Emozionati e due


L'amico di bloggosità Yossarian mi ha fatto l'onore di dedicare un post al mio post sulle emozioni in letteratura. Siccome discutere troppo a lungo nei commenti non mi piace, e visto che tanto non devo pagare la carta su cui scrivere, gli rispondo a mia volta qui.

La prima critica che mi muove è quella di creare una netta dicotomia fra emozioni e razionalità, e farne due "categorie", due "assoluti" giudicati in quanto tali. La critica è facilmente respingibile in quanto il centro del discorso non stava nel giudizio da dare alle emozioni o alla razionalità, ma nella richiesta del pubblico di avere opere d'arte che suscitino in loro emozioni. Una richiesta di questo tipo non genera che opere mediocri, perché per suscitare emozioni non serve molto, bastano alcuni trucchi del mestiere che (ad esempio) a Hollywood conoscono perfettamente. Un'opera eccelsa provocherà emozioni, ma un'opera mediocre è sufficiente a provocare le stesse emozioni. Considerato che a parità di risultato si cerca sempre la via più economica, la domanda di emozioni genera offerta mediocre.

Continua poi Yossarian:

Se stabiliamo che "generare emozioni" e' male in quanto tale - cosi' come chi lo pensa del "generare razionalita' " - allora possiamo tranquillamente buttare nel cesso duemila anni di letteratura, cosi' in blocco, senza riflettere, criticare e capire.

Anche in questo caso, la critica non tiene conto del fatto che nel post non si stabiliva che “generare emozioni” è una cosa malvagia o deplorevole, ma si cercava di definire una scala di valori, all'interno della quale il “generare emozioni” non occupa il gradino più alto, come invece si tende normalmente a credere. E in effetti gli ultimi 2500 anni di letteratura, per la stragrande maggioranza, sono stati buttati via. Come ho già avuto modo di scrivere, la letteratura che è arrivata a noi è solo un selezione ristrettissima dell'effettiva produzione. È rimasto pochissimo e quello che è rimasto è solo il meglio del meglio.

Ergo attenendosi alla dicotomia degli assoluti insita nel tuo ragionamento, l'Edipo Re e' semplicemente la storia di un tizio che si scopa la madre, Paolo e Francesca una faccenda di corna, e Madame Bovary le menate di una "casalinga disperata".

Constatato che non vi è alcuna dicotomia degli assoluti nel mio ragionamento, siccome hai citato due tra le mie opere di letteratura preferite, adesso ti metti comodo e ti becchi il superpippone. Tutto, fino alla fine e senza discutere. Gli altri possono andare a casa, se vogliono.

Edipo Re. Personalmente, la ritengo la più grande opera letteraria della nostra cultura. Perché parla dell'incesto tra una madre e il proprio figlio? No. L'incesto, in tutta l'opera, rimane in disparte, è il sottotesto che serve al pubblico per comprendere gli eventi, ma non è il fulcro dell'Edipo Re. Con questo non voglio dire che lo spettatore ateniese non fosse scandalizzato e non provasse orrore per quello che accadeva in scena, ma se la tragedia si limitasse a questo, noi oggi non la leggeremmo ancora con amore e dedizione. Che emozioni ci può suscitare un rapporto incestuoso? In internet ci sono migliaia di ore di film pornografici a tema, ci hanno fatto persino una serie di successo negli anni '80? Cavolo, a noi l'incesto piace, sai che emozione leggerti l'Edipo Re, dove l'incesto non viene mai nominato...

So già che c'è un lettore, Tonino il secchione, che si agita sulla sedia ed è preda di violenti spasmi. Stai calmo, Tonino: lo so che c'è la Poetica di Aristotele, lo so che c'è la catarsi, lo so. Come dicevo più sopra, non ho mai detto che le grandi opere (pun not intended) non suscitino emozioni, ma che il suscitare emozioni non sia caratteristica sufficiente per far catalogare un'opera come grande. E con questo ritengo superata ogni critica che parta dalla concetto di catarsi in Aristotele.

La realtà è che l'Edipo Re non parla di un tizio che si scopa la madre, ma è un formidabile dipinto del contrasto tra sapienza religiosa e sapere razionale, tra legge divina e diritto umano, tra tradizione e modernità; non solo Sofocle ci descrive il contesto storico in cui vive (la Grecia che vuole stabilire la supremazia della ragione sulla mistica, che rivendica il primato del diritto positivo su quello divino, che spegne la tradizione tribale per iniziare una nuova forma organizzazione sociale) ma coglie l'essenza di tutta la cultura occidentale dei successivi 2500 anni, dei suoi continui contrasti che tanto la devastano quanto la rendono straordinaria.

Solo che per fare questo non basta suscitare le emozioni di un contadino attico in gita religiosa ad Atene. Ci vuole di più, ci vuole l'intelligenza per capire il proprio tempo e la razionalità di metterlo in prospettiva.

Su Dante e Flaubert c'è poco da aggiungere. Entrambi dicono quello che dico io (anzi, io dico quello che hanno scritto loro), solo che loro la prendono un po' più seriamente. La storia di Paolo e Francesca intende spiegare che usufruire della letteratura che “trasmette emozioni” porta ad un abbassamento delle qualità morali, tale da condurre dritti all'inferno; ma non solo, anche essere l'autore di tale letteratura è attività assai deplorevole. Perché il libro fu galeotto, ma anche chi lo scrisse. E Dante alla fine sviene perché in quel momento capisce di essere uno scrittore che ha “saputo trasmettere le proprie emozioni” ai lettori, e che quindi ha aiutato il loro abbruttimento morale e li ha avvicinati alla dannazione eterna.

E lo stesso per Flaubert, il quale viveva in un tempo in cui la letteratura “che dava emozioni” era ancora considerata paraletteratura destinata ai meno colti e che portava in sé i germi della distruzione.

Sulla questione storica, non ho mai detto che la causa della seconda guerra mondiale siano le emozioni. Ho invece detto che la capacità di suscitare emozioni ha saputo radunare un consenso delle proporzioni viste alle parate di Norimberga. Ancora una volta: il fulcro del discorso voleva sottolineare che “suscitare emozioni” è un'attività relativamente semplice, perché agisce su strutture semplici e primordiali del nostro cervello e che quindi di per sé non ha niente di speciale.

Come dice Yossarian, anche infilare lo scroto nel frullatore provoca emozioni. Che è esattamente quello che si intendeva nel post: provocare emozioni non posiziona l'opera a livelli superiori di giudizio.

26 commenti:

Clarius ha detto...

Tommy mi permetto di consigliarti
i film di Tarkovskij, in particolare "stalker" e "solaris"

Fra i libri "vita di pi" di Yann Martel
http://www.ibs.it/code/9788838468995/martel-yann/vita.html

che ne dici

Clarius ha detto...

ps
tra i videogiochi
"riven",il seguito di Myst

Sono 5 anni che praticamente non andiamo in ferie,
e allora io e mia moglie ci
facciamo le vacanze con la mente
a Riven

Unknown ha detto...

Grazie dei consigli, Clarius.

Se Riven gira sotto Wine, lo provo appena posso...

raccoss ha detto...

MI hai fatto venir la voglia di leggere "Edipo re", ma anche il post di Yossarian che non trovo qui linkato.

Unknown ha detto...

Hai ragione Raccoss, oggi Blogger ha deciso di sbarellare tutta la formattazione del post. Ora correggo.

Grazie per la segnalazione.

Yossarian ha detto...

Ciao Tommy e grazie della risposta.

Credimi, l'onore me lo fai tu. :-)

E il superpippone me lo becco piu' che volentieri.

Ora bando ai minuetti, e sfiliamoci i guanti.

I'm just kidding, obviously....

Allora, cerchero' di essere breve, e siccome anch'io come te non amo ne le blogstar, ne' le competizioni internettiane a "chi ce l'ha piu' grosso" ( l'ego), inizio da dove mi hai convinto, e conseguentemente da dove segni dei punti netti a tuo favore:

Edipo Re: lo so che non e' centrato sull'incesto, hai fatto benissimo a ricordarlo, la mia citazione era tirata per i capelli, e accetto volentieri il tuo rimbrotto.

Obiezione accolta.

Obiezione accolta anche su Dante.

Su Flaubert le cose cambiano e parlare di letteratura alta e bassa nell'ottocento comincia ad essere piu' complesso, sia in termini di diffusione, sia in termini di mezzi di diffusione.

Cosi' come cambia radicalmente il ruolo dell'artista.

Il romanzo d'appendice, per esempio, viene pubblicato sui giornali, e romanzi d'appendice li hanno scritti anche Dumas, Stevenson, Hugo e Poe, quest'ultimo con Gordon Pym.

Dickens non scriveva romanzi d'appendice ma molte delle sue opere comparivano a puntate sui giornali, e l'attesa e il clima di aspettativa intorno al nuovo episodio non era molto dissimile a quello di una telenovela odierna, specie fra il proletariato.

E se non vado errato, correggimi se sbaglio, proprio Madame Bovary fu pubblicato da un settimanale, o un quotidiano di cui non ricordo il nome e non ho voglia di consultare wikipedia perche' sono bellocoltoricconesteintelligente.

Senza dimenticare che il mito dell'artista e dell'opera maledetta contrapposti alla prosaicita' della vita borghese, nasce proprio in quel periodo.

E i borghesi, per esempio, del Secondo Impero non erano esattamente analfabeti.

:-)

Obiezione respinta.


Continua...

Yossarian ha detto...

Continua...

Dunque, quanto al resto:

Questo (cito)

Anche in questo caso, la critica non tiene conto del fatto che nel post non si stabiliva che “generare emozioni” è una cosa malvagia o deplorevole, ma si cercava di definire una scala di valori, all'interno della quale il “generare emozioni” non occupa il gradino più alto, come invece si tende normalmente a credere.

Fa platealmente a pugni con quest'altro: (ti cito dall'altro post)

Le emozioni sono la cosa più comune che esista tra gli esseri umani e quindi costruirci attorno un'opera d'arte non avrà altro che esito che la mediocrità.

Io non credo che la mediocrita' derivi dall'utilizzare "mezzi comuni", bensi' da artisti mediocri, probabilmente partoriti da una societa' mediocre.

Quello che invece tu mi proponi Tommy e' di eliminare uno strumento come le emozioni - di cui non m'interessa minimamente la posizione su una "scala di valori" - dal novero di 'strumenti' a disposizione di chi decide di raccontare una storia, sulla scorta di un abuso da parte di cattivi o volgari artisti, che nulla hanno a vedere con lo strumento.

Quello che mi suggerisci e' in sostanza come dire:

Siccome il giro di Do e' quello piu' utilizzato da chi fa musica commerciale del cacchio, d'ora in poi chi utilizza quel giro o quelle note, e' un mediocre.

Anzi, si dovrebbe bandire,

Scusa ma non credo. Perche', giro di do a parte, devo negarmi uno strumento per scrivere, solo perche' lo utilizzano tanti fessi?

Sono io che valorizzo lo strumento "emozioni" se decido di usarlo, non e' lo strumento ad avere un valore predeterminato, che automaticamente determina il mio come scrittore.

Sul resto e sulle tue opinioni circa la letteratura alta, quello che c'e' da buttare, o quello che secondo te ci e' arrivato in 2500 anni di storia, non discuto poiche' si tratta di opinioni personali, sulle quali non siamo affatto in sintonia, e che comunque esprimi in maniera corretta ed estremamente argomentata.

Ciao e grazie dell'ospitalita'.

:-)

lamb-O ha detto...

> Se Riven gira sotto Wine, lo provo appena posso...

Gira senz'altro se lo prendi su Good Old Games (gog.com), sito paradisiaco che vende roba retro (ma non solo, ché devono pur mangiare) a poche lire, in versione scaricabile e configurata per i nuovi sistemi.

Se non mi frenassi li farei ricchi, giuro.

Attila ha detto...

Scusa Tommy, ma io non sono d'accordo sul "suscitare emozioni" sia un qualcosa che esula da intelligenza e razionalità.

Tu citi le parate di Norimberga, bene, Albert Speer era un architetto con i controcazzi che studiava accuratamente anche i più piccoli passaggi delle coreografie e ci possiamo mettere dentro anche il talento e la bravura oltre che la "tecnica". Lo stesso Speer è stato uno dei pochi che, finiti sul banco degli imputati a Norimberga, grazie al talento, la bravura e la razionalità è riuscito, pur essendo un gerarca, a scampare alla forca. Non c'era niente di spontaneo.

Come non c'è nulla di spontaneo nelle ricerche e nelle campagne di marketing per cercare di "emozionare" il cliente al fine di farlo comperare anche la cosa più inutile dell'universo. Il marketing (per quanto lo odi e ci debba combattere ogni giorno), è divenuta la "scienza per provocare emozioni" con molteplici secondi fini (perchè l'emozione per l'emozione non serve a niente).

Probabilmente non c'è alcuna campagna di prodotto che in questi ultimi tempi ti abbia provocato una serie di emozioni per cui ti senta valorizzato, probabilmente nessuno ha ancora esaltato la tua nicchia, oppure il messaggio di chi la ha esaltata non ti ha raggiunto, perchè chi lo ha prodotto non aveva abbastanza talento o tecnica.

Lo so, il mio Mondo, alle volte è davvero triste, perchè ad ogni emozione che mi viene generata, vado a chiedermi quale "tecnica" è stata usata e in quale target vado a coprire.

Cordialità

Attila

Yossarian ha detto...

@Attila

Sai che mi garba quello che hai detto?


@Tommy

Una noterella:

parliamo "de paura" Tommy: una emozione che piu' elementare, belluina e bassa non si puo'.

Carl Theodor Dreyer fece un film "de paura", anzi, proprio una riflessione sulla paura, intitolata Vampyr.

Credo sia meglio di "Venerdi' 13 parte 18" no?

La paura e' trattata in entrambe i film ed e' alla base di entrambe i film.

Qual e' quindi il responsabile della riuscita dell'opera?

Il regista o "l'emozione paura" che tu poni su una "scala di valori".

Mi pare che Dreyer la abbia elevata ben al di sopra del valore fisso che tu attribuisci a questa emozione, costruendoci intorno una riflessione moooolto intelligente.

E fa anche paura, guarda un po'.

Per non parlare dell'espressionismo tedesco, Murnau, etc etc.

Il Gabinetto del Dottor Caligaris, fa paura, cosi' come Nosferatu, ma non e' la stessa paura di "Freddy Kruger vs Jason"...

Unknown ha detto...

Yoss, Flaubert non scriveva romanzetti da quattro soldi, ma in Madame Bovary stigmatizza i romanzetti da quattro soldi. Non c'entra dove è stato pubblicato un romanzo, ma solo cosa ci si trova dentro.

Anzi, per molto molto tempo il romanzo era considerato un genere letterario minore destinato al puro intrattenimento. Poi sono arrivati i grandi scrittori dell'800, hanno preso la forma "bassa" del romanzo e l'hanno innalzata a vette eccelse.

Così come Dante ha preso la lingua più bassa, quella del volgo, quella che non si doveva usare per parlare di argomenti elevati, e l'ha fatta diventare uno dei monumenti della letteratura europea.

Ma questo non è quello di cui stavo parlando.

* * *

Attila, guarda che stiamo dicendo la stessa cosa :-) Lo strumento c'è, poi può essere usato per diversi scopi. Quando chiedi di avere un libro che genera emozioni, crei domanda per il marketing.

Non è il libro o l'autore il problema, è la domanda che genera offerta.

* * *

lab-O: moltissime grazie per il link, non lo conoscevo! Adesso mi informo meglio sui requisiti di sistema (tiro a campare con un vecchio Pentium4 e 512 MB di memoria) e se vanno bene, piatto ricco mi ci ficco :-)

Ed Schlecter ha detto...

(Ho scritto questa cosa, non so se possa essere di una qualche utilità alla discussione, è solo che mi andava di scriverla. È lunga da dar fastidio. Beh al massimo non leggete).

Vorrei solo aggiungere un aspetto, a mio parere fondamentale visto che di parla di arte ed emozione, alla discussione, peraltro davvero interessante.

Si è accennato a grandi opere del passato più o meno remoto, come l'Edipo, Dante e Flaubert, e del presente “pop”, ma a mio parere non è stata presa in considerazione tutta la produzione “alta” (passatemi il termine) del secolo trascorso, di cui sentiamo gli strascichi anche nei nostri giorni e che non possiamo ignorare. Anche perché la maggior parte di quegli artisti prendeva le mosse da riflessioni molto simili a quella di Tommy.

Azzardando una generalizzazione, potrei dire che l'arte posteriore alla prima guerra mondiale è stata una fuga quasi costante dall'espressione delle emozioni. Per quanto riguarda le arti figurative, non è un caso che una delle figure più importanti, nonché fonte di ispirazione per tutte le generazioni seguenti, sia stata quella di Marcel Duchamp, che per tutta la sua vita ha lavorato per eliminare l'emozione dalla sua produzione artistica a tutto vantaggio dell'elemento speculativo e intellettuale, ossia razionale. Anche la produzione del secondo dopoguerra – minimalismo, pop art, land art, process art, eccetera – sostanzialmente persegue lo stesso obiettivo, ossia di eliminare la soggettività emozionale dell'artista alla ricerca di una nuova oggettività.

Nella musica il grande vecchio del Novecento è Stravinskij, che si opponeva all'espressionismo del tardoromanticismo schoenberghiano esaltando la componente artigianale, ossia razionale, del fare musica. Nei decenni seguenti, la figura più emblematica dell'avanguardia è stata quella di John Cage, i cui pezzi sono in pratica dei trattati di filosofia in cui l'elemento emozionale è intenzionalmente messa da parte, e vengono usati espedienti, come l'alea e l'improvvisazione, che minimizzano le intenzioni del compositore nel momento dell'esecuzione, facendolo in qualche modo scomparire. Per non parlare poi del serialismo integrale di Boulez, Stockhausen e compagnia cantante, che hanno ridotto la composizione a calcolo matematico. (...)

Ed Schlecter ha detto...

(...) Le ragioni di questo rifiuto della soggettività e dell'emozione sono molto complesse, ma è innegabile che questa sia stata la tendenza generale nel secolo appena trascorso. Quindi, quando qualcuno scrive su facebook che l'arte deve trasmettere emozioni (e succede spessissimo perché è questa la concezione maggiormente diffusa), di fatto culturalmente non è ancora uscito dal Romanticismo.

Poi c'è da dire che questo rifiuto della soggettività è stato spesso (e a ragione) accusato di cerebralismo e qualche volta anche, dialetticamente, di irrazionalismo inteso come culto irrazionale della razionalità.

Nessuna condanna della razionalità quindi, se non nel linguaggio del marketing. Personalmente penso che questa sia una concezione molto superficiale indotta dal mercato della cultura, che – come dice giustamente Tommy – ha tutto l'interesse di suscitare emozioni belluine per vendere. L'aspetto paradossale è che questo risultato è ottenuto con tecniche integralmente razionali. Per cui io suggerirei di provare lo stesso a leggere The Road, visto che le emozioni “vere” non sono altro che un espediente per rendere il libro appetibile a chi le cerca nell'arte, ma non è detto che il libro non sia superiore al modo in cui viene presentato dal messaggio pubblicitario che ci sta intorno.

Ecco ho finito.

Unknown ha detto...

Grazie per l'intervento, Ed...

di fatto culturalmente non è ancora uscito dal Romanticismo.

Finalmente qualcuno che tocca il punto dolente :-)

Gran parte delle forma di acculturazione di massa non sono altro che rimasticamenti del Romanticismo.

E' quello che dicevo tempo fa nel post sull'umanesimo: mentre le avanguardie e il mondo accademico sono andati avanti, la scuola e le conoscenze generali sono ancora ferme a concezioni ottocentesche, che sono superate e che nemmeno nell'800 erano assolute.

C'è un gap di circa 150 anni tra chi produce cultura "alta" e il grosso dei fruitori di cultura, che ha aspettative totalmente fuori tempo.

Se pensiamo che c'è chi crede che le ultime scoperte della fisica siano la relatività e il principio di indeterminazione...

Yossarian ha detto...

@Tommy

Innanzitutto grazie perche' col tuo post hai dato vita a una discussione interessante.

Una boccata d'aria fresca al di la' delle solite menate politiche.

Quindi:

Tommy, credo che io e te si stia parlando di due cose diverse in due compartimenti stagni.

Quando dici:

Così come Dante ha preso la lingua più bassa, quella del volgo, quella che non si doveva usare per parlare di argomenti elevati, e l'ha fatta diventare uno dei monumenti della letteratura europea.

E' semplicemente quel che ti sto dicendo da un po'.

Dante non ha posto il "volgare" su una scala di valori oggettiva.

Lo ha considerato semplicemente lo strumento piu' adatto ad esprimere quella che secondo lui era lo Zeitgeist letterario - e non solo - dell'epoca.

Ma era Dante, e non Jacopo De Masticoni, poeta fiorentino privo di talento che mi sono inventato al momento, e che credo si servisse del volgare per poemi da osteria e per un pubblico da osteria.

Le colte e attente riflessioni tue e di ED, sullo scenario odierno in cui si muovono la letteratura e l'arte, sono piu' che condivise dal sottoscritto.

Sarebbe bello anche discettare della compiaciuta autoreferenzialita' e della cesura comunicativa nei confronti del pubblico che esiste oggi in tanta arte contemporanea, che rappresenta l'altra estremita' dello spettro comunicativo e artistico, non meno grave di chi "genera emozioni" da 5 euro al chilo.

Quel che io critico della tua posizione e' l'attribuire a uno degli strumenti a disposizione dell'artista, ossia le emozioni, un valore determinato su una scala di valori.

Ribadisco che e' l'artista, e non lo strumento a determinare il valore dell'opera e

L'artista di talento utilizza lo strumento per carpire lo spirito dei tempi, al di la' dello scenario in cui si muove e della domanda del pubblico.

L'emozione non e' inferiore o superiore a nulla su nessuna scala di valori.

E' l'uso che ne fai a fare la differenza.

Torno alla paura.

Dreyer diceva che "Fa piu' paura quel che c'e' dietro una porta, che quel che entra da una porta".

Con una simile premessa si ottengono risultati piu' che ottimi.

Per rimanere in tema di paura quelli di Carpenter, Hooper, Raimi, Cronenberg e tutta la generazione di filmmaker degli anni 80, non erano solo 'film de paura' o splatter.

Esiste una diversa e nemmeno tanto nascosta chiave di lettura in queste opere.

Specie in funzione alla societa' edonistica dell'epoca e al culto del corpo.

Corpo che loro fanno letteralmente a pezzi.

Mi fermo qui perche' non voglio sforare.

E comunque il "genere" non e' inferiore perche' "genere".

Leone si e' servito del "genere" Tommy, cosi' come Kubrick di cui ogni film si muoveva nell'ambito del "genere".

E' l'artista a fare la differenza e non il "genere" o lo "strumento" di cui si serve.

A prescindere dalla realta' sociale, culturale e di mercato.

E comunque rigrazie per la conversazione.

:-)

none ha detto...

@ Ed Schlecter

"Stravinskij, che si opponeva all'espressionismo del tardoromanticismo schoenberghiano"

nel senso che l'opera di Stravinskij era (anche) una reazione a Schoemberg inteso come compositore tardo romantico?
Nel suo trattato di armonia Schomberg punta in maniera chiara sulla capacità artigianale del compositore, andando a spiegare (o tentando di farlo) il perchè delle regole armoniche (ti cito)"esaltando la componente artigianale, ossia razionale, del fare musica", distaccandosi dalla classica enumerazione di regole da doversi applicare in maniera pedissequa e inconsapevole.
Affermava Shoemberg ""nella musica non c'è forma senza logica e non c'è logica senza unità" e la conoscenza delle regole armoniche era necessaria per consentire un eventuale allontanamento consapevole/razionale da esse.

La dodecafonia schomberghiana è una tecnica compositiva direi "costruttivista", un algoritmo che popola di note, un insieme detto "composizione".
Un interessante punto di vista sulla musica di Bach e di Cage è riportata nel magnifico libro di Douglas Hofstadter "Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante".

Comunque i 4'33 del noto micologo sono sempre un bell'ascolto! :-)

@ Tommy
Il voler "sincronizzare" l'"arte" con il "brave new world" delineato dall'avanzamento delle scoperte/speculazioni scientifiche (se ho capito il tuo pensiero) è cosa che già i futuristi rivendicavano. I rapporti sfalsati tra compartimenti culturali differenti ed il tentativo di alcuni di risincronizzarli penso siano una costante nella storia del pensiero.

Ed Schlecter ha detto...

@ leftheleft

verissimo, ma comunque in Schoenberg rimane sempre chiara - sia nel periodo espressionista della libera atonalità, sia un quello successivo del "metodo di composizione con dodici note" - l'intenzione di esprimere il mondo interiore dell'artista.

"L'arte è invocazione angosciosa di coloro che vivono in sé il destino dell'umanità [...] E dentro, in loro, è il moto del mondo; fuori non ne giunge che l'eco: l'opera d'arte"

Nella poetica di Stravinskij non esiste questa esigenza di esprimere l'angoscia di chi vuole "comprendere la struttura" delle "oscure potenze" che muovono il mondo.

Comunque non è che la poetica di Stravinskij sia una reazione a quella di Schonberg. Sono due modi differenti di affrontare i problemi della musica dopo Wagner e della realtà del loro periodo.

Anonimo ha detto...

Forse tutti e due i post possono essere riassunti con una frase: -non sopporto più il kitsch-, dove il kitsch è qualunque cosa [libri, film, musica] anche con ambizioni alte o di arte, la cui unica caratteristica è la ricerca di facili immediate forti emozioni.
Il film prevedibile fin dal suo inizio pieno di clichè e stereotipi, il telefilm sempre uguale nei suoi episodi e nella sua distinzione/caratterizzazione tra buoni e cattivi, le soap opera piena di idioti buoni e furbissimi cattivi e trame ripetitive che si ripetono all'infinito, il videogioco tutta grafica e dotato di spessore pari a zero e di rigiocabilità nulla, l'arte che ambisce a essere arte solo per via di qualche particolare o convenzione ma che in realtà è pattume...
Che fare?
L'unica cosa da fare è selezionare, scartare, ignorare e a volte scavare. Altre volte ci si dà ai b-movie, a i b-telefilm etc... che però non avendo la pretesa di essere prodotto di qualità hanno pur sempre molto più spessore dei prodotti finto "alti".
Ma poi c'è il discorso sulla "nostra" colpa che è legata al -che consigliare?-.
Nel secondo caso è facile, film come -The Toxic Avenger- [Il vendicatore tossico] o -invasion USA- Chuck Norris, vanno benissimo, e centinaia di vecchie storie di Urania come libri vanno altrettanto bene, ma se dovessi consigliare qualcosa di "valido" non c'è solo il dato di fatto -pessimo libro o pessimo film-, ma anche il fattore soggettivo.
E allora -Idiocracy- come film potrebbe andar bene... ma anche nò.
Una volta ho suggerito come videogame di provare Fallout3, personalmente l'ho trovato molto bello, pur con le sue pecche e i suoi errori, ma è un giudizio altamente soggettivo. L'ho trovato molto bello perchè intriso di fantascienza post-apocalittica anni 50s/70s,con i suoi robot, le sue rovine le formiche giganti e i predoni, certo poi da sola l'ambientazione non basta, ho gradito quel titolo perchè ne apprezzavo la giocabilità e rigiocabilità, la libertà nel creare il protagonista, il non dover scegliere un percorso predefinito ma di poterlo scegliere. Per la stessa ragione avrei potuto consigliare Oblivion o Morrowind che però sono in stile fantasy, oppure cambiare genere con un grande classico strategico in tempo reale come Homeworld [il primo però] ma... i gusti del consigliato quali sono? E stò parlando solo di videogiochi, se fossero libri... Charles Bukowski ad esempio con -post Office- o -il capitano è fuori a pranzo- sarebbero graditi o nò? Poi continuando, non sono un esperto di musica ma se butto un nome a caso che sò Nightwish, verrà da vomitare o sarà apprezzato?
Non c'è scampo: scavare, selezionare e al limite accettare consigli con le pinze, ma senza troppe pretese, il pattume e i gusti soggettivi sono sempre dietro l'angolo.



Lìberi_tutti

none ha detto...

@ Ed Schlecter

grazie della precisazione. Adesso ho capito.

Ed Schlecter ha detto...

@ Tommy

Riflettendo però sul rapporto tra industria culturale e Romanticismo, mi sono chiesto se effettivamente questa sia una condizione specifica della modernità. Sono andato nella mia mente alla ricerca di altre situazioni storico-sociali che potessero essere in qualche modo simili quella odierna per trovare eventualmente delle analogie.

Nel mondo della musica, quello che conosco meglio, ho notato che i due periodi storici di maggior contatto tra produzione “alta” e “popolo” sono effettivamente due periodi in cui l'esteriorizzazione dei sentimenti è preponderante, seppur in modo abbastamza diverso. Chiaramente nei secoli passati il benessere non era diffuso come ora, e la fruizione della cultura era comunque riservata a una minoranza della popolazione, che però in certi momenti fu talmente ampia da poter essere definita appunto “popolo”.

Mi riferisco innanzi tutto all'opera italiana del Settecento, vero e proprio esempio di fenomeno di costume popolare, in cui l'attenzione degli spettatori (e di conseguenza dei compositori) era tutta spostata verso l'aria – espressione degli affetti e fonte di ammirazione per il virtuosismo dei cantanti – a discapito del plot, della narrazione recitativa, ossia in ultima analisi della componente razionale.

L'altro esempio viene proprio dal Romanticismo, un'epoca che non ha eguali nella vicinanza tra il modo di sentire del pubblico “popolare” e dei grandi compositori. Guardacaso proprio un periodo in cui è l'espressione delle emozioni e in generale dell'interiorità dell'artista a farla da padrona.

Per cui mi è venuto il dubbio se effettivamente sia vero che il modo di fruire un'opera d'arte da parte delle masse è fermo a un secolo e mezzo fa; oppure se magari il discorso non si possa generalizzare, e sostenere che il plebeo medio di ogni epoca sia sostanzialmente tutto anema e core.

Unknown ha detto...

Liberi_tutti: se dobbiamo riassumere, allora sarebbe "smettetela di credere di essere fini intenditori di cinema/musica/libri ecc quando invece chiedete produzioni mediocri e non ve ne rendete nemmeno conto.

* * *

ed, sostenere che il plebeo medio di ogni epoca sia sostanzialmente tutto anema e core.

Questi discorsi sono sempre molto difficili da fare (chi è la plebe, quanti sono, ha una coscienza propria?) però mi sentirei di dire che in tutti i tempi meno il pubblico è educato alla fruizione più si accontenterà di prodotto che creino emozioni facili e viceversa.

Credo però che mai come in questo tempo ci sia così tanta gente convinta di saperla lunga quando invece non sa niente...

Anonimo ha detto...

>Tommy

Mai detto di essere un fine intenditore, se lo facessi mi sentirei tanto ridicolo da muorire dalle risate...
Ma da medio/basso intenditore [e perchè nò?] se volessi chiedere qualche buon esempio per... "redimermi", cosa mi consiglieresti?


Lìberi_tutti

Unknown ha detto...

Da quando ho aperto questo blog mi rendo conto che tantissimi lettori si sentono sempre presi in causa personalmente...

Che da un lato mi sembra una cosa positiva, perché vuol dire che parlo di argomenti che interessano, ma mi dispiace un po' per loro, perché dev'essere brutto pensare che un blogger sconosciuto scriva per parlare male di te.

Anonimo ha detto...

Ehm... nel caso ci si riferisse a me... ma ero ironico, cioè ciò provato, non è mica detto che poi mi riesca, eh!
Comunque la domanda resta valida.
Quali sono i tuoi esempi positivi?




Lìberi_tutti

Unknown ha detto...

Mi era parso che te l'eri presa, avevo scambiato l'ironia per sarcasmo. Colpa mia :-)

I consigli sono sempre difficili: per i libri ti direi qualche francese. Madame Bovary, Il rosso e il nero, Molte cose di Zola (per esempio "L'ammazzatoio" e "Germinal").

Ma non vuol dire niente, altri ti direbbero altre cose altrettanto valide...

Anonimo ha detto...

Colpa mia, se il post che invio si lascia mal interpretare, la colpa è solo mia che non mi sono saputo spiegare.
Comunque: abbiamo gusti differenti ma un punto di contatto di valore: Zola. Ho apprezzato Zola in diversi libri, in particolare mai letto -La debacle-? Parla di un periodo storico [La fine del terzo impero, la comune parigina, poi la guerra franco-prussiana con l'epilogo di Sedan da cui deriva la prima e seconda guerra mondiale] molto interessate, poi di Zola apprezzo molte cose, tra cui la posizione che prese nel caso Dreyfuss, e il modo con cui la prese: non si schierò da subito da una o dall'altra parte ma rimase in disparte, raccolse informazioni si fece più di un'idea e solo quando ebbe un quadro accettabile di quello che accadeva, solo allora non ebbe timore nello schierarsi e non si risparmiò nel farlo. Poi di di lui altra cosa che apprezzo è la cura nei dettagli frutto di un'attenta ricerca: prima di scrivere su qualcosa faceva un'accurata indagine, non scriveva ad esempio di miniere e minatori informandosi su due righe di un giornale, ma andava in miniera facendosi passare per un ispettore di qualche ente, e li, sul campo, si informava e annotava. Tra i moderni Tom Wolfe è uno dei pochi che ne segua il metodo, mai letto? -Il falò delle vanità- lo consiglio, così come uno dei sui libri inchiesta -Maledetti architetti-, -La stoffa giusta-, e sopratutto -Lo chic radicale e Mau-mauizzando i Parapalle-. Un altro libro che potrei consigliare è -Lezione di tedesco- di Lenz Siegfried,se dovessi descriverlo in due parole direi "potente e rarefatto" sembra leggero ma lascia il segno, così come Italo Svevo con -la coscienza di Zeno-. Poi ci sarebbero altri libri magari di genere, però meglio non mettere troppa carne al fuoco...



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