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Un veneto nella Mitteleuropa

Uno degli aspetti estranianti per un italiano all'estero è il quotidiano scontrarsi con i pregiudizi degli stranieri nei nostri confronti. Per esempio, in quanto italiani tutti si aspettano che si sia gioviali, canterini, simpatici e alla mano. Io sono veneto. Tanto brava gente noi veneti, ma solari proprio...

È una questione di ambiente. I tedeschi si immaginano l'Italia - tutta intera - come il posto del sole, del mare, del caldo. 'Na mezza africhetta, più moderata. Vanno in vacanza a Roma, a Napoli, in Sicilia, e vedono la gente che gesticola, che parla ad alta voce, in riva al mare che fa i tuffi.

Il problema è che quando sei veneto tu queste cose non le hai mai viste intorno a te. Dove sono nato e cresciuto io la natura offre quattro cose: sofego, caìvo, bromestega e iera (afa, nebbia, galaverna e ghiaia). In questo ambiente sono cresciute generazioni prima di me, contadini figli di contadini figli di contadini. Una zona agricola che, grazie ai quattro elementi di cui sopra, si è specializzata in una sola produzione: peagra (pellagra).

In queste condizioni si è sviluppato il tratto principale di noi veneti: l'incapacità di parlare, se non per frasi brevissime. Perché se devi seminare suturco (mais) per raccogliere fame, l'ultima cosa che vuoi fare è parlare. Devi stare chino sulla terra ghiaia e farla diventare un campo di grano. Devi lavorare e le parole non aiutano. E dopo 12 ore così torni a casa e lì non c'è proprio niente da dire, perché le uniche cose che hai da dire è meglio che te le tieni per te.

È anche il motivo per cui la bestemmia è tanto sviluppata in Veneto: essa permette di esprimere nella forma più concisa possibile il maggior numero di concetti pensabili. Fateci caso: la lunghezza della bestemmia corrisponde all'intervallo di tempo tra una zappata e l'altra e, essendo il veneto ricco di parole tronche, essa aiuta anche a modulare il respiro sulle esigenze dei lavori agricoli. Tra un colpo di vanga e l'altro, non c'è tempo per parlare; ma sentite come d**càn si inserisca perfettamente nello sforzo fisico e anzi lo agevoli, permettendo di mantenere l'espirazione in sincrono con la lama che tocca il terreno.

Intorno a questa necessità pratica si è dunque sviluppata la virtù fondamentale di noi veneti, che è quella di non parlare se non sia proprio proprio necessario. E la virtù si regola secondo la morale del taxi ("taci", la x equivale alla s intervocalica come in rosa. Non c'entrano i tassisti).

Fin dalla tenera età ogni veneto veniva istruito secondo il comandamento più importante, precedente e superiore a quelli mosaici, che recitava: taxi (taci). Notate che anche la morale veniva espressa per forme brevissime.

I pargoli si educano per mezzo del silenzio. Il bambino non ha voglia di mangiare? Magna e taxi (mangia e stai zitto). Il bambino non vuole dormire? Dormi e taxi. Io, che ho fatto le scuole elementari con la maestra unica vecchio stampo, ancora mi ricordo che l'unica attività ludica concessa ufficialmente era il gioco del silenzio, che consisteva nello stare seduti in classe e non dire niente, non fare rumore e non muoversi. In più, non era prevista la vittoria, ma solo la sconfitta, perché non si premiava chi stava più in silenzo, ma si puniva chi sgarrava. Oggi credo che una cosa del genere condurrebbe gli insegnanti alla galera, ma posso assicurare funzionava meglio di un'overdose di Ritalin.

La morale del taxi si è così radicata nel corso del tempo da divenire il metro di misura per eccellenza dei rapporti sociali. Meno si parla, più si vale. Al lavoro, tra gli amici, dappertutto. Persino quando si vuole esprimere assenso, si dice spesso taxi sù, che anca mi... (taci va, che anche io...).

Importante è capire che per un veneto lavorare e parlare sono entità mutualmente escludenti: se parli, non stai lavorando. Se lavori, non stai parlando. Ma sempre però: se qualcuno parla molto, per dire, il sabato mattina al bar, di sicuro è uno che non lavora mai. Se sospettano che non lavori bene, taci. Se vuoi fare bella figura con il capo, taci.

Ora, prendete questo veneto che sta scrivendo e trasferitelo nella Mitteleuropa e vedete che succede. Perché forse in molti non lo sanno, ma le aziende moderne e al passo coi tempi sono ossessionate dal far parlare i propri dipendenti. Non importa cosa dicono, l'importante è che parlino ed esprimano la propria opinione. Se non lo fate, vuol dire che non vi impegnate e non vi interessano le sorti dell'azienda.

In pratica ci sono due mondi che si scontrano: per loro io non parlo e quindi non lavoro. Per me loro parlano e quindi non lavorano. Purtroppo loro non possono capire il valore del tacere e non glielo si può spiegare, in più si aspettano di trovare il tipico italiano tutto gesti e voce alta, e prova a fargli capire che no, non siamo tutti così e anzi, io sono pure parecchio orgoglioso di parlare poco.

Poi c'è che in Mitteleuropa, appena arrivi, sembrano tutti gentili. E una pensa "ah vedi, quindi non mi mandano a quel paese ogni 5 minuti, senti che ben che sta." Dopo un po' scopri che si scrive gentilezza, ma si legge "pompini davanti, coltelli nella schiena". Quindi tu non puoi mandare a quel paese nessuno, perché si spaventano (giuro), ma loro non si fanno problemi a cercare di rovinarti la reputazione in azienda.

Ma non è neanche quello alla fine. È una questione di linguaggio. Basta imparare a tradurre quello che vorresti dire dal veneto in aziendalese. All'inizio è dura, ma adesso credo di cavarmela discretamente. Ecco alcuni esempi.

No te capisse un casso! (non capisci un cazzo) = we need to improve communication between my department and yours.

Testa da batar pai! (sei un testa buona solo a battere i pali) = we should develop a tool that will allow you to handle the workload in a more efficient way.

D**cànit is imperative that we improve our productivity. I will analyse the issue and I will provide you with a detailed report ASAP.


Diiiiiiop**co = you should open a ticket for the IT department. Should you have requests or doubts, please refer to Franz Schwanz. In the meanwhile try to reboot your machine. 


***camadonna = I rebooted the machine twice. I unplugged the power supply and removed the ethernet cable, the keyboard, the mouse, the screen. Apparently it did not work, but I can try again, if you think it might help.


Eora va in mona de to mare sfondrada (meglio che non traduco) = Ok, I am going to connect to your machine, please do not touch the mouse and do not press any key. But reboot it first, let's see if that solves the problem. 


Mori (muori) = thank you.


Ciàvate (fottiti) = no problem.

[Detto di dirigente] Coiòn (coglione) = he should avoid micromanagement.

Resto comunque dell'idea che chi parla tanto non sta lavorando o sta cercando di praticare fellatio ai superiori. Ma mi devo adattare.



Filastrocca

Non ho voglia di scrivere niente, così copincollo una filastrocca:

Veneziani gran signori,
Padovani gran dotori,
Visentini magna gati,
Veronesi tuti mati,
Udinesi castelani
col cognome de Furlani,
Trevisani pan e tripe,
Rovigoti baco e pipe,
i Cremaschi fa cojoni,
i Bressan tajacantoni,
ghe n'è anca de pì tristi:
Bergamaschi brusa cristi.
E belun? Porea Belun
te si proprio de nisun



Ecco una versione riveduta e musicata (per chi ancora nel 2010 non parlasse veneto, è una soave presa in giro di leghisti, serenissimi, autonomisti eccetera).


E adesso a lavorare che c'è tutta una settimana da passare a produrre!

Ignoranti

Ogni tanto mi faccio un giretto delle blogstar. Più che altro perché spesso sono linkate nei blog che leggo quotidianamente e perché ultimamente al lavoro è un po' fiacca. Così mi capita di leggere spesso e volentieri la tirata contro i veneti ignoranti. Un esempio recente è questo (consiglio di leggere i commenti, molto esplicativi) (un'alternativa è questa).

La maggior parte dei miei lettori, a occhio, non è veneta. Io lo sono. Chi è veneto come me, soprattutto se è nato in centri minori o proprio in campagna, è cresciuto nutrendosi di commenti come quelli del blog di cui sopra (non è che queste blogstar brillino per acume o originalità).

Sostanzialmente gli intellettuali che sentono il bisogno di commentare riguardo al Veneto vi sgranano sempre il medesimo rosario di castronerie.

  1. In Veneto sono tutti bifolchi ignoranti e odiano i negri
  2. In Veneto parlano tutti dialetto, a dimostrazione del punto 1
  3. In Veneto sono tutti ricchi e hanno tutti la fabbrica
  4. In Veneto sono tutti finti cattolici baciapile
  5. In Veneto si lavora e basta

Scrivere e leggere su un blog cose del genere è normale, soprattutto se il vostro blog si dichiara progressista e di sinistra. Ma, come ho scritto, non sono stati certo i blogger a scoprire queste ostinate verità sociologiche: se siete veneti, le avete sentite per una vita.

Di fronte a tali giudizi, potete reagire in molti modi. Uno, molto comune, è quello di cercare di dimostrare che voi siete dei fini intellettuali, che non parlate dialetto, che non avete la fabbrica, che siete atei e che non lavorate. Sarete una delle figure che, ottant'anni fa, potevano vantare una qualche forma di prestigio sociale, perché capaci di leggere e scrivere in un mondo di analfabeti o perché in fortuito contatto con le classi sociali superiori.

Eppure la maggior parte delle persone non sceglie questa via. Se penso alle persone che frequento io, nessuno ha avuto voglia di fare l'intellettuale: qualcuno è operaio, qualcuno è magazziniere, altre sono infermiere o impiegate; c'è anche qualcuno che lavora in proprio, una fabbrichetta, qualche dipendente. Molti vanno a messa la domenica. Si parla dialetto tra di noi. I nostri nonni parlavano dialetto, i nostri genitori parlavano dialetto, noi parliamo dialetto. Non è una scelta o una rivendicazione d'orgoglio, è semplice quotidianità.

Ecco, tutte queste persone, che non sono ricche, che non vanno in giro col SUV, sono coloro i quali i nostri intellettuali progressisti si divertono a trattare come minus habentes. Ma provate a pensare: vi alzate tutte le mattine alle cinque per andare in fabbrica; fate il turno di notte in un centro di assistenza per disabili; vi siete fatti 10 ore sotto il sole a tirar su muri; avete il mutuo da pagare, le bollette, la dichiarazione dei redditi, la macchina che non va, il dentista che costa una fortuna. Voi ci andate anche a messa, ma le bestemmie ve le cavano di bocca. E poi arrivano questi, gente mai vista, gente studià, e vi dice che siete ignorante, che siete razzista, che siete materialista e che pensate solo alle vacanze al mare.

Vi accusano di lavorare, che pensate solo al lavoro. Perché tanto il mutuo si paga da solo, no? Le bollette basta metterle da parte, la visita medica a pagamento basta non pensarci, no?

Vi accusano di essere ricchi, perché non vivete in uno slum da terzo mondo.

Vi accusano di parlare dialetto, come se fosse un delitto, come se faceste del male a qualcuno.

Accusano i vostri nonni di essere stati poveri e non di esserlo più.

Accusano i vostri genitori di essere ricchi (ancora con questa storia? Sì, siete tutti ricchi in Veneto).

E allora cosa fate? Votate per chi dice che invece no, che il dialetto è meglio dell'italiano, che non siete dei bifolchi e che non accettate che qualcuno venga a giudicare il modo in cui siete usciti dalla miseria. E come darvi torto? La Lega non sarà il massimo, ma è anche l'unica opzione, perché la classe intellettuale ha aborrito le proprie origini e si è allontanata da quelli di cui avrebbe dovuto essere espressione, lasciando un vuoto che è stato colmato alla bell'e meglio dalla Liga Veneta e dalla Lega Nord. Così, mentre il Veneto ha prodotto il più celebrato poeta italiano vivente, ci si fa rappresentare da chi pensa che cultura voglia dire cartelli stradali monchi dell'ultima sillaba.

Davvero complimenti, per fortuna che sono intellettuali e progressisti... che poi insomma, almeno una volta c'erano i signori che schifavano i poveri e non era una bella cosa, ma era comprensibile: ricco, studiato, vestito bene, facevate un figurone di fronte ad un povero analfabeta con le mani grosse come un badile e gli zoccoli di legno ai piedi. Ma oggi? Tutta questa gente che non riesce più a trovare il prestigio sociale di una volta, prof, giornalisti, impiegati di basso rango, tutti che si atteggiano con aria di superiorità e additano il popolo ignorante e cafone, mentre il popolo non sa nemmeno della loro esistenza. E accusano il popolo di essere ricco e crapulone, solo perché loro non riescono a pagarsi i vestiti firmati.


Note a margine:

Mi pare che queste bloggostelle siano cresciute a pane e telefilm americani, da grandi abbiano letto i libri americani e, in breve, abbiano assimilato la giusta dose di politicamente corretto. È logico dunque che per loro qualsiasi conflitto tra etnie diventi la lotta tra wasp e afroamericani. Peccato che il mondo non sia l'Alabama, men che meno lo è il Veneto. Basta con questa storia che i veneti odiano i negri e che cercano la purezza del sangue ariano. Davvero, è patetica.

Altra cosa: il Veneto non è l'Inghilterra vittoriana e nemmeno gli Usa della Bible Belt, quindi non esiste nessuna morale sessuale come la si vede denunziata nei libri e nei film anglosassoni. Vi posso assicurare che siamo entrati anche noi, a pieno titolo, nel ventunesimo secolo.

Infine, comprendo che la commedia, con la sua struttura modulata secondo topoi vecchi di quasi 3000 anni e con le sue maschere caricaturali, possa risultare di più facile comprensione per le menti semplici. Ciononostante, Signore e signori rimane sempre una commedia, non un trattato sociologico o antropologico. E farà anche ridere ma non ha più attinenza alla realtà di Arlecchino e Pantalone.