stucco (circa dieci secondi) poi tramortito dalla noia. Il gioco è ambientato nel presente e voi fate parte delle SAS inglesi e dei Marines americani. E già qui siete i più forti in campo. Poi, il nemico? Avranno pensato che la Wehrmacht fosse un tantino abusta e allora, per raggiungere gli stessi livelli di maleficità, hanno condensato tutto il male venuto dopo la seconda guerra mondiale: nascono i terrorsulmani russi. Arsenale nemico: AK-47 e stracci in testa. Numero di combattenti nemici: un miliardo. Intelligenza artificiale: non pervenuta. Svolgimento del gioco: orde di terrorsulmani vi vengono incontro gridando “yallah yallah, bakshish bakshish” e voi li fulminate tutti con il vostro fucile d'assalto privo di rinculo, dalle munizioni infinite e con una gittata utile di 12 chilometri. Se per caso arriva una macchina con una MG-42 sul tetto, voi andate dietro un angolo, estraete il vosto Javelin, inquadrate la macchina, sparate il missile, rimanete dietro l'angolo, accendete una sigaretta mentre il missile prende quota e ricominciate a sparare ai terrorsulmani. Se proprio proprio non ce la fate ad andare avanti, nessun problema: si chiama il supporto aereo e un cacciabombardiere americano sgancia mille quintali di bombe sui nemici facendo terra bruciata. Addirittura ad un certo punto voi siete dentro un AC-130. Per chi non lo sapesse, è un aereo che funge da cannoniera per il supporto delle truppe di terra: in pratica svolazzate in cielo armati come un cavaliere dell'apocalisse e, attraverso uno schermo di computer, prendete di mira degli omini in bianco e nero che non sanno nemmeno che voi ci siete e che non possono difendersi. Terribilmente divertente. Davvero.

Nei “vecchi” Call of Duty questo non succedeva. Eravate sempre in inferiorità numerica, ma la cosa non solo era giustificata, ma era anche vera e storicamente accertata (quando ho scoperto che la missione nella casa di Pavlov non era inventata non ci potevo credere). Le armi finivano i colpi e dovevate prendere quelle abbandonate dai tedeschi. Che vi attaccavano con i carri armati e voi avevate solo un Panzerfaust per difendervi e il bersaglio era difficile da centrare ed era pure resistente ai Panzerfaust! Anzi, in un riuscitissimo delirio citazionista, la prima missione a Stalingrado si svolgeva senza armi e l'obiettivo era di rimanere vivi sotto i colpi di mitragliatrice tedeschi e russi (i commissari politici facevano sparare su quelli che si ritiravano).

Qualunque videogioco funziona così, non c'è niente di strano. Non che quelli di Modern Warfare non ci abbiano provato: per riequilibrare la schiacciante superiorità tattica e strategica del giocatore, hanno avuto la pensata del secolo: i terrorsulmani sganciano l'atomica contro di voi (nientemeno!). E così voi siete in elicottero e scoppia la bomba atomica e voi morite. A parte il ricorso all'escalation (se i terrorsulmani ora sganciano l'atomica, cosa faranno la prossima volta?), non hanno pensato che far morire il giocatore è un pessimo modo per tenere viva l'attenzione del medesimo?

Ma io capisco che dev'essere cambiato il pubblico dei consumatori. I videogiocatori sono aumentati e bisogna far fronte alle richieste di schiere di coatti che si comprano la plei taroccata e che si aspettano un prodotto in linea con il loro livello culturale e morale. Così se agli inizi degli anni '90 lo sfigato che giocava al PC si divertiva con gli FPS grotteschi e iperpompati come Doom, oggi il tamarro che gioca con gli occhiali da sole e la tuta dell'Adidas si diverte sparando ai terrornegri sicuro di ucciderli tutti senza fatica, sognando di diventare Borghezio e fare quello che il politicamente corretto oggi gli impedisce di fare.

E ci sono degli sviluppi ulteriori. In Modern Warfare 2, che mi rifiuto di giocare, c'è una missione in cui dovete/potete sparare a schiere di civili inermi. Divertentissimo. Fra poco uscirà il nuovo Medal of Honor, in cui impersonerete l'elite dell'elite dell'elite dei soldati americani (ad ogni videogioco scopro una nuova Forza Speciale americana, ma quante sono?) e andrete in Afghanistan ad uccidere afghani in questo modo: arrivate di notte in un accampamento, lo circondate, prendete di mira i quattro terrorsulmani che mungono le capre e gli sparate alle spalle senza che nemmeno possano gridare “yalla yalla” o il suo equivalente afghano.

Chissà cosa si farà nel prossimo? Già me lo immagino: siete un Marines appostato sul tetto di un imprecisato Paese mediorientale e guardate gli aerei che sganciano bombe sui minareti. Premendo X al momento giusto, potrete esultare come l'ultimo dei bifolchi per non aver fatto niente di niente. Fine. Titoli di coda, Credits.

Dante's Inferno

Da ormai qualche tempo è stata annunciata l'uscita del videogioco Dante's Inferno che, come ben si capisce dal titolo, prende ispirazione dalla prima cantica della Commedia (in effetti era inevitabile che succedesse: non puoi scrivere di un mondo zeppo di mostri e diavoli, diviso in livelli, metterci alla fine il boss definitivo e pretendere che non se ne faccia un videogioco). Starete già arricciando il naso, lo so, ma probabilmente state anche pensando che in fondo è la solita scemenza da videogiocatori. Aspettate, perché non è finita. Non so bene come sia andata, ma a me piace immaginarla così. Corridoi della Electronic Arts. Di fronte alla macchina delle merendine, per caso si incontrano un tester e il producer del gioco. Si scambiano qualche parola, poi il tester si fa coraggio e chiede:

- Senti ma... non ti sembra che far diventare Dante Alighieri un veterano delle crociate, che ruba la falce alla Morte e scende all'Inferno per uccidere quelli che sono già morti solo per potersi riportare a casa Beatrice sia di una tamarraggine abbastanza elevata?

Il producer all'inizio di ci rimane male, poi ci pensa, e alla fine esclama:

- Perdio no! che non è abbastanza. Possiamo fare di più.

Il risultato è che oltre al videogioco uscirà anche l'anime e questo sì, che sarà la ciliegina sulla torta. E' già disponibile il trailer, non c'è bisogno di dirlo:

In tutta onestà non credo che comprerò mai questo gioco, è decisamente troppo, persino per i miei gusti. Ma non vi nascondo che assistere dal vivo allo spettacolo della cultura alta che viene agguantata dal mercato, lordata dal denaro e frullata per essere rivenduta in scatola un tanto al chilo su Internet mi fa venire la ridarella e non riesco a fermarmi. Lo so che non dovrei ridere, che dovrei rimanere serio ed anche un po' triste, che dovrei battermi il petto per quello che sta succedendo a questo mondo malato. Ma non ce la faccio. Dai, Dante che viene trasformato in uno Schwarzenegger innamorato è un'idea così allucinante da essere geniale.

E c'è gente che perde tempo ad ascoltare un comico che una volta cantava canzoni sulle feci ed oggi si ricicla come fine dicitore delle Commedia. Che mondo!