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Cocci aguzzi d'illegalità

È qualche anno che manco dall'Italia e quindi la maggior parte delle nuove evoluzioni della cultura pop non mi arrivano o mi arrivano con molto ritardo. L'altro giorno mi è capitato di vedere questo:
Dal punto di vista di chi è nato e cresciuto in Italia ma ormai la osserva da lontano e la compara quotidianamente con realtà diverse, questo finto trailer rappresenta perfettamente la peculiarità italiana. Che non è quella di essere "italiano medio", tutto preso da calcio e veline, che si crede furbo perché ha la macchina a gasolio quando il prezzo della benzina sale. Ma è quella di pensare che tutti gli altri sono così, mentre tu no, sei l'unico diverso. Ogni singolo italiano pensa che tutti gli italiani siano un branco di scemi e si sente superiore perché lui, invece di fare la cosa x che fanno tutti, fa la cosa y, che lo qualifica come estraneo alla sua stessa cultura. 

E mentre pensa questo, generalmente l'italiano non si accorge che invece fa le stesse identiche cose che critica negli altri. C'è una cronica incapacità tra chi nasce in Italia nel vedere le proprie azioni in maniera obiettiva. 

Faccio un esempio semplice semplice. Generalmente gli italiani che arrivano qui in Germania, se sono giovani e laureati, sono esattamente il pubblico cui il finto trailer è destinato: disprezzano la furbizia e l'illegalità del nostro paese, sono nemici del Berlusconismo, radice di tutti i mali, e magari dicono di essersene andati perché in cerca della legalità, di un paese civile dove le regole della convivenza funzionano.

Benissimo, io con queste persone finisco sempre a litigare (e dico litigare, non scambiare differenti opinioni) per la solita cosa: quando andare a buttare il vetro nell'apposito cassonetto.

Perché dove vivo io il vetro si va a buttare nei cassonetti appositi, che sono lungo la strada e servono diverse case o condomini. L'operazione è consentita in orari determinati, dalle 7 della mattina alle 7 di sera dei giorni lavorativi. Il motivo di questa regola è evidente: buttare delle bottiglie vuote dentro un contenitore vuoto o pieno a metà di altri vetri fa molto rumore e non si vuole che tutto il vicinato sia disturbato dal casino di vetri rotti.

L'orario di per sé è arbitrario, nel senso che le sette di sera sono poco diverse dalle sette e mezza o dalle otto. Solo che, quando hanno dovuto decidere per un'ora, hanno deciso per le sette. Come per il limite di velocità, non è che 50 all'ora sia molto diverso da 55 o 60 all'ora, ma bisognava decidere un limite e si è deciso quello.

Se voi prendete uno dei nostri connazionali che sono venuti in cerca della legalità, andrà sempre a buttare il vetro dopo le sette o di domenica. E se proverete a fargli notare che esiste un regolamento che vieta di farlo dopo le sette, vi guarderà come se aveste detto la più gran castroneria dai tempi di Omero.

Perché per gli italiani che su Facebook condividono le foto dei magistrati morti e linkano gli articoli a favore della legalità, la legge è un'entità astratta e generale, nel senso che esiste in una dimensione teorica che coinvolge una ipotetica cittadinanza. Ma non appena la legge arriva a sancire il comportamento concreto ed inviduale, cioè quando vieta a te di fare la tal cosa in questo momento, tutti - e ripeto: tutti - gli italiani che conosco si irritano e reagiscono come se la legge gli impedisse di buttare il vetro per sempre e li obbligasse ad accatastare le bottiglie vuote nella vasca da bagno di casa.

E siccome a loro questo non va bene, si rifiutano di rispettare il regolamento e buttano il vetro un po' quando gli pare. E si incazzano come iene se glielo fai notare. E di solito sono io che glielo faccio notare, per il semplice motivo che è un regolamento di puro buon senso che serve a fare in modo che nessuno rompa le scatole agli altri, te compreso.

Ma attenzione, perché questo comportamento non viene percepito come una violazione delle regole. Queste persone ragionano all'incirca così: quello che faccio io è giusto; la regola vieta i comportamenti ingiusti; quindi non violo alcuna regola. Manca del tutto la percezione che il proprio comportamento concreto si attiene o non si attiene alla regola concreta e non ad un vago concetto di giustizia che viene creato dal singolo e che si applica aprioristicamente secondo la convenienza.

Ora, l'esempio è scemo ma pregnante, perché questa mentalità ha due conseguenze: che il singolo italiano viola le regole senza rendersene conto e - di conseguenza - che certamente violerà le regole ogni volta che queste andranno contro il suo utile.

Se parliamo di un neolaureato in cerca di lavoro in Germania, le regole infrante sono tutto sommato di poco conto. Non è che la polizia vada in giro a controllare che alle sette e dieci minuti non ci sia gente che getta le bottiglie nel cassonetto. Ma se quel neolaureato diventa col tempo un dirigente o un dipendente pubblico, si troverà ad infrangere le regole senza saperlo; solo che questa volta le conseguenze saranno ben più gravi e non si limiteranno ad un po' di rumore. Un dirigente che gestisce in maniera "allegra" i conti dell'azienda la farà fallire e farà perdere il lavoro a tanta gente. Un dipendente pubblico che acceleri certe pratiche perché sono quelle dell'amico e rallenti certe altre perché sono quelle di uno sconosciuto, moltiplicato per tutti i dipendenti pubblici, blocca il sistema nel suo complesso.

Per questo quando vedo i link tipo "Democrazia e legalità", "Parlamento pulito" eccetera, non riesco a non pensare che sia solo il nuovo bigottismo del secondo millennio. Come una volta si predicavano pubbliche virtù e poi ci si andava a far ricucire l'imene dal dottore amico di famiglia, oggi si alzano alti lai per l'illegalità della casta e poi, in privato, si viola la legge quando fa comodo.

Con la differenza che essere ipocriti sulla verginità prima del matrimonio non fa male a nessuno, essere ipocriti sul rispetto della legalità danneggia ogni singolo individuo. E lo stato in cui si trova l'Italia oggi ne è la prova.

Motivi per vivere in Germania #2

Judith Rakers, giornalista e presentatrice

Lunga e noiosa dissertazione sull'origine delle differenze tra Italia e Germania

Una costante del mio parlare della Germania agli italiani è cercare di spiegare perché io non ritenga che noi siamo un popolo di incivili, mentre contemporaneamente ammetta che in Germania le cose funzionano oggettivamente meglio (tanto che vivo qui per scelta e non per bieca necessità). Allora ho pensato di mettere giù due righe e spiegare questo fatto. 

Premessa importante: questo è un blog, quindi va preso per quello che è. Scrivo quando posso, di sera, nei ritagli di tempo se il lavoro per quel giorno non mi ha mandato in pappa il cervello. Quello che scrivo riflette i miei interessi, quindi le spiegazioni che mi do di solito si fondano su una selezione di tutti i dati disponibili. Ergo quello che si leggerà qui è parziale, monco, non può e non deve essere considerato una spiegazione esaustiva della materia che vado a trattare.

Bene, ciò detto, perché io vado in giro a ripetere che i tedeschi non sono più civili di noi mentre le cose in Tedeschia funzionano meglio? Ordunque la risposta che meglio mi aggrada è di ordine storico. 

Seconda premessa importante: ho scelto di fare un discorso ad ampio respiro che, in quanto tale, non tiene conto di tutti i particolari. Quello che qui sembrerà un movimento armonico e univoco, nella realtà fu un processo complesso e anche molto sofferto, incoerente e inorganico, pieno di spinte e controspinte, che vanno inevitabilmente a perdersi mano a mano che il punto di vista dell'osservatore si allontana da esse. 

* * *

La Germania unita è una nazione relativamente giovane, circa quanto l'Italia. Come l'Italia, è stata prima di tutto un'idea politica fondata sull'unità linguistica e culturale che ha preceduto la sua realizzazione pratica. Come l'Italia, è il frutto dell'espansione territoriale di uno dei tanti stati che componevano i territori germanofoni; in Italia è stato il Piemonte, in Germania la Prussia. Addirittura con l'Italia la Germania condivide una parte decisiva dei rispettivi processi di unificazione: il 1866, quando Regno d'Italia e Prussia sconfiggono l'Austria-Ungheria (cioè, l'Italia venne sconfitta a Custoza, ma la Prussia vinse a Sadowa, quindi noi abbiamo vinto per la proprietà transitiva delle battaglie. Passata alla storia come Terza Guerra d'Indipendenza).   

Io credo che le differenze tra Italia e Germania nascano a questo punto, a unità raggiunta. Terza premessa al mio discorso: sono convinto che in qualsiasi comunità/società/gruppo umano la direzione che il gruppo prende sia determinata dalle elite che governano quel gruppo: che sia un club di modellismo, un'azienda quotata in borsa, uno Stato, la minoranza che sta al potere determina gli esiti di quel gruppo, mentre la maggioranza vi si adegua. 

Quando la Germania nel 1871 compie il processo di unificazione e fonda l'Impero Tedesco (Deutsches Kaiserreich), le elite di governo hanno carta bianca, perché non esiste un manuale di management dell'unificazione che spieghi passo passo cosa fare quando si deve governare una nazione appena creata. La situazione allora era questa: uno Stato nuovo nato dalla fusione di differenti monarchie, ognuna con la propria organizzazione e burocrazia; abbondanza di risorse naturali (carbone, acciaio, eccetera); un sacco di nazioni intorno che non sono contentissime della nascita di questo impero. 

In questo contesto la Germania si muove in tre direzioni: creazione di un esercito efficiente sul modello prussiano; creazione di una burocrazia statale efficiente; creazione di scuole e università e promozione della cultura in tutti gli strati della popolazione. Ora, l'esercito in questa sede non interessa, perché l'attenzione sarà rivolta agli altri due aspetti.

Il Reich inizia subito ad investire massicciamente nella cultura. Il tasso di analfabetismo inizia a scendere costantemente, fino a raggiungere i livelli più bassi dell'Europa del tempo. Allo scoppio della Grande Guerra gli analfabeti tra i soldati tedeschi sono un numero drammaticamente inferiore rispetto a quello dei soldati italiani. Non solo, nella Germania postunitaria il numero di università che vengono fondate è incredibilmente alto. Il tradizionale concetto di università valido fino ad allora viene modificato e sorge l'università moderna così come noi la conosciamo e così come noi riteniamo debba essere.

Contemporaneamente il nuovo Stato unitario comprende la necessità di costruire un apparato burocratico che funzioni e si rende conto che la macchina statale non è fatta di regole, ma di persone e che è necessario che ogni singola persona che fa parte di quel meccanismo non lo intralci e non metta il proprio interesse o il proprio comodo di fronte al bene della burocrazia. È dunque necessario formare i membri dell'apparato statale in funzione del nuovo ruolo che andranno a ricoprire e per fare ciò è necessario creare una nuova fedeltà allo Stato che soppianti i legami di sangue o di relazioni preesistenti.

Questo duplice approccio - educare la popolazione e creare una classe di funzionari pubblici fedeli allo Stato - si rivela la scelta giusta e i frutti si vedono subito. È nell'impero tedesco che comincia la seconda rivoluzione industriale, è qui che si gettano le basi per la creazione del mondo contemporaneo, sia sotto il punto di vista culturale che sotto quello tecnologico. A partire da questo momento la Germania diventa un faro per la cultura occidentale. Per avere un quadro completo dello straordinario impulso tedesco alla scienza e alla tecnologia dal 1871 a oggi, troppo spesso ignorato o sottovalutato per colpa di quei maledetti 10 anni di dittatura, consiglio di leggere un libro uscito due anni fa: P. Watson, The German Genius: Europe's Third Renaissance, the Second Scientific Revolution, and the Twentieth Century, New York 2010.

Come si vede, le scelte della Germania o - per meglio dire - della sua classe dirigente, sono state opposte a quelle della classe dirigente italiana postunitaria. Lì si è percorsa la strada dell'alfabetizzazione di massa, qui si sono tenuti gli italiani a livelli di analfabetismo altissimi fino agli anni 60 del Novecento. Lì si sono formati e allevati funzionari pubblici fedeli allo Stato e alle sue leggi, qui si è lasciato che l'amministrazione pubblica rimanesse impigliata nella rete di relazioni e interessi privati che esistevano da prima. È una questione di mentalità. In Italia si pensa che la cultura sia strumento di emancipazione del singolo o della classe rispetto alla società e al potere costituito. Si è sempre ritenuto che educare la popolazione fosse la ricetta giusta per la rivoluzione (e quanti di noi non pensano che "loro" preferiscono avere una popolazione ignorante e malleabile e che non ci vogliano far studiare perché altrimenti saremmo una minaccia?) In Germania invece si è capito che l'istruzione è la strada maestra verso l'integrazione nella società e la fedeltà allo Stato, sia dei funzionari pubblici (soprattutto loro) sia della popolazione. E infatti - per fare alcuni esempi - il Regno d'Italia era una fucina di terroristi e anarchici, mentre nel Reich si sviluppò prestissimo la socialdemocrazia e le idee marxiste e rivoluzionarie vennero abbandonate relativamente in fretta. Quando il fascismo pretese dai professori universitari il giuramento di fedeltà, si rifiutarono nemmeno in venti. Quando il nazismo prese il potere, i professori tedeschi diedero una mano a portare in piazza i libri da bruciare.

A questo punto si potrebbe avere l'idea che la Germania fosse un Paese democratico o quanto meno aperto alle istanze popolari. Ebbene, fu l'esatto contrario! Mentre l'Italia cercò di mettersi nel solco della democrazia parlamentare inglese e francese, la Germania volutamente e coscientemente rifiutò quella tradizione e scelse per sé una strada tutta sua, un modo originale e diverso di organizzare la società e la politica, che venne da subito definito Sonderweg (strada/via speciale/diversa da quella delle potenze democratiche e dello zarismo russo).

Quando nel 1849 a Francoforte il primo parlamento tedesco offre al re Federico Guglielmo IV di Prussia la corona della Germania, egli la rifiuta: il trono dell'impero tedesco non deve essere legittimato dal popolo, poiché quello che il popolo dà, il popolo può togliere. Il senso di superiorità dell'aristocrazia rispetto al popolo e ai borghesi rimarrà costante per tutta la durata del Reich. Ad una nobiltà di sangue corrisponde una nobiltà di cultura e sapienza che è esclusiva delle elite di potere tedesche.

Esistono due parole per definire il termine 'cultura': Kultur e Zivilisation. La differenza tra le due è gerarchica: Kultur sta in alto, è il sapere intellettuale; è "nobile", per così dire. La Zivilisation sta un gradino più in basso e pertiene agli aspetti più pratici e "materiali" dell'esistenza. È utile, ma meno pregiata. Per l'elite tedesca dell'epoca, le altre nazioni non andavano oltre la Zivilisation, perché solo la Germania poteva esprimere Kultur.

Specularmente il sistema educativo tedesco teneva conto di questa gerarchia dei saperi. La divisione tra cultura alta e cultura bassa era netta. In alto stava la speculazione intellettuale che si fondava sulla tradizione dell'antichità greco-romana, in basso stavano le discipline tecnico-scientifiche. Ciò che rende affascinante l'esperienza tedesca è che questo bipolarismo, questa sfacciata gerarchia dei saperi (così contraria al sentire contemporaneo) ebbe come risultato che sia la cultura "alta" che la cultura "bassa" crebbero come in nessun altro luogo in quel periodo.

Tanto fiorirono gli studi classici (il secondo Rinascimento di cui scrive Watson si riferisce precisamente alla riscoperta dell'antichità, simile a ciò che era accaduto in Italia con il Rinascimento) quanto la scienza e la tecnica. Ma come è stato possibile?

In un certo senso, gli intellettuali tedeschi decisero di rinchiudersi nella torre d'avorio. Apposta. Per non mischiarsi con la volgarità mondana. Tuttavia vollero per loro la miglior torre d'avorio possibile e quindi vollero circondarsi dei migliori ingegneri, tecnici, muratori, idraulici. Gli intellettuali fornirono le scuole e le università, i tecnici conoscenza pratica. Gli intellettuali non intendevano fare proselitismo culturale e si disinteressarono alle questioni spirituali di chi stava fuori dalla torre e i tecnici accettarono di non intromettersi nelle decisioni prese dentro la torre (anche se gli intellettuali non potevano sapere che di lì a poco i tecnici, dopo aver costruito loro la torre d'avorio, li avrebbero chiusi dentro sbarrando la porta dall'esterno).

Perché oggi parliamo di quello che è successo in Germania non il secolo scorso, ma quello prima ancora? Perché oggi in Germania ancora si sentono gli effetti di quelle scelte così lontane nel tempo. L'apparato burocratico funziona, perché chi vi entra è stato istruito e selezionato con attenzione. Per fare un esempio, chi vuole fare l'insegnante deve - dopo la laurea specialistica - sottoporsi a due anni di tirocinio che, nelle parole di un mio amico, assomiglia all'addestramento dei soldati prussiani: prima ti smontano, ti depurano di tutto quello che credi di sapere, poi ti rimontano secondo gli standard richiesti. Alla fine dei due anni, il posto di lavoro non è assicurato, bisogna trovarse una scuola che ti accetti. E quando arriva il contratto, il futuro insegnante deve, tra le altre cose, sottoporsi a visita medica che accerti l'assenza di malattie invalidanti che mettano a rischio di pensionamento anticipato, che lo Stato tedesco non ha nessuna intenzione di darti lo stipendio per 10 anni e poi pagarti la pensione e i sussidi di malattia per i restanti 50.

Questo sistema non crea genii, crea "semplici" lavoratori preparati. Tiene lontani quelli che vorrebbero fare l'insegnante solo per avere un posto statale blindato a vita o che siederebbero in cattedra per mancanza di alternative o capacità in altri settori. Due anni di tirocinio non si fanno se non seriamente motivati, e già questo produce una scuola migliore rispetto a quella italiana.

Per entrare in polizia bisogna aver studiato. A scuola proprio. Bisogna essere preparati e seri. Non si va in polizia per scappare dalla disoccupazione, perché per questo ruolo lo Stato non vuole avere gente che non è riuscita a trovare nemmeno un lavoro come cassiere al McDonald's. Non è il mio pensiero, è il modo in cui ragiona la burocrazia tedesca. Lo stesso vale per tutti i dipendenti pubblici: l'impiego statale non è un ammortizzatore sociale.

Allo stesso modo per trovare lavoro nel settore privato è necessario aver studiato. Magari poco, ma bisogna aver studiato. Per andare a guidare il muletto in un magazzino servono mesi di tirocinio, così come per qualsiasi altro lavoro che noi considereremmo poco qualificato.

Il sistema educativo, invece, è estremamente diversificato. Mentre in Italia siamo ancora fermi alla polarizzazione liceo-università-laurea da una parte e istituto-tecnico-dove-sbattere-quelli-che-non-si-vogliono-laureare dall'altra, in Germania esistono molte più passaggi intermedi tra gli estremi di chi va a lavorare a 15 anni con il minimo di scolarizzazione e chi si dedica alla ricerca speculativa pura. Perché, visto che non siamo più nell'800, la maggior parte dei lavori richiedono conoscenze specifiche, pratiche ma intellettuali, che si devono insegnare dopo il liceo ma che non richiedono 5 o 6 anni di studi teorici.

Quando mi chiedono se in Italia non possiamo essere come in Germania, rispondo di no. Ma non perché i cittadini tedeschi siano antropologicamente diversi da noi, perché non è così. È che il sistema complessivo è radicalmente diverso. E se lo applicassimo da noi così come è succederebbe in finimondo, ma non per modo di dire.

La quasi totalità dei dipendenti pubblici italiani semplicemente non avrebbe le qualifiche per lavorare, ad esclusione di qualche categoria particolare come medici e infermieri. Se tra i lettori di questo blog ci sono dei dipendeni pubblici, sappiate che - con le qualifiche che avete - non potreste lavorare.

Potremmo cambiare col tempo? No, non credo. Perché. a differenza della Germania di Bismark, oggi l'azione politica e di governo ha bisogno del consenso popolare e il consenso popolare impedirebbe di cambiare la struttura portante del nostro Paese. Vi immaginate un partito che fa campagna elettorale con la promessa di modificare il pubblico impiego in modo che l'accesso filtri ed elimini gli elementi peggiori? Vi immaginate un partito che fa campagna elettorale promettendo di rendere incredibilmente più difficile trovare un lavoro da statale? Io no.

Si poteva fare ad Italia appena unita, quando in ogni caso il governo non si faceva problemi a  cannoneggiare la folla, mandare l'esercito contro i briganti e deportare quelli a cui non stava bene il nuovo corso degli eventi. Purtroppo all'epoca non avevamo la classe dirigente della Prussia e l'occasione è andata persa. Oggi la classe dirigente viene selezionata in base alla capacità di raccogliere consenso e niente di quello che ha reso la Germania quello che è si può fare con il consenso, tutt'altro.

Addominali a tavola e bicipiti al bancone

Quando sono arrivato in Germania mi pareva di stare in un covo di esaltati per lo sport. Non c'era solo il fatto che vedevo tutti correre, andare in palestra, correre al parco, andare in palestra, correre in riva al fiume, correre e sempre correre. 

Erano pure tutti attrezzati, impegnatissimi, con le scarpe giuste, l'occhialino aerodinamico. E le biciclette? Io che vengo da una terra di ciclismo pensavo di averne visti di esaltati, ma mi sbagliavo: perché da noi si scherza un po' sui signori che s'inguainano nei vestitini di licra, ma qui li vedi girare sulle bici da crono.

Io non sono mai stato uno sportivo, ma proprio per niente, e così ero molto impressionato e anche un po' in soggezione, perché mi sentivo veramente un botolo paffuto in mezzo a dei tronchi d'uomini che non c'era paragone proprio.

Ma, come ho già scritto, nell'ultimo annetto mi sono rimesso in una forma accettabile. Non sono un atleta, non ho gli addominali scolpiti nell'acciaio, ma insomma non faccio più pena. In poche parole mi sono trovato ad essere uno di quelli che un po' temevo un po' ammiravo anni fa. 

E a questo punto mi è crollato tutto, perché mi sono reso conto che i tedeschi fanno molto sport, corrono molto (non avete idea di quanto corrano, tutti e sempre), spendono una marea di soldi in attrezzatura, ma poi, se valuto quanta fatica fanno, quanti chilometri corrono, quante calorie bruciano, allora lì è tutta un altra storia. Perché un conto è andare a corricchiare due volte a settimana, un conto è fare 15 chilometri in un'ora. 

Le prime volte in palestra mi sono reso conto di essere sempre e comunque il più piccolo del gruppo (maledetti ariani). Tutti sti tizi con i muscoli grossi, alti e lunghi. Embé, dirà il lettore, e a te che t'importa? T'importa quando ci devi salire sul ring a fare sparring, eccome se t'importa. 

Dicevo, questi tizi col muscoletto gonfio, le scarpe da boxe alte fino al ginocchio, i guantoni da centinaia di euro... si comincia a boxare e così - mosso più da paura che da strategia - mi metto a volare in giro per il ring, a schivare, a muovermi di qua e di là. E alla fine tutti che mi dicono stupiti "ma quanto fiato hai?", "ma quanto sei veloce?"

E mi si è insinuato il dubbio: ma se una schiappa totale come me, con solo qualche mese di allenamento alle spalle dopo anni di inattività, riesce a battere sti marcantoni contando solo sul fiato, ma vuoi vedere che...

Così ho cominciato a fare attenzione ai dettagli. Quando vado a correre (e io sono la vergogna per qualsiasi runner, sono un insulto vivente al concetto di corsa, dico solo che ho un total-look Kalenji) guardo quelli vestiti tutti tecnici. Di solito li guardo mentre li sorpasso, perché vanno così piano che si fanno superare persino da me. Qualche settimana fa ho fatto l'incontro di una vita: ero al parco, meteo nuvoloso con temperatura sotto i dieci gradi. Vedo questo tipo con canottiera, pantaloncini corti, calzettoni lunghi fino al ginocchio, cappello con visiera e con quella specie di veletta nella parte posteriore che si usa per proteggersi dal sole dei tropici, cintura con 4/6 borracce d'acqua, che procede a ad una velocità che si attestava intorno a "nonna che fa a fare la spesa col carrello".

Poi io giro in bici, ma non la uso per fare sport, non mi alleno per niente. Però quando esco non manco mai di trovarmi a sorpassare il gruppetto di ciclisti amatoriali con le loro bici da migliaia di euro. Che voglio dire, cosa li spendi a fare quei soldi se devi andare più piano di uno che sta uscendo a bersi una birra? E vogliamo parlare di quelli che vanno con la bici da crono sulle piste ciclabili? Una bici da crono costa un sacco di soldi e non credo sia nemmeno tanto facile da guidare: perché butti via centinaia e centinaia di euro per fare quello che potresti fare con una qualunque bicicletta presa a caso?

La cosa bella è che tutti questi sportivi poi vanno a casa e si mangiano insaccati e salsicce a colazione, mentre reintegrano i liquidi persi con ampie caraffe di birra.

Quindi ho capito che lo sport in Germania è come la religione in Veneto: in chiesa ci vai quando e perché bisogna, ma questo non ti impedisce di bestemmiare tutti i santi del paradiso quando ne senti il bisogno.

E la morale implicita è che qualunque bel principio, quando diventa senso comune, viene ridotto ad una serie di pratiche esteriori in modo che la maggior parte delle persone lo possa seguire possa pensare di adottarlo, senza però che la loro vita ne venga minimamente influenzata.

Motivi per vivere in Germania #1

Aylin Tezel, attrice

Un veneto nella Mitteleuropa

Uno degli aspetti estranianti per un italiano all'estero è il quotidiano scontrarsi con i pregiudizi degli stranieri nei nostri confronti. Per esempio, in quanto italiani tutti si aspettano che si sia gioviali, canterini, simpatici e alla mano. Io sono veneto. Tanto brava gente noi veneti, ma solari proprio...

È una questione di ambiente. I tedeschi si immaginano l'Italia - tutta intera - come il posto del sole, del mare, del caldo. 'Na mezza africhetta, più moderata. Vanno in vacanza a Roma, a Napoli, in Sicilia, e vedono la gente che gesticola, che parla ad alta voce, in riva al mare che fa i tuffi.

Il problema è che quando sei veneto tu queste cose non le hai mai viste intorno a te. Dove sono nato e cresciuto io la natura offre quattro cose: sofego, caìvo, bromestega e iera (afa, nebbia, galaverna e ghiaia). In questo ambiente sono cresciute generazioni prima di me, contadini figli di contadini figli di contadini. Una zona agricola che, grazie ai quattro elementi di cui sopra, si è specializzata in una sola produzione: peagra (pellagra).

In queste condizioni si è sviluppato il tratto principale di noi veneti: l'incapacità di parlare, se non per frasi brevissime. Perché se devi seminare suturco (mais) per raccogliere fame, l'ultima cosa che vuoi fare è parlare. Devi stare chino sulla terra ghiaia e farla diventare un campo di grano. Devi lavorare e le parole non aiutano. E dopo 12 ore così torni a casa e lì non c'è proprio niente da dire, perché le uniche cose che hai da dire è meglio che te le tieni per te.

È anche il motivo per cui la bestemmia è tanto sviluppata in Veneto: essa permette di esprimere nella forma più concisa possibile il maggior numero di concetti pensabili. Fateci caso: la lunghezza della bestemmia corrisponde all'intervallo di tempo tra una zappata e l'altra e, essendo il veneto ricco di parole tronche, essa aiuta anche a modulare il respiro sulle esigenze dei lavori agricoli. Tra un colpo di vanga e l'altro, non c'è tempo per parlare; ma sentite come d**càn si inserisca perfettamente nello sforzo fisico e anzi lo agevoli, permettendo di mantenere l'espirazione in sincrono con la lama che tocca il terreno.

Intorno a questa necessità pratica si è dunque sviluppata la virtù fondamentale di noi veneti, che è quella di non parlare se non sia proprio proprio necessario. E la virtù si regola secondo la morale del taxi ("taci", la x equivale alla s intervocalica come in rosa. Non c'entrano i tassisti).

Fin dalla tenera età ogni veneto veniva istruito secondo il comandamento più importante, precedente e superiore a quelli mosaici, che recitava: taxi (taci). Notate che anche la morale veniva espressa per forme brevissime.

I pargoli si educano per mezzo del silenzio. Il bambino non ha voglia di mangiare? Magna e taxi (mangia e stai zitto). Il bambino non vuole dormire? Dormi e taxi. Io, che ho fatto le scuole elementari con la maestra unica vecchio stampo, ancora mi ricordo che l'unica attività ludica concessa ufficialmente era il gioco del silenzio, che consisteva nello stare seduti in classe e non dire niente, non fare rumore e non muoversi. In più, non era prevista la vittoria, ma solo la sconfitta, perché non si premiava chi stava più in silenzo, ma si puniva chi sgarrava. Oggi credo che una cosa del genere condurrebbe gli insegnanti alla galera, ma posso assicurare funzionava meglio di un'overdose di Ritalin.

La morale del taxi si è così radicata nel corso del tempo da divenire il metro di misura per eccellenza dei rapporti sociali. Meno si parla, più si vale. Al lavoro, tra gli amici, dappertutto. Persino quando si vuole esprimere assenso, si dice spesso taxi sù, che anca mi... (taci va, che anche io...).

Importante è capire che per un veneto lavorare e parlare sono entità mutualmente escludenti: se parli, non stai lavorando. Se lavori, non stai parlando. Ma sempre però: se qualcuno parla molto, per dire, il sabato mattina al bar, di sicuro è uno che non lavora mai. Se sospettano che non lavori bene, taci. Se vuoi fare bella figura con il capo, taci.

Ora, prendete questo veneto che sta scrivendo e trasferitelo nella Mitteleuropa e vedete che succede. Perché forse in molti non lo sanno, ma le aziende moderne e al passo coi tempi sono ossessionate dal far parlare i propri dipendenti. Non importa cosa dicono, l'importante è che parlino ed esprimano la propria opinione. Se non lo fate, vuol dire che non vi impegnate e non vi interessano le sorti dell'azienda.

In pratica ci sono due mondi che si scontrano: per loro io non parlo e quindi non lavoro. Per me loro parlano e quindi non lavorano. Purtroppo loro non possono capire il valore del tacere e non glielo si può spiegare, in più si aspettano di trovare il tipico italiano tutto gesti e voce alta, e prova a fargli capire che no, non siamo tutti così e anzi, io sono pure parecchio orgoglioso di parlare poco.

Poi c'è che in Mitteleuropa, appena arrivi, sembrano tutti gentili. E una pensa "ah vedi, quindi non mi mandano a quel paese ogni 5 minuti, senti che ben che sta." Dopo un po' scopri che si scrive gentilezza, ma si legge "pompini davanti, coltelli nella schiena". Quindi tu non puoi mandare a quel paese nessuno, perché si spaventano (giuro), ma loro non si fanno problemi a cercare di rovinarti la reputazione in azienda.

Ma non è neanche quello alla fine. È una questione di linguaggio. Basta imparare a tradurre quello che vorresti dire dal veneto in aziendalese. All'inizio è dura, ma adesso credo di cavarmela discretamente. Ecco alcuni esempi.

No te capisse un casso! (non capisci un cazzo) = we need to improve communication between my department and yours.

Testa da batar pai! (sei un testa buona solo a battere i pali) = we should develop a tool that will allow you to handle the workload in a more efficient way.

D**cànit is imperative that we improve our productivity. I will analyse the issue and I will provide you with a detailed report ASAP.


Diiiiiiop**co = you should open a ticket for the IT department. Should you have requests or doubts, please refer to Franz Schwanz. In the meanwhile try to reboot your machine. 


***camadonna = I rebooted the machine twice. I unplugged the power supply and removed the ethernet cable, the keyboard, the mouse, the screen. Apparently it did not work, but I can try again, if you think it might help.


Eora va in mona de to mare sfondrada (meglio che non traduco) = Ok, I am going to connect to your machine, please do not touch the mouse and do not press any key. But reboot it first, let's see if that solves the problem. 


Mori (muori) = thank you.


Ciàvate (fottiti) = no problem.

[Detto di dirigente] Coiòn (coglione) = he should avoid micromanagement.

Resto comunque dell'idea che chi parla tanto non sta lavorando o sta cercando di praticare fellatio ai superiori. Ma mi devo adattare.



Propositi per il 2012

Lo so, sono in ritardo, però rendo ufficiale il mio proposito per l'anno che si sta srotolando davanti a noi.

Prometto che riderò sguaiatamente e rotolerò sul pavimento in preda alle convulsioni ogni volta che sentirò parlare della meritocrazia che impera al di fuori dei confini italiani.

Se vi capita che vi rida in faccia, sappiate che non c'è niente di personale. È il fioretto.

Contro le piste ciclabili

È da un tre o quattro mesi che volevo scrivere sulle piste ciclabili (ognuno ha i suoi pensieri per la testa, ok?) ma poi mi sono informato in giro e le argomentazioni sarebbero troppe e spiegare tutto in un blog a voi che siete in ufficio e leggete con l’ansia di dover far finta di lavorare e tanto non seguite il ragionamento non serve a niente. Quindi salto subito alla conclusione.

Le piste ciclabili non dovrebbero esistere. Dovrebbero esserci i pedoni sul marciapiede e i veicoli sulla strada. Sapete perché? Perché poi succede come qui al nord, dove i ciclisti - privati dei loro predatori naturali - sono diventati una setta di bigotti estremisti. E, come tutti i bigotti, strepitano e puntano il dito contro i peccaminosi comportamenti altrui, mentre loro si sentono superiori a qualsiasi forma di diritto positivo o di civile convivenza.

Non fraintendetemi, anche in Italia i ciclisti ragionano come una setta di bigotti moralisti, ma poiché l’auto che falcia anche 7 biciclette al colpo è sempre in agguato, sono troppo impegnati a sopravvivere per alzare troppo la cresta.

Qui invece chi va in bicicletta pretende che tutta la viabilità si fatta a misura dei propri desideri: vuole una strada a parte, blindata e inaccessibile ad auto e pedoni; vuole che le auto si fermino al suo passaggio, non sorpassino mai, si fermino sulle strisce pedonali anche quando si butta senza preavviso sulla carreggiata. Ma, attenzione, il ciclista nordico sputa su tutte le regole che invoca per gli altri: passa sempre col rosso, va contromano, attraversa dove non può, corre sulle zone pedonali.

Se poi comincia a parlare, allora è la fine. Perché voi credete che lui vada in bicicletta e invece sta salvando l’ambiente, l’ecosistema, il pianeta. Soltanto pedalando il suo macinino cigolante col campanello dling dling. Mica scherzi...

Poi, quando si mettono insieme, decidono che devono rompere i coglioni a chi non gli ha fatto niente e fanno la critical mass, che nient’altro è se non la legge del branco applicata al traffico cittadino. E si mettono in tanti in mezzo alla strada, ben sapendo che la Forza Pubblica non interverrà e impediscono alla gente che vorrebbe mandare avanti la propria vita in santa pace di potersi muovere. Perché si sa, quando stai salvando il pianeta non importa a chi scassi l’anima.

Ma la cosa che più irrita dei ciclisti è che nella loro città ideale tutti dovrebbero andare in bicicletta. I moralisti credono che il mondo sarà un posto migliore se tutti fanno come loro, dimostrando di non aver imparato una delle regole fondamentali: se una cosa è bella e funziona, dipende dal fatto che sono in pochi a prendervi parte.

Se voi mettete moltissime biciclette per strada, non risolverete il problema del traffico, ma semplicemente passerete dal problema “traffico auto” al problema “traffico biciclette”. In conseguenza di alti volumi di traffico di biciclette si verificano incidenti, code, rallentamenti esattamente come per le macchine; di seguito arrivano le leggi, i regolamenti e i controlli di polizia. In Olanda hanno già cominciato a imporre un limite di velocità di fatto (20 km/h) e in Germania c’è chi invoca la targa per i velocipedi.

Detto da uno che usa la bici come principale mezzo di trasporto: lasciate che siamo pochi a usare la bicicletta. Avere la strada intasata da ciclisti è il male per chi in bici ci va. Al 99 per sono pericolosi, azzardano manovre impossibili, non rispettano le regole, fanno quello che vogliono e vanno dannatamente piano. Vorrei che i ciclisti fossero pochi, che i pericoli fossero di più e che si operasse una selezione naturale. Se dovete andare piano e non volete usare la macchina, prendete il tram. Se volete essere ecocompatibili, prendere l’autobus elettrico. Se avete paura di guidare in mezzo alle macchine, state a casa. Se volete usare la bicicletta, accettate il fatto che esistono le macchine e i pedoni.

Perché insomma, la bici è bella perché è una delle poche cose rimaste che ti puoi costruire da te, che ti permette di andare in giro senza che la polizia ti flashi, ti fermi, ti controlli i documenti e ti faccia l’etilometro, dove puoi avere ancora il gusto di violare le regole sapendo di doverne pagare le conseguenze sul proprio corpo.

Invece se tutta questa mania ecologista prende piede, mi troverò le strade intasate di biciclette guidate da scriteriati, così aumenteranno gli incidenti, aumenteranno i controlli, si inaspriranno le regole e alla fine non potrò nemmeno bere una birra se devo andare in bici.

No, pochi ma buoni, grazie. E niente piste ciclabili.

Dove sono capitato

Oggi un mio conoscente tedesco su Facebook dà l'annuncio che "diventerà papà". Al che una comune conoscente tedesca gli chiede: ma la cagnolina o tua moglie? nel senso di chi è rimasta incinta.

Voi, voi che parlate tanto di andarsene dall'Italia, veniteci qui. Venite a vedere quanto avanti sono al nord. Provate a vivere in un posto dove la cosa migliore che vi sentite dire è l'equivalenza tra vostra moglie, la madre dei vostri figli, e un cane.

Grammatica

Attenzione, il post che segue è per sfigati. Vale la regola “sfigato chi legge”. Quindi chi non vuole diventare sfigato non prosegua.

La cosa più difficile nel processo di apprendimento del tedesco è la mia formazione umanistica. Avendo studiato a livello accademico italiano, latino e greco, ho la mia visione della lingua, che naturalmente è quella giusta. Per me le lingue hanno sempre funzionato in maniera concettualmente semplice: ci sono i predicati, i complementi, le concordanze tra sostantivi e aggettivi e così via. Significa che per comporre una frase imparo una regola teorica generale, in base alla quale faccio derivare i casi particolari.

Se il soggetto è singolare, dovrò usare il verbo al singolare; se il soggetto è femminile, dovrò adottare gli aggettivi al femminile. In questa operazione non interferisce la morfologia dei singoli termini. Cioè, casa e televisione hanno suffissi diversi, ma l'aggettivo seguirà la sua propria declinazione, sordo ai lamenti delle prime. La casa sarà gialla, ma anche la televisione sarà gialla. Perché il femminile singolare di giallo è gialla e così sarà sempre in saecula saeculorum.

Lo stesso vale per i complementi: quando ho imparato che i vari casi hanno funzioni diverse e che ogni preposizione accompagnata da un caso costruisce un determinato complemento, mi è indifferente quale verbo sto usando, in quale conesto e via dicendo.

Da quando studio tedesco tutto questo non c'è più. Perché vi dicono che il tedesco è come il latino, ma non è mica vero. Almeno, così come te lo insegnano non assomiglia per niente al latino. Caso banale: in latino (ma anche in greco), il genere ed il caso di un sostantivo si ricavano dal suffisso. Lupus è maschile perché -us è l'uscita del nominativo maschile singolare; casa è femminile perché il suffisso -a è femminile. Punto.

In tedesco, il genere del sostantivo è una convenzione dei parlanti che non ha alcun riflesso nella flessione del sostantivo stesso. Per cui qualsiasi parola è potenzialmente di qualsiasi genere, a meno che per esperienza il parlante non conosca il genere. Cioè il sostantivo si rifiuta di dirvi di che genere è. È come se non fosse possibile stabilire se un sostantivo sia singolare o plurale, se non sapendolo a priori.



Allo stesso modo, i famigerati verbi tedeschi sono, apparentemente, privi di una logica formativa interna. In teoria, funzionano come il greco: prefisso+verbo, in cui il prefisso modifica il significato del verbo. Solo che in greco la modifica avviene secondo una logica che, se non evidente, per lo meno si può apprendere, quindi una volta che si conosce il significato dei prefissi e dei verbi semplici, è facile ricostruire il significato dei verbi composti (non chiedetemi esempi, il Rocci è inscatolato in Italia).

In tedesco è così, ma anche no. Per dire, laden vuol dire circa caricare (inglese: to load); herunter-laden significa scaricare, nel senso di to download, e qui ci siamo, perché herunter significa giù, sotto; ma ein-laden vuol dire invitare.

Il problema poi è che nella didattica vengono ignorate le regole che ci si aspetterebbe di trovare, e ne vengono introdotte altre apparentemente più semplici, ma che nel lungo periodo si rivelano sbagliate. Per esempio, vi spiegano che il verbo va sempre nella “seconda posizione”. Così la frase “io mangio una mela a merenda”, può diventare “una mela mangio io a merenda”, oppure “a merenda mangio io una mela”; ma non potrà essere “a merenda io mangio una mela”, perché il verbo in questo caso occupa la “terza posizione”. Già in questa semplice frase si capisce che la regola della “seconda posizione” fa acqua, perché in “ a merenda mangio...” il verbo è, a rigor di logica, in terza posizione. Ma quando la frase diventa più complessa, la regola diventa inutile. Vediamo:

Yukiko vive in una casa danneggiata dal terremoto dello scorso Marzo insieme ai genitori.

Il tipico esercizio che si fa a scuola è quello di invertire l'ordine degli elementi, per imparare a posizionare il verbo. La frase in tedesco può essere così riordinata:

In una casa danneggata dal terremoto dello scorso Marzo vive Yukiko insieme ai genitori.

In che posizione è il verbo? In “seconda”? A me pare sia in decima posizione. Invece no, è in seconda, a patto che riformuliate la regola: il predicato verbale deve essere preceduto sempre dal solo soggetto (insieme ad eventuali complementi da esso dipendenti) oppure da un singolo complemento (insieme ad eventuali complementi da esso dipendenti). Sottigliezze? Forse, però una volta enunciata la regola come fanno a scuola, ogni singolo studente formula la frase così:

*In una casa vive danneggata dal terremoto dello scorso Marzo Yukiko insieme ai genitori.

Che è sbagliata in tedesco, ma aderisce perfettamente alla regola del verbo in seconda posizione. Il problema è che manca il concetto di complementi, da cui deriva un metodo di insegnamento che trovo difficilissimo da seguire. La cosa si complica con i verbi, perché (così come per il genere dei sostantivi) è necessario imparare a memoria con quali preposizioni si accompagnano. Stando a quanto insegnano a scuola, non c'è modo di astrarre una regola generale grazie alla quale sia possibile prevedere il caso particolare.

Parlare con gli insegnanti non aiuta, perché ho scoperto che nemmeno a loro, a livello accademico, viene insegnata la grammatica che noi impariamo alla scuola dell'obbligo. Per esempio, non conoscono la differenza tra tempo e modo verbale. Una volta, un esercizio richiedeva di sottolineare tutti i verbi al presente di un testo. Per me è stato ovvio sottolineare anche l'infinito presente, perché appunto verbo al presente. Ho dovuto litigare con l'insegnante perché secondo lui l'infinito è in opposizione al presente. Se un verbo è al presente, non può essere all'infinito.

Ovviamente per lui presente significa “indicativo o congiuntivo presente”, perché nel libro di scuola non esistono tabelle con i tempi verbali dell'infinito (anche se ovviamente l'infinito passato esiste).

Altro punto sensibile per gli insegnanti è il passivo. Non c'è verso di far capire loro che le frasi “Mario mangia la mela” e “la mela è mangiata da Mario” hanno lo stesso identico significato. Anche in questo caso, mi sono trovato a discutere animatamente per imporre la ragione, alla quale è stato infine addotto come controargomento il binomio “la signora delle pulizie lava il pavimento” - “il pavimento viene lavato dalla signora delle pulizie e non dal portiere”.

Al che ho capito che è proprio una carenza formativa. Persino a livello universitario la lingua viene insegnata non a livello astratto in base a meccanismi razionali, ma come semplice messa in pratica di nozioni acquisite di volta in volta con l'esperienza. Da qui ne risulta l'incapacità di distinguere tra forma e significato, tra modo e tempo, tra elementi della frase e posizione degli elementi. Poiché l'infinito non ha una tabella di flessione temporale divisa per persona, nell'infinito non viene percepita la presenza di un tempo. Ciononstante, l'infinito passato viene usato senza problemi quando necessario, perché la pratica quotidiana priva di rigida teorizzazione astratta permette di far convivere teorie che si negano a vicenda.

Così per me imparare il tedesco è doppiamente difficile, perché l'unico metodo è quello di imparare pedissequamente a memoria il genere di ogni singolo sostantivo, la preposizione che segue ogni singolo verbo eccetera. Solo che non sono convinto che la lingua tedesca funzioni in questo modo demente. Manca solo una astrazione razionale del suo funzionamento. Ora, se qualcuno dei lettori ha studiato tedesco in Italia, magari ha sperimentato un metodo diverso. O magari lo ha studiato a livello accademico e ne sa più di me e io sto sbagliando tutto. Però devo trovare il modo di uscire dalla situazione in cui sono, in cui mi rifiuto di fare certi esercizi perché sono totalmente privi di basi razionali.


Morire di cesio in Germania

Per ragioni di tempo scrivo poco e leggo poco. Naturalmente non mi azzardo neanche a leggere cosa si dice in internet riguardo al Giappone (ma posso immaginare, posso immaginare. Hanno già nominato lo spostamento dell'asse terrestre?) Mi basta quello che sento on the road.

Oggi, per dire, una conoscente ceca ha cercato di erudirmi, in un tedesco peggiore del mio, su quello che è successo. Prima cosa, il terremoto è sparito. Fottesega proprio del terremoto. Lei, come praticamente tutti, stanno impazzendo per colpa della centrale nucleare. Il problema è che nessuno sa niente di energia atomica e, siccome il funzionamento delle centrali nucleari è per certi versi controintuitivo e comunque lontano dall'esperienza comune, il tedesco medio è convinto che lì a Fukuqualcosa ci sia stata un'esplosione termonucleare e che stiamo per morire tutti a causa del cesio (non so perché, ma sono entrati in fissa col cesio).

Ma perché pensano ciò? Perché i media sono partiti completamente. Continuano a parlare di esplosione e nucleare, nucleare ed esplosione, finché alla fine tutti si sono convinti che c'è stata un'esplosione nucleare. Inoltre, siccome in Germania ci sono delle centrali nucleari, tutto d'un tratto si sono svegliati e sono entrati in panico da centrale a fissione.

L'assurdità è evidente. Cioè, che il rischio incidente nucleare in Germania sia 1 o sia 100, è rimasto lo stesso della settimana scorsa. Non è che perché il raffreddamento di emergenza di una centrale in Giappone non ha funzionato, allora tutte le centrali nucleari tedesche esploderanno domani mattina. Se non gli n'è mai calato niente fino ad oggi, non si capisce perché dovrebbe calargliene oggi.

Si preoccupano di cose che non esistono e si dimenticano completamente che il problema del Giappone è un terremoto, uno tsunami, i morti, i danni e tutto quello che sappiamo. 

Le ingiurie degli anni

In Germania ci sono tre tipologie di anziani: gli anziani veri e propri, i vecchi al supermercato e i vecchi in Mercedes.

Gli anziani sono gli stessi di tutto il mondo. Sono i nostri nonni, le vecchine della porta a fianco, la maestra del paese. Niente di diverso.

I vecchi al supermercato sono anziani che fanno la spesa, appunto al supermercato. Non si notano quando sono tra gli scaffali, perché si muovono silenziosi e guardinghi. Sono dei ninja, potete percepire la loro presenza, ma non li vedete e non li sentite. Poi vi mettete in fila alla cassa e d'un tratto un carrello vi colpisce alle gambe. È l'anziano. Voi lo guardate, ma per lui non esistete. Finché non avrete pagato, il vecchio al supermercato vi spingerà col carrello, accartocciandovi contro la persona che vi precede. E l'attesa durerà non poco, perché due persone più avanti c'è un altro vecchio al supermercato che paga con monete da 1 e 2 centesimi, perché in Germania tutti i prezzi sono sempre euro x,78 oppure x,43 oppure x,96 e lui non ci vede, ma conta le monetine ad una ad una. È una tonnara: un vecchio davanti vi blocca, un vecchio dietro vi spinge. E non c'è scampo.

I vecchi in Mercedes invece vanno in giro con la più lunga Mercedes prodotta negli anni 90. Lunga, lunghissima, rigorosamente berlina. In città non superano mai i 43 chilometri orari. Per immettersi nel traffico prima piazzano il muso (lungo come un'auto normale), bloccando la corsia. Poi si fermano. Guardano il traffico arrivare. Aspettano che si blocchi. Quando giudicano che la coda è abbastanza lunga, ripartono. 20 all'ora per i primi 200 metri, 25 all'ora per i secondi 200 metri e via così fino a toccare i 43 di crociera.

In autostrada, procedono per qualche tempo dopo l'immissione a 110 all'ora nella corsia di destra, per poi spostarsi su quella centrale e attestarsi su un sereno 100 all'ora. Di solito procedono alla combinata cambio corsia/rallentamento quando voi sopraggiungete a 130. Esistono però due eccezioni alla regola. La prima è che quando voi siete sulla corsia di destra a 120/130, il vecchio con la Mercedes vi sorpasserà al solo scopo di rientrare e frenarvi in muso, riassestandosi sui 110 (anche se questa è una manovra tipica dell'automobilista tedesco). La seconda è durante gli affollati fine settimana di rientro dalle ferie, quando l'Autobahn si trasforma in una motorway inglese e tutti si affannano sulla corsia più a sinistra possibile facendo a gara a chi va più piano, mentre sulla corsia di destra c'è gente che, serena ed indisturbata, ci fa il picnic.

In sostanza, a meno che non siano vostri parenti, sappiate che gli anziani tedeschi vi odiano e cercano di uccidervi a colpi di carrello oppure tagliandovi la strada in autostrada. E questo non è bello.  

Progettazione tedesca

Oggi ho avuto una delle tante epifanie culturali che mi capitano in Germania. Il contesto è il mondo della bicicletta. Qui è popolare il cambio interno al mozzo posteriore. Questa soluzione prevede che ci sia una sola corona e un solo pignone, mentre i diversi rapporti sono alloggiati all'interno del mozzo, cui si collega un cavo per effettuare la cambiata.

Questa soluzione è tipicamente tedesca: in teoria non ha bisogno di manutenzione, perché il tutto è sigillato all'interno del mozzo, permette di cambiare rapporto anche da fermi ed elimina i problemi del cambio tradizionale legati all'usura dei componenti. In teoria, sembrerebbe la soluzione perfetta per chi vuole avere una bicicletta dotata di rapporti ma non vuole perder tempo dietro al cambio.

Ed in pratica è anche così, perché non c'e niente che questo cambio prometta che non viene mantenuto. L'unico problema è che sembra progettato come se con la bicicletta ci si facessero due cose: pedalare e cambiare rapporto. Se però con la bicicletta vi capita di bucare, o di dover cambiare pneumatici, il cambio interno al mozzo... ecco, non ha previsto questa possibilità.

Immaginate, con una bici tradizionale, di dover smontare il deragliatore ogni volta che togliete la ruota. Sembra una cosa sensata? A me no. Eppure è quello che si deve fare con il cambio interno al mozzo. Così oggi, per cambiare una gomma, ho dovuto smontare il maledetto cambio e non sono riuscito a rimontarlo perché è un meccanismo più complesso del deragliatore. E domani devo subire l'offesa di portare dal meccanico la bici per far rimontare il cambio a causa di un lavoretto da nulla che non interessava il cambio. Per evitare il fastidio di pulire e ingrassare la catena una volta ogni tanto, hanno escogitato una soluzione che rende molto molto difficile tutto il resto della manutenzione. 

E mentre ero lì a rimirarmi le mani nere rigate di sangue (taglio sul polpastrello del pollice, lunghezza 1 millimetro, profondità 2 centimetri, cl versati sulla ruota 10), mi sono reso conto che qui capita spesso di trovare delle cose che in teoria sono tantissimo migliori di quelle normali, e che appena provi ad usarle nel mondo reale ti creano più problemi di quelli che risolvono. Anzi, alla fine pensi che i problemi che volevano risolvere non erano poi neanche veri problemi, ad essere onesti. E che siccome la cosa nuova che hanno progettato loro costa due o tre volte di più, allora non ne vale proprio la pena.  

Il tiranno prospera perché voi non lo insultate

Io ammiro i tedeschi per come gestiscono la cosa pubblica: sono efficienti quanto uno statale può essere, però sono onesti fino all'ultimo, onesti onesti onesti. Nel privato invece non li capisco molto. Non dico nelle aziende private (quelle sono efficienti come un ufficio pubblico), ma proprio nel privato privato. Ogni tanto ho l'impressione che arrivino da qualche altra dimensione e non abbiano mai avuto contatti con le altre persone. Così quando si parla del più e del meno mi trovo a distribuire consigli banalissimi e ovvietà e in cambio vengo idolatrato quale portatore di un grado sapienziale superiore.

Tra le altre cose, in queste lande manca totalmente il concetto di “come si incazza si scazza”. Dalle mie parti si dice così, magari in altre regioni d'Italia no, ma si usa per intendere che c'è un limite all'arrabbiatura di una persona, oltre il quale scatta l'indifferenza altrui (di solito relativamente a qualche screzio nella relazione tra due persone).

Prendiamo la tipica coppia marito e moglie. Il marito fa una di quelle cose che mandano in bestia la moglie, chessò, risciacquare i piatti dopo averli lavati. Se la coppia fosse italiana, la moglie andrebbe dal marito a lamentare l'orrida azione. Il marito si arrabbierebbe per essere stato criticato e basta. Però se il marito persistesse nel suo stato di arrabbiatura, la moglie liquiderebbe la questione con “come ti incazzi ti scazzi”, cioè falla finita, non essere ridicolo, c'è un limite entro il quale ti devi mantenere, dopodiché non è più affar mio.

Se la coppia invece è tedesca, la moglie non andrebbe mai dal marito a lamentarsi, perché il marito si arrabbierebbe e così lei si troverebbe ad avere due rogne: i piatti risciacquati e il marito incazzato. Non si tratta di paura, potrebbe essere anche a ruoli invertiti. È solo che l'incapacità di gestire l'arrabbiatura altrui è tale da far preferire il silenzio.

In questo modo una persona appena un po' più scorbutica o egoista o viziata ottiene sempre tutto quello che vuole, perché chi le sta attorno preferisce accondiscendere anziché vederla incazzata, anche se c'è l'aggravante dei futili motivi. Potrei raccontare storie per noi al limite dell'assurdo a riguardo; ho assistito con le mie orecchie a dichiarazioni che in Italia sarebbero costate come minimo il definitivo accompagnamento alla porta con minaccia di non farsi più vedere.

Qui tutti tacciono e rimuginano, rimuginano e tacciono. Mi stupiscano che non muoiano tutti di cirrosi a 35 anni, davvero.


Matteo 5,37

Tra le difficoltà che ho incontrato vivendo qui in Germania una delle più sottili da riconoscere è quella comunicativa. Non ce ne accorgiamo, ma noi italiani comunichiamo attaverso un linguaggio molto complesso e ricco di sfumature.

Una frase può cambiare di significato il base al tono con cui viene espressa, in relazione alle espressioni facciali, ai movimenti del corpo. Facciamo, nella lingua parlata, ampio uso di iperboli, di doppi sensi, di ambiguità semantiche e di ironia al punto che ci si può permettere di usare parole offensive in senso affettuoso.
Anche se a star zitti non si sbaglia mai.

In Germania, ma da quel posso dire per esperienza, anche in Olanda, Scandinavia, la fascia nordica dell'Europa, l'uso della lingua è più letterale, e non c'è molto spazio per l'ambiguità. A significa A e difficilmente esistono funzioni non verbali che possano alterarne il significato.

Quando questi due mondi comunicativi entrano in contatto insorgono le difficoltà. Se ad esempio alla richiesta di ragioni l'italiano risponde con l'eloquentissimo “eeeeh” che significa “cosa ci vuoi fare? Son cose più grandi di me... solo Iddio ha la verità: che te lo dico a fare, che tanto siamo tutti impotenti di fronte alla morte?”, l'interlocutore rimarrà educatamente in attesa per giorni della risposta, perché “eeeeeh” non è una parola, non ha alcun significato e quindi magari un semplice “non so” sarebbe stato meglio. Solo che non “non so” non è la vera risposta, perché “non so” attribuisce a chi lo esprime una qualche responsabilità che invece “eeeeh” rimuove totalmente.

Le situazioni più difficili sono quelle in cui l'italiano ricorre all'artificio retorico di dire A per indicare il contrario di A; l'ironia, che si fonda sulla condivisione dei parlanti di una serie di segnali esterni a lessico. Ora che ci penso, è una cosa che non ho mai sentito da uno straniero, mentre con i colleghi italiani, per farci due risate, capita spesso di fare discorsi di questo tipo.
I tedeschi non comprendono che "Alleanza" non significa sempre alleanza.

L'altra sera eravamo alla cena di Natale con l'azienda. Un paio di nordici hanno cominciato a lanciare commenti offensivi nei riguardi della cameriera che serviva al nostro tavolo. Secondo loro era stupida e scema, perché gli ordini non arrivavano con sufficiente velocità. Sapete, il ristorante era completamente vuoto, c'eravamo solo noi, quindi se la mia birra non arriva entro un minuto dall'ordine vuol dire che la cameriera è stupida. Non incapace sul lavoro, non imbranata. Stupida.

Infastidito, ho provato a buttarla in ridere, dicendo ammiccante che in fondo non è certo per il cervello che le donne ci piacciono, no? Il collega nordico (non tedesco) mi risponde tutto serio “allora la tua ragazza è stupida?”

Qui il processo è interessante. Primo, non sono riusciti a comprendere che con quella frase non affermavo il suo senso letterale. Dal loro punto di vista, era sì una battuta, ma di un maschilista che pensa che le donne siano stupide. Secondo, una battuta fintamente sessista provoca imbarazzo, perché non si può dire “donna stupida” in pubblico, mentre è lecito dare della stupida ad una cameriera solo perché sta facendo il suo lavoro in un ristorante pieno di gente e non passa tutta la sera a chiedere a te povera stellina quanti cubetti di ghiaccio vuoi nel bicchiere (cosa che non sarebbe successa se il cameriere fosse stato maschio, ci scommetto la cistifellea).

In questo caso è stata colpa mia, perché avrei dovuto sapere che quella è la reazione standard alle battute. Il mio consiglio è di ricordare che quando si parla con i nordici si deve dire tutto attraverso frasi non ambigue, prive di domande retoriche, senza ricorrere al linguaggio del corpo e agli ammiccamenti del tono di voce.

Non ricorrete mai agli “eeeeh”, ai “capisc' a me”, agli occhiolini tipo “ci siamo capiti”. Sia il vostro parlare sì sì, no no. Il di più viene dal maligno.

(soprattutto, sperate che la ditta organizzi la cena di Natale in un ristorante meno a buon mercato, così non ci saranno problemi con le cameriere troppo indaffarate)


I meccanici sono come i dottori

È vero che nella vita si è condizionati dall'ambiente in cui ci si trova, signora mia. Quand'ero in Italia, per ogni spostamento usavo esclusivamente la macchina o la moto. Non esagero se dico che l'unico fastidio era quello di camminare dal salotto alla macchina, uno spazio che consideravo già eccessivo da percorrere a piedi.

Quando sono sbarcato in Germania mi sono dovuto convertire ai mezzi pubblici. Che niente da dire, sono ottimi, però hanno due difetti: uno congenito, i tempi di percorrenza sono più lunghi e le attese altrettanto; ed uno endemico, che costano proprio tanto.

Ma in Germania hanno anche la passione per la bicicletta. Per capirci, in America c'era Pimp My Ride, in Italia Pimpami il motorino, in Germania Pimpami la bicicletta. Cioè, un ragazzo si sente fico per la bicicletta, come da noi per il motorino.

Così alla fine mi sono trovato a girare in bici per risparmiare tempo e soldi. Non lo faccio per l'ambiente (per me l'ecosistema può essere distrutto, se questo significa avere una Coca Cola ghiacciata), né per la salute (considero lo sport un crimine contro l'umanità). Ci vado al lavoro e ci vado a fare le passeggiate.

Ne ho avuta ormai qualcuna e un po' di esperienza me la sono fatta. La regola fondamentale è che meno la lasciate in mano ad un meccanico meglio è. Non perché i meccanici siano malvagi, ma perché quando la bicicletta è un fenomeno di massa come qui in Germania, i professionisti tendono spontaneamente a livellarsi sugli standard buoni per la massa. E questo è male.

La situazione è che per avere una bici decente dovete pagare tanti soldi e la dovrete portare costantemente dal meccanico, il quale sta subendo la stessa trasformazione del meccanico delle macchine: non aggiusta più niente e si limita a seguire una check list per il tagliando annuale e sostituisce quello che non va, perché è entrato nell'ottica che non conviene aggiustare mai ed in nessuno caso. Sottolineo che questa non è colpa dei professionisti, ma del mercato composto da troppe persone con troppi soldi da spendere senza giudizio.

È come se il mercato dei cellulari si polarizzasse su telefoni costosissimi, con un sistema operativo completo, internet e tutto quanto, utilizzati per fare chiamate e mandare SMS. Assurdo no?

Al momento ho una bici discretamente bella. Italiana, non so neanche quanti rapporti e tutto quanto. Mi ci trovo benissimo. Ma mi sto rendendo conto che devo fare il passo successivo e costruirmi la mia bicicletta.

Come base userò la bici da corsa che utilizzavo prima di questa. La trasformerò in una monomarcia ridotta all'osso, telaio ruote catena e freni. La lascerò a ruota libera, che sono troppo vecchio per passare alla ruota fissa. Come le bici di una volta, ma più cool. Ed in più arriverò a fare a meno quasi del tutto del meccanico.

Gleba e birra


Dunque, poche cose al mondo reputo orrende come l'esibizione di potenza immaginaria, sia collettiva che individuale. Provo istintivo ribrezzo per il nazionalismo di qualunque genere, per il superomismo, per il machismo. Non sopporto coloro che si vantano, soprattutto di cose che accadono nell'intimità degli affetti e delle mura domestiche o alberghiere.

Veniamo al dunque. Come molti italiani, sono cresciuto nella consapevolezza che noi maschi si è mammoni. Perchè, si sa, noi italiani ci lasciamo allattare al seno fino a sopravvenuta morte della genitrice e per questo motivo siamo degli eterni adolescenti, incapaci di crescere e trasformarsi in persone normali.

Non come all'estero!

Non come in Germania, dove i maschi escono di casa a 18 anni per non fare mai più ritorno, diventando veri uomini e ingravidando femmine fino ai 23, per poi sposarsi, metter su famiglia e venire in vacanza in Italia ogni estate.

Capita però che qualche italiano mammone e immaturo in Germania ci finisca per davvero e cominci a vedere che le cose non stanno proprio così. All'inizio non lo nota, perché i maschi tedeschi hanno la tendenza a parlare sempre con la voce impostata, a ridere poco, a sembrare estremamente seri e impegnati e quindi ad essere tanto tanto maturi. Ma dopo anni di studio, di appostamenti, di notti all'addiaccio, ho finalmente scoperto il segreto nascosto di queste terre.

Il curatore del blog osserva il comportamento degli indigeni

Quel che non si dice della Germania è che i maschietti, a 18 anni o giù di lì, abbandonano il controllo da parte della madre, sì... ma per passare sotto il controllo della fidanzata. E “controllo” vuol proprio dire “controllo”.

Le madri tedesche impartiscono ai pargoli una disciplina sentimentale durissima. Non è che non vogliano bene ai propri figli, non è che non farebbero di tutto per renderli felici, non fanno mancare loro nulla, ma non li toccano, non sorridono, non manifestano alcun calore. Per contro, attraverso una diabolica e raffinatissima tecnica psicologica, li addestrano a pensare che se non accondiscendono ai voleri (non espressi) della madre, il mondo finirà in un bagno di sangue.

Mamma, mi vuoi bene?

All'arrivo della maggiore età, non è difficile capire perché un tedesco lasci la famiglia: non abbandona un luogo di affetti e di cure, ma un luogo di continua tensione emotiva. Ci dev'essere un senso di sollievo ad andarsene.

Quello che li aspetta è, per certi versi, ancor peggiore. Si troveranno una ragazza che raccoglierà con gioia i frutti della semina familiare. Il nostro maschietto è stato addestrato ad essere accondiscendente verso la figura femminile e ciò lo ha reso succube delle donne e incapace di opporre alcuna resistenza ai loro voleri, anche quando questo sarebbe più che giustificato. Dall'altra parte, la donna si sentirà e sarà in diritto di esercitare un imperium sulla vita del maschio tale da renderlo di fatto privo di autonomia decisionale. Inoltre, mentre la madre addestra e dunque usa munizioni a salve, la compagna userà munizioni vere: lei può abbandonarvi sul serio, e lasciarvi soli, e lo farà, quindi è meglio rigare dritto e sorridere sempre.

Basta seguire poche e semplici regole

Il rapporto di coppia tra italiani tende ad assumere connotati di serietà graduali. Si parte dal grado minimo, con poche aspettative e si progredisce. Tendenzialmente è il matrimonio che seriamente sancisce la serietà seria. Prima del matrimonio è concesso sbagliare e ritentare, almeno entro certi limiti, ed è prevista una soglia superficialità da ambo le parti, legata alla fase in cui si trova la relazione.

Tra tedeschi, al contrario, il maschio diventa proprietà esclusiva della donna e la relazione passa dal grado zero di non esistenza al grado mille di assoluta serietà. Tendenzialmente la diciottenne teutonica si aspetta di vivere more uxorio: dormire insieme, mangiare insieme, uscire insieme, fare i regali assieme, andare a pranzo dalle rispettive famiglie, passare il Natale insieme. Sempre. Dal primo giorno. Tutti i giorni. In tutto questo il maschietto non ha parte alcuna, se non la presenza.

In compenso le catene si portano con tutto

Consideriamo per semplificare quello che qui chiamano party, cioè una qualsiasi forma aggregativa che preveda la presenza di alcol e musica in un luogo chiuso, dalla serata in discoteca alla festa di compleanno. I maschi appaiati se ne rimarrano buoni a bere in silenzio senza disturbare, perché stranamente l'unica cosa che le compagne concedono loro è l'essere ubriachi, mentre qualsiasi altra manifestazione di attività bio-neurale viene aspramente biasimata. Significativamente i maschi non appaiati si comporteranno allo stesso modo, rimanendo tra di loro ed evitando gli individui del sesso opposto. Credo percepiscano il rischio di poter conoscere una ragazza e ne siano terrorizzati. E non so come dar loro torto: non sono in grado di difendersi e una donna è un avversario troppo forte.

Rituale di accoppiamento (Bassa Sassonia, ca. 2007)

A onor del vero, mi è anche capitato di vedere qualche tedesco che ci prova. È un vero spettacolo, commovente e tenero. C'è questo omaccione alto un metro e novanta con la voce finto-baritonale che fa e dice tutte le cose che noi tutti abbiamo fatto e detto. Ma quando avevamo 13 anni. L'imbarazzo, la timidezza, i discorsi fuori contesto, la paura di sbagliare. Da manuale proprio.

Allora, dando per scontato che in un mondo perfetto tutti dovrebbero essere maturi, responsabili e privi di difetti, mi chiedo: ma chi è veramente messo peggio? Io italiano sarò anche eccessivamente legato a mia madre, ma almeno lei mi ha nutrito, mi vuole bene sul serio e posso ragionevolmente contare sul fatto che un bel giorno non si sveglierà con l'idea di non parlarmi più. Insomma, ho qualche motivo per essere mammone. Loro tedeschi invece sono costantemente succubi della donna di turno, devono fare tutto quello che dice lei e non ottengono niente in cambio se non la facoltà di ubriacarsi, mentre non riescono a sviluppare alcuna autonomia e maturità sentimentale.

E se magari le lettrici dovessero pensare che uomini del genere siano comunque migliori di noi italiani, vi posso presentare qualche tedesca che non sarebbe decisamente d'accordo con voi.