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Il responso delle urne

Come tutti coloro che hanno una formazione classica, mi viene abbastanza naturale ritenere che l'esito della forma politica chiamata democrazia sia l'oclocrazia (democrazia e oclocrazia per i pensatori greci erano la stessa cosa, solo che democrazia aveva una accezione più neutra, oclocrazia apertamente dispregiativa).

Non è che me lo invento io: la democrazia ateniese non era una democrazia nel senso odierno e, se paragonata alla nostra, era fortemente classista e sessista. Anche il pensiero democratico moderno, in Francia e America, si prefiggeva una forma di governo chiamata democratica, in cui però la massa della popolazione era sostanzialmente esclusa dall'esercizio effettivo del potere. E ovviamente questo limite era di natura classista e sessista. 

Tuttavia il mio background politico è sostanzialmente libertario (si è modificato nel tempo, ovviamente, ma libertario resta). Mi è difficile definirmi anarchico perché nella vulgata corrente il termine ha precisi riferimenti ideologici che non mi appartengono, ma in generale diciamo che mi identifico molto nell'idea di socialismo liberale, in cui il pensiero libertario si appoggia sia sui pilastri del liberalismo (libertà individuale, diritti politici) che su quelli del socialismo (la libertà individuale e i diritti politici servono a niente se non si cerca di migliorare le condizioni materiali della società in generale).

Il cambiamento principale che è avvenuto nella mia forma di pensiero è dovuto all'esperienza, naturalmente. A vent'anni il mio pensiero era sostanzialmente teorico, oggi si è dovuto aggiustare in base ai dati che ho "raccolto" nel frattempo. 

La parte più difficile è stata cercare di far convivere l'ispirazione libertaria con l'evidenza che la maggior parte delle persone non vuole la libertà, tranne che per sé e solo quando si accorge che altri gliela portano via (esempio banalissimo: gli "anarchici" che professano il crollo dello stato e cercano lo scontro con la polizia e che poi rivendicano a gran voce i diritti dell'imputato tipici delle democrazie liberali borghesi, il welfare state e la scuola gratuita di stato).

Un chiaro esempio di dissonanza cognitiva: la tua visione del mondo cozza con i dati dell'esperienza. Cosa fare? Credo che il mio errore di partenza sia stato abbastanza banale. Siccome io, se lasciato senza controlli esterni, so gestire la mia libertà senza fare danni a me e agli altri, siccome non sento il bisogno di avere uno stato paternalistico che mi abbraccia dalla culla alla tomba, siccome mi rendo conto che quando lo stato ti offre qualcosa lo fa per un suo tornaconto, ho sempre pensato che sarebbe andato bene a tutti vivere in libertà.

Ma non è così: un sacco di gente, quando la lasci libera, non sa gestirsi, ha bisogno della presenza statale dalla culla alla tomba e chiede, se non con le parole con le azioni, uno stato presente e forte, che sollevi il singolo dal peso di troppe responsabilità.

Detto questo, una democrazia radicale come la nostra, dove il potere politico trae forza dal consenso di milioni di persone, è destinata a mutarsi in oclocrazia. Non c'è verso di gestire un gruppo sociale mantenendo il consenso senza che questo porti a risultati pessimi. La gara al consenso è gara al ribasso, perché bisogna puntare al minimo comune denominatore all'interno di un gruppo sociale estremamente eterogeneo.

E l'oclocrazia è l'anticamera della dittatura. Storicamente i governi dell'uomo forte sono quei governi che fondano il proprio potere sul consenso delle masse per aggirare il potere delle elite dominanti. Ovviamente il consenso è estorto con l'inganno e la manipolazione, e con una buona quantità di violenza, ma non è questo il punto. Storicamente le masse tendono ad appoggiare una figura forte, che si appella a loro direttamente pur non facendone minimamente gli interessi, se non in misura minore per alcuni aspetti materiali.

Cesare, Napoleone, Mussolini, Lenin, Hitler erano l'espressione di questa tendenza naturale delle masse a scegliere l'uomo forte.

Quindi non c'è da stupirsi che il voto democratico porti agli esiti che sappiamo; è inutile chiedersi perché "la ggente" vota chi non fa i suoi interessi. E' connaturato nel sistema democratico che concede la possibilità a milioni di individui di delegare il potere politico.

Come la penso io? Che il processo democratico non mi interessa più, né mi interessa la politica attiva in qualunque forma. La necessità di avere consenso per poter agire la rende di per sé inefficace. Se io, sul posto di lavoro, dovessi cercare il consenso del gruppo che dirigo, avrei due strade: o ingannarli e fare comunque quello che voglio, o perdere clienti e dopo un po' anche il lavoro per tutti. Per fortuna invece devo scegliere in base a quello che considero il modo migliore di agire, e anche se non ho il consenso di nessuno, posso farlo lo stesso. E se sbaglio, pago io, non chi ha seguito le mie decisioni. E questo va contro ogni principio democratico.

E la libertà è divenuta una condizione personale e non mi preoccupo più tanto di quella degli altri. 

Fregati con le loro mani

Attraverso noiseFromAmeriKa apprendo che si starebbe per istituire una specie di diritto dei lavoratori a non essere stressati sul posto di lavoro, facendo in modo che il datore di lavoro sia attivamente coinvolto nella ricerca dei lavoratori stressati, in modo da evitare lo stress. Si può anche ricorrere a professionisti del settore.

No, ma benissimo. Perché per aiutare il lavoratore dipendente si sentiva il bisogno di screening psicologici, non c'è niente di meglio che mettere in mano al management, nero su bianco, la lista dei lavoratori che non ce la fanno a tenere il passo senza mantenere intatto l'amore incondizionato verso l'azienda. Non c'era niente di meglio che dare al datore di lavoro una scusa per mettere in un angolo quelli che non gli garbano. A norma di legge.

Mi immagino la scena: il lavoratore che lavora spesso è anche un rompiscatole, solo che non ci puoi fare niente. Ma con trucchetti del genere è tutto molto più facile: quando il lavoratore rompe e si agita e magari alza la voce, noi gli diciamo che è stressato e, per il suo bene, lo mettiamo a temperar matite e a fare coriandoli dei documenti riservati.

Che poi se uno è stressato perché i suoi superiori sono delle emerite testedi, ha due opzioni: o se lo tiene per sé e se lo mette in tasca (opzione che adotto di solito) oppure lo dice, così i suoi superiori sapranno che si ritieno stressato per colpa loro. Facendoli felici come non mai e assicurandosi un luminoso futuro in azienda.

Se qualcuno volesse fermare il legislatore in materia di lavoro mi farebbe un gran favore. Già hanno reso i contratti un delirio privo di senso, poi ci infilano queste perle di saggezza non richiesta e siamo a posto.



Fascioforming

Da quando qualcuno ha avuto la rivoluzionaria idea di concepire lo Stato come un distributore di servizi e un redistributore di ricchezza, il mondo occidentale ha intrapreso senza indugio quella strada. A fare scuola sono stati Mussolini, Roosevelt, Hitler e Stalin e non ci voleva un genio per capire dove saremmo andati a finire.

In Italia lo Stato dalla culla alla tomba opera attraverso canali informali o apertamente illegali, attraverso la distribuzione di favori, appalti, posti di lavoro e lasciando alla famiglia una grossa parte del lavoro. Tutte cose che sappiamo.

Nel nord Europa invece lo Stato fa le stesse cose, ma sotto il mantello della legalità e delle buone apparenze. Quello che da noi succede nelle zone d'ombra o nella illegalità, lì è sancito ufficialmente. In più, lo Stato agisce anche tramite l'assistenzialismo mascherato, ovverosia creando lavori e figure professionali dal niente. Costoro hanno sicuramente un aspetto più elegante e profumato del falso invalido che vince il concorso truccato per entrare alle Poste, ma il principio è lo stesso.

Conosco persone che lavorano come dirigenti in tutta una serie di mercati artificiali dai nomi esotici come “cooperazione internazionale” o “sostegno al microcredito”; conosco ingegneri che vivono studiando, pagati dalle università, i possibili effetti idrogeologici del riscaldamento globale. Conosco gente che viene pagata per lavorare in associazioni antimperialiste e anticapitaliste. Senza contare gli innumerevoli Ph.D. di cui si sente parlare anche nei giornali italiani. E non dimentichiamo interi settori, come quello automobilistico, tenuti in vita ben oltre l'accanimento terapeutico.

Tutti lavori che non esisterebbero se non ci fosse lo Stato a crearli. Poi però bisogna anche pagarli, in qualche modo. E chi paga? Gli altri, quelli che lavorano nel mercato, meglio noto come “mondo reale”. Ma l'assistenzialismo è una droga: provoca dipendenza ed assuefazione, così bisogna averne sempre e sempre di più.

La situazione ormai sta andando fuori controllo e bisogna pagare, qualcuno deve pagare. Sempre quelli che lavorano nel mondo reale. Parliamo della Germania. Contrariamente a quanto si legge sui giornali, anche nel nord Europa c'è gente che lavora senza essere dirigente; persone e famiglie che hanno lavori normali e stipendi normali. Per queste persone non c'è nessuna assistenza particolare. Un lavoro normalmente pagato mette il lavoratore nella fascia di reddito appena superiore al limite minimo per non essere considerato legalmente povero e ciò preclude l'accesso agli aiuti fiscali e assistenziali. In questo modo una famiglia con due redditi si trova ad affrontare la tassazione completa, a dover pagare l'affitto, a dover pagare tutte le imposte dirette ed indirette, le bollette e così via.

Dunque, mentre una famiglia normale deve stare attenta a come vive, un numero sempre crescente di disoccupati mantiene lo stesso tenore di vita di quella famiglia senza lavorare, perché lo Stato fornisce un sussidio di disoccupazione che non è altissimo, ma viene integrato fornendo una serie di servizi ritenuti fondamentali per la dignità umana, come l'affitto, i mobili, le bollette e la televisione digitale (eh già: Berlusconi avrà anche finanziato i decoder con i soldi pubblici, ma in Germania hanno dichiarato la tv digitale un bene di primaria importanza e hanno pagato la televisione nuova a un sacco di gente con i soldi pubblici). Fino a ieri 27 settembre il sussidio di disoccupazione copriva anche sigarette ed alcol.

Dall'esterno potrebbe sembrare una semplice questione di principio, ma nel mondo reale non è così. Nel mondo reale, chi vive di sussidi entra in diretta competizione con la famiglia normale ed è avvantaggiato sotto molti aspetti. Per esempio, se non siete ricchi e cercate un appartamento in affitto sarà difficilissimo trovarne uno decente, perché i padroni di casa preferiscono affittare a chi vive di assistenzalismo: in quel caso paga lo Stato e loro sono sicuri di avere ogni mese i soldi. Il lavoratore normale invece porta con sé un rischio che, per quanto ridotto, è sempre maggiore dell'assenza di rischio garantita dallo Stato.

Se per caso siete una giovane coppia che ha deciso di fare le cose per bene, di progettare seriamente il futuro, di crearsi una certa sicurezza economica e fare figli al momento che riterrete opportuno, non riceverete nessun aiuto dallo Stato, dovrete arrangiarvi a trovare un asilo nido, la mamma dovrà sperare che il datore di lavoro la riprenda dopo la maternità e tutte quelle che cose che secondo i giornali italiani non succedono in Germania. Se invece non siete capaci di far niente, non avete voglia di lavorare, passate il vostro tempo libero a ubriacarvi e fate figli perché troppo ignoranti per sapere come evitarli, allora lo Stato vi aiuta in tutti i modi, fornendovi soldi, vitto, alloggio, assistenza sanitaria, asili nido e tutto il resto.

L'assistenza sanitaria è quasi al capolinea. Per ogni persona che paga, ce ne sono sette che ricevono le prestazioni gratuitamente. Vuol dire che un lavoratore che paga l'assicurazione sanitaria regolarmente, quell'unica volta che va dal dottore rischia seriamente di trovare chiuso perché il dottore lavora solo entro un certo budget mensile di spesa rimborsato dall'assicurazione, oppure trova il dottore, paga ancora 10 euro e si sente dire che non ha niente. Contemporaneamente ci sono 7 persone che invece dal medico ci vanno chissà quante volte al mese, tanto per loro paga quel lavoratore.

Qualcuno penserà che comunque è giusto, perché i ricchi partecipano alle spese per i poveri. Ovviamente no. I ricchi hanno le loro assicurazioni sanitarie che funzionano in maniera diversa, dove ognuno paga per sé. In quella che viene creduta la patria dell'assistenza sociale, chi può permetterselo ha una sanità separata dal resto della popolazione, esattamente come in Italia.

Ci poi sono un sacco di piccole spese che però sommate a fine anno pesano. Per dire, il canone TV costa 215 euro all'anno, in più c'è una gabella sul cavo della TV, che ne costa 216. Fanno 430 euro all'anno che si è obbligati a pagare al solo scopo di dare lo stipendio ad un baraccone che nessuno vuole, perché in Germania come in Italia come ovunque nessuno pagherebbe un soldo di cacio per tenere in piedi le tv di Stato. Ma ovviamente solo se lavorate, perché se non avete un lavoro non solo lo Stato non vi fa pagare queste gabelle, ma addirittura si è premurato di fornirvi un apparecchio per il digitale terrestre al momento del cambio.

Da queste parti c'è l'idea che gli studenti non debbano pagare niente o, al massimo, una cifra simbolica. Teatri, cinema, mezzi pubblici devono essere gratuiti per gli studenti. Un universitario che già si prende i soldi dal governo, ha l'alloggio a prezzi ridicoli (quando non gratis) può andare in giro 365 giorni all'anno sui mezzi a spese dei contribuenti, mentre un coetaneo che lavora con uno stipendio di ingresso può facilmente arrivare a pagare più di 1000 euro all'anno di mezzi. Mentre in Italia il passaggio da studente a lavoratore di solito significa un miglioramento del tenore di vita, qui in Germania spesso è il contrario: lavorare permette uno stile di vita inferiore che studiare, tranne nel caso di posti di lavoro statali o posti di lavoro altamente retribuiti, che però significano 60/70 ore di lavoro alla settimana, oppure trasferte 6 giorni su 7.

Le pensioni sono ormai un sogno. Il lavoratore di oggi deve pagare le pensioni che vengono erogate oggi, mentre deve pagare anche la propria pensione di domani (sempre che sia abbastanza accorto da farlo, e che sappia rinunciare a qualcosa da giovane per non morire di fame da vecchio).

È evidente che non si tratta di una guerra tra poveri, se per poveri intendiamo quelli realmente poveri. È una guerra tra una parte di popolazione che prende i soldi e l'altra che deve fornire i soldi. È una guerra di attrito non dichiarata, ma soprattutto una guerra in cui i soldati non sanno di essere in prima linea. L'unica cosa che sanno è che la qualità della vita scende, lentamente ma inesorabilmente. Ma senza una visione d'insieme, non sanno cosa pensare.

In questo quadro non si è parlato di un fattore: l'immigrazione. Quando i primi sintomi di crisi d'astinenza indotta dall'assistenzialismo si sono fatti sentire, i pianificatori sociali – anziché interpretarli come tali – hanno preferito assecondarli ed hanno pensato “ma perché non chiamiamo un po' di negri a lavorare per noi, che tanto quelli campano con un piatto di riso al giorno e ci mantengono i nostri pensionati e il nostro ospedale?” Solo che non è andata proprio così, perché gli immigrati, arrivati in Paesi drogati di assistenzialismo, ci sono caduti anche loro.

Come i disoccupati italiani vanno in Europa a sfruttare i Ph.D., allo stesso modo gli immigrati sfruttano i sussidi di disoccupazione e vivono nelle pieghe del sistema. E perché non dovrebbero? È legale, non l'hanno nemmeno chiesto, c'è e si prende. Qualcuno si fa forse scrupoli a prendere un dottorato in Germania pagato dal contribuente tedesco perché in Italia non trova lavoro? No, mica è illegale... lo offrono loro, non lo pretende il laureato. In Germania gli immigrati si sono integrati perfettamente, campando alle spalle del contribuente al pari di milioni di tedeschi.

La coperta però si sta accorciando e il contribuente comincia a sentire fresco ai piedi. E se la prende con gli immigrati che vivono di sussidi e non lavorano. Perché se la prende con loro? Perché è razzista? No. Perché è cattivo? No. Non per questo, ma per una serie di ragioni.

Primo, l'immigrato è diverso alla vista, non si confonde, soprattutto se la pelle è di tonalità scura. Secondo, vivere con il sussidio è una forma diretta e facilmente identificabile di assistenzialismo. Terzo, i media si chiedono sempre se sia giusto o meno alzare o abbassare i sussidi ai disoccupati e agli immigrati.

Invece un tedesco che di lavoro fa il manager per un'azienda automobilistica non viene considerato come una persona che percepisce uno dei più alti sussidi di disoccupazione esistenti, ma come una persona realizzata da ammirare e da invidiare. Inoltre, i media parlano degli incentivi statali al settore automobilistico come di un aiuto all'economia e al benessere dei lavoratori.

Mentre concettualmente non c'è differenza tra il disoccupato turco che vive di sussidi ed il dirigente tedesco che vive di sovvenzioni, sul piano della percezione l'immigrato diventa la causa di tutti i problemi, mentre il dirigente non viene nemmeno considerato. Tanto è vero che un politico tedesco, cioè chi per antonomasia vive alle spalle dei contribuenti e non crea nulla di produttivo per il Paese, può scrivere un libro in cui accusa gli immigrati di vivere alle spalle dei contribuenti e di non creare nulla di produttivo per il Paese e nessuno gli ride in faccia. È come se Riina scrivesse un libro in cui accusa Provenzano di essere mafioso: non che sia falso, per carità, ma insomma...

Credendo di poter salvare il salvabile, vogliono togliere a quelli che considerano più deboli per non rimanere senza. Credono che gli immigrati siano la causa dei problemi, anziché una delle conseguenze; pensano di essere diversi solo perché hanno la macchina nuova comprata a rate invece di una vecchia comprata in contanti; appena non sono loro i beneficiari dei sussidi, scoprono quanto ingiusti ed antieconomici siano. E qualche partito di destra prende i loro voti.

Sta succedendo esattamente quello che è successo con la Lega in Italia: a parole ce l'avevano con Roma ladrona, con i terroni, con i musulmani; nei fatti, l'unica cosa che hanno fatto è stata mettere le mani sui soldi del contribuente e cercare di arraffarne quanti più possibile. Probabilmente è la fine cui è destinata l'ondata xenofoba e razzista che sta travolgendo l'Europa: suggere alla mammella pubblica e fare di tutto perché altri non facciano lo stesso. E intanto i quotidiani hanno materia da isteria un tanto al chilo.

Noi e loro


Un breve rimpatrio di primavera mi ha portato, come sempre, a “dover” spiegare ad amici e parenti come si vive in Germania, cosa c'è di bello e cosa c'è di brutto ed insomma, se ne vale proprio la pena.
Chi mi legge sa che non sono né un fanatico dell'estero mitizzato dove scorrono fiumi di miele e gli alberi danno frutti tutti l'anno, né uno xenofobo che non sopporta niente della cultura che lo sta ospitando. Cerco di essere ragionevole ed onesto, e di approcciarmi alla Germania sine ira et studio: a volte è difficile, a volte è divertente, a volte non ci capisco niente.
Comunque, la prima cosa che si nota qui è che tutto funziona e non avete rotture di scatole. In una giornata tipo, in cui si prendono i mezzi, si va per uffici, si espletano pratiche di vario genere, tutto fila liscio. Non fraintendetemi: non c'è meno burocrazia che in Italia, anzi, ma è organizzata in maniera tale che se ne può uscire indenni; non ci sono meno persone in metro, ma il sistema dei trasporti è tale per cui si arriva sempre dove si vuole arrivare; il traffico c'è, ma non mina la salute mentale; i parcheggi vanno cercati, ma alla fine si trovano; le file alla posta si fanno, ma non durano ore, durano qualche minuto. E via discorrendo. Non è il paradiso, è solo un posto organizzato secondo un sistema ragionevole.
A fare da contraltare o – meglio – da corollario a questa situazione sta tutto il resto dell'organizzazione sociale, quello che non si nota subito e che bisogna vivere per conoscere. Come chiunque che abbia lavorato con i tedeschi vi potrà dire, la famosa efficienza tedesca non esiste. È un'idea che un po' si sono costruiti loro, un po' gli abbiamo attribuito noi, ma non ha corrispettivo nella realtà: il lavoro qui in Germania è altamente inefficiente. Non è facile accorgersene, perché l'inefficienza è compensata dalle grandi risorse a disposizione ma, standoci vicino tutti i giorni, si percepisce chiaramente. Gli stessi lavoratori hanno dei ritmi di produzione bassissimi e questo a volte può portare all'esasperazione.
Avere un settore privato inefficiente, alla lunga, non crea meno disagi di un settore pubblico inefficiente. Perdite di tempo e lungaggini sono all'ordine del giorno.
Per fare un esempio recente, ho dovuto portare la macchina dal meccanico. Concessionaria ufficiale della marca, in una delle più importanti città europee. Orario di chiusura: ore 18. Il giorno in cui era pronta, intorno alle 17 mi chiamano sul cellulare qualcosa come 5 volte. Solo che io, per motivi di riservatezza, non posso portarmi il cellulare in ufficio e quindi non potevo rispondere. Comunque quel giorno ho lavorato fino alle 18, quindi alle 18 e due minuti chiamo la concessionaria ma non risponde nessuno. Giorno dopo. Esco alle 17 dal lavoro e prendo i mezzi. All'unico cambio manco il tram di un pelo e così arrivo alla concessionaria alle 18:04. Tutto chiuso. E con chiuso, non intendo che hanno dato un giro di chiave alla porta d'ingresso. Intendo che l'edificio è vuoto, non c'è una luce accesa, nessun impiegato e nemmeno una donna delle pulizie che svuota i cestini. Praticamente hanno evacuato. Il che spiega perché il giorno prima nessuno rispondesse alle mie chiamate. E così ho mestamente ripreso i mezzi e sono arrivato a casa intorno alle 7: due ore spese inutilmente tra tram e metro perché la tipa che sta alla cassa alle 18 e un minuto già sgambettava garrula per strada. Se li conosco come li conosco, alle 17 – quando mi hanno chiamato – probabilmente hanno smesso di lavorare ed hanno iniziato a prepararsi; alle 17:45 erano con la giacca sulle spalle; alle 17:59 erano col dito sull'interruttore della luce; alle 18 sono scattati fuori.
Non credo ci sia bisogno di sottolineare che il problema non è stato risolto, perché da gente che alle 18:01 non risponde al telefono non ci si può aspettare che lavori bene. E così io sono rimasto senza macchina per due giorni in più del previsto, a causa loro ho passato tre ore buone sui mezzi, e alla fine mi sono tenuto il guasto (anche se, per amore di verità, devo dire che mentre scrivevo questo post mi ha chiamato una specie di servizio per la soddisfazione del cliente, al quale ho spiegato la situazione e che mi ha detto che mi contatteranno più avanti per risolvere ogni questione).
Volete un altro esempio? Recentemente ho cambiato lavoro e sono passato dall'azienda internazionale leader del settore ad una realtà più piccola e decisamente indigena. Se prima vedevo risorse sprecate a causa del gigantismo, ora mi pare di essere al circo. L'altro giorno avevamo una adunata generale alle 17. Il giorno prima ci era stato mandato l'avviso via Outlook e la mattina per sicurezza uno dei due proprietari aveva girato tra i banchi ad annunciare la lieta novella. Orbene. Alle 16:30 tutti i tedeschi (cioè circa il 95% della forza lavoro) si sono alzati e hanno cominciato a “prepararsi per la riunione”. Siamo tre italiani lì e tutti e tre stavamo continuando tranquillamente il nostro lavoro, visto che avevamo ancora mezz'ora da lavorare. A quel punto i tedeschi hanno cominciato a non capire: uno alla volta sono venuti a ricordarci che mezz'ora dopo c'era una riunione e che quindi era il caso di spegnare il computer. Abbiamo tentato di spiegargli che – appunto – c'era ancora mezz'ora da lavorare; poi, siccome proprio non capivano, abbiamo cominciato a ridere. Così adesso quando incontrare un italiano in azienda la prima cosa che vi dirà è che 'c'è un meeting alle 5' e vi riderà in faccia. Certamente raccontata così sembra simpatica, ma immaginate di essere il cliente della nostra azienda che paga profumatamente il tempo che quei lavoratori hanno usato per “prepararsi alla riunione”. Immaginate questa mentalità su scala nazionale. E ora immaginate di essere voi i clienti e di pagare con i vostri pochi risparmi l'inefficienza altrui. Vi stanno girando le balle, eh?
L'altra componente della Germania di cui devo sempre parlare è il mitico sistema assistenziale e previdenziale. La prima cosa da dire è che in Italia si hanno in mente le politiche sociali della RFT di trent'anni fa. A quel tempo, il cosiddetto welfare state era un'enorme distributore di agi e ricchezza e quello è rimasto in mente agli italiani (e ai tedeschi). Stranamente, quando lo Stato organizza banchetti pantagruelici in cui tutti mangiano senza pagare in contanti al momento della consumazione, esiste un meccanismo sociale che fa dimenticare la domanda fondamentale: ma se io mangio e non pago, chi paga? Com'è noto, non pensare al problema non risolve il problema, ed infatti alla fine il conto è arrivato ed il mitico welfare state tedesco è diventato all'incirca questo: voi non ricevete trattamenti sanitari, ma usufruite di un'assicurazione sanitaria privata che pagate di tasca vostra, mentre il sistema nel suo complesso è gestito dallo Stato federale, generando miliardi di euro di debiti; soldi per le pensioni non ce ne sono più e il governo vi incentiva a sottoscrivere una pensione privata; l'università gratuita genera schiere di laureati che non riescono a trovare posto; eccetera eccetera. Non suona tutto così familiare?
L'altro grande pilastro del sistema assistenziale tedesco è il cosiddetto Hartz IV, cioè il sistema di sostegno ai disoccupati. L'obiettivo dell'Hartz IV è quello di fornire a tutti i cittadini senza lavoro le condizioni di vita ritenute basilari ed imprescindibili. In pratica significa che lo Stato può arrivare a darvi un appartamento nuovo, completamente arredato, con gli elettrodomestici e la televisione a prezzi stracciati, oltre al sussidio di disoccupazione vero e proprio. A questo si vanno poi ad aggiungere il Kindergeld, cioè un sussidio che lo Stato fornisce a tutti i genitori, e altre varie forme di sussidio che in verità non conosco nei particolari.
Se tutto questo può sembrare cosa buona e giusta, è solo perché nessuno si chiede ma se io mangio e non pago, chi paga? Perché l'Hartz IV sta scavando buchi nel bilancio di cui prima o poi bisognerà rendere conto e quando quel momento arriverà saranno grossi dolori. Inoltre, se agli ingegneri sociali regalare casa e soldi ai “poveri” può sembrare un'ottima idea, chi vive nel mondo reale ne vede gli effetti e non sono affatto belli. Non troppo stranamente le politiche assistenzialiste tedesche stanno portando al disastro gli strati sociali più poveri. Ormai si è diffusa la mentalità per cui è meglio vivere di sussidi che lavorare. Il che a suo modo è anche vero: da un lato fare un lavoro pagato poco e dover lottare con le bollette, dall'altro avere la casa gratis, i mobili gratis, la televisone gratis, il sussidio di disoccupazione e tutta la giornata libera a disposizione... chi sceglierebbe la prima opzione? Solo che così è venuto a mancare ogni stimolo per le classi sociali più svantaggiate a cercare una vita migliore. E non solo tra i tedeschi, ma anche tra gli immigrati, soprattutto le etnie più a lungo radicate, turchi e italiani in testa.
Inoltre, questo assistenzialismo spinto sta trasformando le giovani generazioni in generazioni di stupidi. Non me lo sto inventando io, è un problema di cui si dibatte pubblicamente. I giovani provenienti dalle fasce di popolazione destinatarie delle politiche assistenziali, alla fine della scuola dell'obbligo non sono in grado di accedere ad una forma di avviamento professionale che permetta loro di trovare un lavoro. Ciò è dovuto al fatto che in Germania anche per il lavoro meno qualificato è richiesta una Ausbildung, un percorso formativo certificato che prevede teoria e pratica e che dura due/tre anni. Così gli adolescenti che dovrebbero ricevere questa formazione semplicemente non ci riescono, perché non hanno sufficienti capacità e conoscenze per farlo. E d'altronde non hanno nessuno stimolo a darsi da fare: perché faticare tre anni per un lavoro quando si può stare a casa a non far niente e venire pure pagati per farlo? E così è un cane che si morde la coda: quegli adolescenti saranno destinati per sempre a vivere di sussidi (perché non è che a 25/30 anni, senza educazione e senza esperienza di lavoro qualcuno ti prende) e così i loro figli. Ormai si parla di famiglie che sono arrivate alla terza generazione vivendo solo di sussidi.
Poi figliano per avere il Kindergeld, e così si possono vedere tutti questi bambini che crescono in famiglie che di loro se ne infischiano. Bambini che imparano tardissimo a parlare, nutriti con cibo spazzatura, circondati da adulti ubriachi che non fanno niente tutto il giorno. E purtroppo destinati ad alimentare a loro volta il ciclo.
La scorsa settimana ho conosciuto una di queste ragazze. 22 anni, un bambino di due e mezzo. A vent'anni era assieme ad un mezzo delinquente con cui ha fatto un figlio, probabilmente più per ignoranza che per prendere il sussidio, poi il tipo è sparito e l'ha lasciata sola col fantolino. Così le spetta di diritto una casa con due camere da letto, completamente ammobiliata e pagata dallo Stato, che è più di quello che due giovani lavoratori che vivono insieme possono aspettarsi. A me non interessa il caso particolare, ma il fatto che quella ragazza non solo ha avuto l'irresponsabilità di mettere al mondo un figlio, non solo non ha pagato per il suo sbaglio, ma si trova a vivere meglio di chi nella vita non ha fatto cazzate, si alza tutte le mattine per andare al lavoro e a fine mese ha l'affitto da pagare.
In maniera diversa, questa mentalità sta attecchendo anche nelle fasce più istruite di popolazione: l'università gratuita imbarca sempre più gente che si iscrive solo per mantenere lo status di studente, avere l'assicurazione sanitaria pagata e fare la bella vita a spese del contribuente. Salvo poi manifestare che il capitalismo turboliberalista sta tagliando i fondi per l'istruzione. Poi, alla fine degli studi, hanno il coraggio di definirsi “disoccupati” e di ricorrere all'Hartz IV, perché il ragionamento che fanno è “se qualsiasi turco arrivato l'altro ieri può mantenere la sua famiglia senza lavorare, perché non dovrei farlo anche io?”
Non ho statistiche a riguardo, ma credo che l'analfabetismo di ritorno sia una realtà abbastanza importante; i figli di immigrati, magari di terza o quarta generazione, ancora non parlano il tedesco; è un fatto noto, per esempio, che i figli di italiani non vanno a scuola dopo l'obbligo e figuriamoci all'università.
È evidente che il sistema del welfare tedesco è un obbrobrio, partorito da qualche ingegnere sociale sulle cui buone intenzioni non metto la mano sul fuoco, che si ritorce proprio contro quelli che si vanta di proteggere. E che gli ingegneri sociali preposti al meccanismo siano incapaci o in malafede si capisce subito dai dibattiti in tv, quando – messi di fronte al fatto compiuto, innegabile, che i ragazzi mandati obbligatoriamente a scuola per 15 anni ne escono più stupidi di quando sono entrati – cominciano a blaterare che è colpa della televisione, dei realitisciò, che i giovani ormai pensano solo a diventare divi del Grande Fratello e che bisogna fare di più per loro, più scuola, più aiuti, più politiche di sostegno, più governo, più Stato.
Poi, quando i soldi finiranno e schiere di poveri non sapranno come mettere insieme il pranzo con la cena, arriverà qualche bravo caporale a dire che la colpa è del turboliberismo anglosassone che con le sue banche e i suoi speculatori li sta affamando apposta (per divertimento) e che è ora che lo Stato faccia qualcosa, che si riprenda la sovranità, che stampi moneta in proprio e chissà quali altre amenità si inventeranno per tenersi la gente dalla propria part