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Tutti i cretesi hanno una mappa

Insomma, ad essere onesti deve essere ormai trascorso qualche anno da quando ho avuto l'ultima discussione seria riguardo politica, religione, musica e un sacco di altre questioni. Non perché mi manchino gli interlocutori, ma è che mi è passata la voglia. Ci ho messo un po' a razionalizzarne il motivo, ma penso di esserci arrivato. 

Ora però voi non offendetevi per quanto sto per scrivere, tutto è inteso "esclusi i presenti", com'è costume. 

La voglia mi è passata perché dopo tante discussioni, in internet e nel mondo reale, mi sono reso conto che non c'era alcuna discussione - o dialogo - nel senso platonico: si poteva andare avanti per delle ore e mancava qualunque progresso dalle posizioni iniziali e una completa assenza di condivisione di almeno alcuni punti di partenza. Si può discutere se le orbite dei pianeti siano delle circonferenze con il Sole al centro oppure delle ellissi in cui il Sole occupa uno dei due fuochi, ma per farlo bisogna essere tutti copernicani. Se invece un tolemaico e un copernicano si mettono a dibattere la questione, senza nemmeno accorgersi della differenza di base, potranno andare avanti dei mesi a chiaccherare, ma non ne ricaveranno mai niente.

L'esempio dei copernicani e dei tolemaici lo faccio perché è il classico contrasto tra due opposte visioni del mondo, letteralmente. L'unica discussione che le due fazioni potevano avere consisteva nel convincere l'altro dell'errore e fargli cambiare idea. 

Tornando a noi: nel tempo mi sono convinto che le idee politiche, le idee religiose, la musica che si ascolta non sono altro che visioni del mondo. O meglio, sono una mappa della realtà nella quale si distingue ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per essere sicuri di stare sempre nel giusto. È ovvio, nessuno vuole stare nel torto e in qualche modo bisogna sapere come evitarlo. 

Così, quando qualcuno mi parla di politica, non mi sta esprimendo un'analisi della situazione politica in un dato contesto, ma mi (e si) sta dicendo invece: io voto x e quindi sono nel giusto, quindi sono giusto. Quando qualcuno mi parla di religione, mi (e si) sta dicendo: io credo in y e quindi sono nel giusto, quindi sono giusto. Quando qualcuno mi parla di musica, mi (e si) sta dicendo: io ascolto z e quindi sono nel giusto, quindi sono giusto. 

Ma lo stesso vale per qualsiasi cosa vi possa interessare: se entrare in un forum di appassionati di biciclette vedrete gli stessi meccanismi. Il fatto di andare in bicicletta diventa un filtro per interpretare il reale e, ovviamente, chi va in bicicletta si sente dalla parte del giusto, si sente giusto e migliore di chi non è dalla sua parte. Provate a vedere i forum o i blog di arti marziali: stessa cosa, io pratico la tale arte marziale, quindi capisco il mondo meglio di chi non la pratica, quindi sono migliore. 

Discutere di praticamente qualunque questione diventa impossibile, a meno che non si vada d'accordo a priori, per due motivi: primo, le visioni del mondo sono autoescludenti. Ma questo non sarebbe un grosso problema, perché in fondo ognuno la pensa come vuole e poi si va a bere una birra. Il vero motivo è che parlare di politica, per esempio, non significa parlare di una serie di eventi e dei loro esiti, ma mettere in discussione la mappa mentale dell'interlocutore, di conseguenza mettere in discussione la sua distinzione tra giusto e sbagliato, di conseguenza mettere in discussione la giustezza stessa dell'interlocutore.

Quando qualcuno vi parla di politica (o di religione, o di qualunque altra cosa), non vi sta parlando di politica, vi sta convincendo della sua giustezza in quanto essere umano. Per contro, se voi non siete d'accordo con lui, non state dubitando dell'idea politica che segue, ma della sua giustezza in quanto persona. 

Siccome tutti abbiamo bisogno di queste mappe mentali e tutti abbiamo bisogno di sapere che siamo nella parte giusta della mappa e che quindi siamo persone giuste, avere qualcuno che tenta di rimuovere quella sicurezza diventa destabilizzante. Non possiamo dubitare di essere nel giusto come persone, altrimenti tutta la nostra vita diventa senza senso.

Quindi io non discuto più con nessuno non perché pensi che gli altri hanno torto, ma perché mi rendo conto che significherebbe andare a mettere in discussione la loro persona e la loro consapevolezza del mondo e della realtà. Siccome non direi mai a nessuno che è sbagliato in quanto persona, io do sempre ragione a tutti, a prescindere, così almeno lo faccio contento e so che si sente meglio per avere qualcuno che la pensa come lui. 

L'unico problema di questo discorso è che ovviamente è a sua volta una mappa mentale che mi sono costruito io, per essere sicuro di essere nella parte giusta e quindi di essere giusto. E in sostanza, affermando questa idea, cado nel paradosso del mentitore: se tutte le visioni del mondo sono solo mappe mentali ad uso di chi le crea, anche ritenere che tutte le visioni del mondo sono una mappa mentale è una mappa mentale e pertanto se è vera la prima, non è vera la seconda; se è vera la seconda, non è vera la prima.

Il che dimostra che devo scopare di più e pensare di meno. 

Cocci aguzzi d'illegalità

È qualche anno che manco dall'Italia e quindi la maggior parte delle nuove evoluzioni della cultura pop non mi arrivano o mi arrivano con molto ritardo. L'altro giorno mi è capitato di vedere questo:
Dal punto di vista di chi è nato e cresciuto in Italia ma ormai la osserva da lontano e la compara quotidianamente con realtà diverse, questo finto trailer rappresenta perfettamente la peculiarità italiana. Che non è quella di essere "italiano medio", tutto preso da calcio e veline, che si crede furbo perché ha la macchina a gasolio quando il prezzo della benzina sale. Ma è quella di pensare che tutti gli altri sono così, mentre tu no, sei l'unico diverso. Ogni singolo italiano pensa che tutti gli italiani siano un branco di scemi e si sente superiore perché lui, invece di fare la cosa x che fanno tutti, fa la cosa y, che lo qualifica come estraneo alla sua stessa cultura. 

E mentre pensa questo, generalmente l'italiano non si accorge che invece fa le stesse identiche cose che critica negli altri. C'è una cronica incapacità tra chi nasce in Italia nel vedere le proprie azioni in maniera obiettiva. 

Faccio un esempio semplice semplice. Generalmente gli italiani che arrivano qui in Germania, se sono giovani e laureati, sono esattamente il pubblico cui il finto trailer è destinato: disprezzano la furbizia e l'illegalità del nostro paese, sono nemici del Berlusconismo, radice di tutti i mali, e magari dicono di essersene andati perché in cerca della legalità, di un paese civile dove le regole della convivenza funzionano.

Benissimo, io con queste persone finisco sempre a litigare (e dico litigare, non scambiare differenti opinioni) per la solita cosa: quando andare a buttare il vetro nell'apposito cassonetto.

Perché dove vivo io il vetro si va a buttare nei cassonetti appositi, che sono lungo la strada e servono diverse case o condomini. L'operazione è consentita in orari determinati, dalle 7 della mattina alle 7 di sera dei giorni lavorativi. Il motivo di questa regola è evidente: buttare delle bottiglie vuote dentro un contenitore vuoto o pieno a metà di altri vetri fa molto rumore e non si vuole che tutto il vicinato sia disturbato dal casino di vetri rotti.

L'orario di per sé è arbitrario, nel senso che le sette di sera sono poco diverse dalle sette e mezza o dalle otto. Solo che, quando hanno dovuto decidere per un'ora, hanno deciso per le sette. Come per il limite di velocità, non è che 50 all'ora sia molto diverso da 55 o 60 all'ora, ma bisognava decidere un limite e si è deciso quello.

Se voi prendete uno dei nostri connazionali che sono venuti in cerca della legalità, andrà sempre a buttare il vetro dopo le sette o di domenica. E se proverete a fargli notare che esiste un regolamento che vieta di farlo dopo le sette, vi guarderà come se aveste detto la più gran castroneria dai tempi di Omero.

Perché per gli italiani che su Facebook condividono le foto dei magistrati morti e linkano gli articoli a favore della legalità, la legge è un'entità astratta e generale, nel senso che esiste in una dimensione teorica che coinvolge una ipotetica cittadinanza. Ma non appena la legge arriva a sancire il comportamento concreto ed inviduale, cioè quando vieta a te di fare la tal cosa in questo momento, tutti - e ripeto: tutti - gli italiani che conosco si irritano e reagiscono come se la legge gli impedisse di buttare il vetro per sempre e li obbligasse ad accatastare le bottiglie vuote nella vasca da bagno di casa.

E siccome a loro questo non va bene, si rifiutano di rispettare il regolamento e buttano il vetro un po' quando gli pare. E si incazzano come iene se glielo fai notare. E di solito sono io che glielo faccio notare, per il semplice motivo che è un regolamento di puro buon senso che serve a fare in modo che nessuno rompa le scatole agli altri, te compreso.

Ma attenzione, perché questo comportamento non viene percepito come una violazione delle regole. Queste persone ragionano all'incirca così: quello che faccio io è giusto; la regola vieta i comportamenti ingiusti; quindi non violo alcuna regola. Manca del tutto la percezione che il proprio comportamento concreto si attiene o non si attiene alla regola concreta e non ad un vago concetto di giustizia che viene creato dal singolo e che si applica aprioristicamente secondo la convenienza.

Ora, l'esempio è scemo ma pregnante, perché questa mentalità ha due conseguenze: che il singolo italiano viola le regole senza rendersene conto e - di conseguenza - che certamente violerà le regole ogni volta che queste andranno contro il suo utile.

Se parliamo di un neolaureato in cerca di lavoro in Germania, le regole infrante sono tutto sommato di poco conto. Non è che la polizia vada in giro a controllare che alle sette e dieci minuti non ci sia gente che getta le bottiglie nel cassonetto. Ma se quel neolaureato diventa col tempo un dirigente o un dipendente pubblico, si troverà ad infrangere le regole senza saperlo; solo che questa volta le conseguenze saranno ben più gravi e non si limiteranno ad un po' di rumore. Un dirigente che gestisce in maniera "allegra" i conti dell'azienda la farà fallire e farà perdere il lavoro a tanta gente. Un dipendente pubblico che acceleri certe pratiche perché sono quelle dell'amico e rallenti certe altre perché sono quelle di uno sconosciuto, moltiplicato per tutti i dipendenti pubblici, blocca il sistema nel suo complesso.

Per questo quando vedo i link tipo "Democrazia e legalità", "Parlamento pulito" eccetera, non riesco a non pensare che sia solo il nuovo bigottismo del secondo millennio. Come una volta si predicavano pubbliche virtù e poi ci si andava a far ricucire l'imene dal dottore amico di famiglia, oggi si alzano alti lai per l'illegalità della casta e poi, in privato, si viola la legge quando fa comodo.

Con la differenza che essere ipocriti sulla verginità prima del matrimonio non fa male a nessuno, essere ipocriti sul rispetto della legalità danneggia ogni singolo individuo. E lo stato in cui si trova l'Italia oggi ne è la prova.

Spic & Span

Prendete una casalinga, di quelle brave che tengono la casa tirata a specchio, sempre in ordine, che sanno fare la spesa oculatamente, non sprecano una lira, e poi cucinano daddio e stirano le camice che guardi signora mia nemmeno nelle stirerie professionali.

Ora, fareste mai progettare una casa a questa casalinga? No ovvio, come fa? Le mancano la cultura e le conoscenze tecniche. Moralmente lei è ineccepibile e se le date in mano una casa bella e finita state sicuri che risplenderà così tanto che la si vedrà dalla Luna. Ma questo non vuol dire niente, se dovete progettarla.

E allora, perché votate il Movimento 5 Stelle?

Scene da un matrimonio

Se non ho capito male, c'è stata la periodica gazzarra sul matrimonio gay. Non che io abbia un'opinione particolarmente intelligente a proposito, però non capisco tutta questa smania di avere il diritto di sposarsi.

Prendete i preti, che poi è quello il de quibus. La Chiesa è il più formidabile apparato di potere della storia dell'uomo. Hanno cominciato con 13 poveracci e una prostituta, nel giro di 300 anni hanno conquistato l'impero romano senza colpo ferire e dopo duemila anni sono ancora lì. Dite quello che volete, ma i preti sanno il fatto loro. 

Cosa c'entra il matrimonio? Semplice: i preti fanno di tutto perché vi sposiate e facciate figli. Ma loro, per entrare a far parte del clero, sono obbligati a non sposarsi e non avere figli.

Loro comandano da duemila anni, voi piegate la testa sempre. 

Amici gay, ancora tanto sicuri di volere matrimonio e adozione?

Soffitto di cristallo

Una mia collega è una di quelle donne molto sensibili alla condizione femminile nel mondo del lavoro. Soprattutto lamenta il fatto che nella nostra azienda ci siano così poche donne a livello di quadri e dirigenti.

Ultimamente si è aperta la possibilità di un posto di responsabilità (nemmeno tanta, ma non siamo una multinazionale con budget miliardari) e io ho cercato di convicerla a sgomitare e farsi avanti. Perché lei è una brava, professionale, adatta a quel ruolo. 

Mi ha risposto che lei no, non ci pensa proprio, perché non ha voglia di patire le sofferenze che quel posto di responsabilità comporta.

Ogni tanto penso che ci sia un motivo per cui gli sfruttati sono sfruttati. Poi ovviamente mi rendo conto che io, maschio maschilista, occupo una posizione circa equivalente e ovviamente me l'hanno data perché sono maschio e maschilista e, in quanto maschio maschilista, non devo mangiare la mia quotidiana porzione di merda solo per avere la possibilità di stare lì.

È che proprio c'è il soffitto di cristallo, capite?


Seriamente

Ieri su Boing Boing sono incappato in questa immagine. Un tizio ha fatto una specie di infografica raggruppando le frasi usate nella pubblicità dei giochi per i maschietti in un gruppo e quelle per le femminucce nell'altro. Il colpo d'occhio fa vedere che tipo di retorica venga usata per rivolgersi ai due generi.



Io non so se la pubblicità alteri la percezione del mondo o se semplicemente si fondi su di essa senza filtri di ordine morale o pedacocigo. Però è impossibile non notare la miseria, il grigiore e la fanfaronaggine con cui si prendono di mira i maschi. Lasciamo perdere l'ovvio, ignoriamo “battaglia” e “potenza” e “eroi”. Il diavolo sta nei dettagli. In basso, sotto “power”, c'è quel “forze speciali”. Ma speciali de che? E poi “invisibile”, “ninja”, “abbatti”, “distruggi”, che nemmeno i bulletti al giostre nemmeno.

Le bambine invece? Bello in grande “divertimento” e “amore” e “feste”. E poi è una parata di cose fiche da fare, di vestiti da mettere, “adorabile”, “con stile”, la neve e la doccia. Cavolo, la doccia!

Io non so quale sia il significato di questa immagine, non so se ce ne sia uno e se c'è, se abbia un qualunque valore scientifico o quantomeno razionale. Però dovete ammettere che per noi maschi hanno preparato un bello schifo di concetto di divertimento. Grazie tante.

Leggi che diventi grande/1

Questo è uno screenshot preso dalla pagina del mio Google reader.



Le cartelle contengono i feed ordinati per argomento. Ignorate i nomi: se mi sono messo a ordinare i miei feed in cartelle e per argomento significa che quel giorno ero molto molto annoiato. Di fianco ai nomi ci sono dei numeri in grassetto, che indicano quanti elementi non letti ci sono in ogni cartella.

Un semplice colpo d'occhio rivela quali siano le mie priorità di lettura. Leggo con costanza i blog personali; con costanza quasi pari leggo notizie sui videogiochi; poi a seguire perdo tempo con i siti che mi fanno ridere; seguono le notizie su Ubuntu; infine rimangono praticamente intatte le notizie vere e proprie, l'informazione così come la si intende generalmente.

Quel “1000+” – tendente all'infinito – ha lasciato stupito più me che voi. Essendo nato e cresciuto nell'epoca precendete all'internet di massa, sono stato educato a “leggere il giornale”. Leggere il giornale era considerato un atto dovuto per chi si considerasse una persona intellettualmente attiva. Leggere due o tre giornali era prerogativa degli intellettuali veri e propri. Leggere il giornale a scuola o all'università era simbolo esteriore di serietà ed intelligenza.
Sì.
Quando la stampa estera è diventata ampiamente accessibile grazie a internet, mi ci sono dedicato con intensità. In fondo i quotidiani mi avevano insegnato a considerare la stampa estera e specialmente anglosassone la forma sublime di giornalismo. Da un lato mi è stato possibile accedere e comparare un grande volume di notizie di stampa in un arco di tempo ridotto e a costi quasi nulli, dall'altro ho potuto vedere il tipo di lettori e capire in che modo si approcciano alla notizia (quando si legge un quotidiano non è possibile sapere cosa pensano gli altri lettori, grazie ad internet si ha subito un'idea sulle reazioni suscitate da un articolo).

Essendo possibile questa visione accelerata e onnicomprensiva del modo in cui i media funzionano, è anche molto più facile comprenderne le dinamiche che, nel mondo tradizionale, erano così lente e così grandi da rimanere al di fuori del campo visivo del lettore medio quale sono io. Questa triangolazione di prospettiva tra produttori di notizie, fruitori di notizie ed effetti prodotti dalle notizie mette in luce la natura dell'informazione.
Classica è una vignetta che non ha mai
finito di dire quello che ha da dire.

L'informazione è un bene che viene prodotto e viene offerto a chi lo vuole in cambio di un altro bene. È una forma di mercato, insomma. Ma prima che partano i commenti sbroccotronici, vediamo di fare chiarezza. Una considerazione del genere non ha valore positivo o negativo, ma di semplicemente di osservazione.

Ora, se considero la mia pagina di Google reader, non mi sorprende vedere che di fatto non leggo più quotidiani. Per quanti giornali leggessi, non sono mai riuscito a prevedere nulla di importante accaduto nel mondo. Mai. I giornali, pur offrendomi una mole enorme di informazioni, non mi hanno mai offerto notizie significative. Quello che mi vendevano era una visione del mondo: il lettore paga per vedere confermata la propria idea sulla realtà, e questo vale allo stesso modo per il lettore di Repubblica o del Times, per chi guarda Rai3 o FoxNews. Poiché a me non interessa vedere confermata la mia visione del mondo, ma avere informazioni abbastanza dettagliate per potermi muovere, ho smesso di leggere la stampa tradizionale. Ho smesso di girare con 15 quotidiani internazionali sotto il mouse e indovinate? Non è cambiato niente né della mia visione del mondo né della mia capacità di affrontarlo.
Quanti editoriali servono per cambiare
la tua visione dell'universo?

L'informazione è dunque tutta così? No, perché l'offerta è diversa a seconda della domanda. Prendiamo le altre voci dei miei feed. Per usare Ubuntu ho bisogno di consigli e informazioni su come farlo funzionare a dovere, le trovo in quei siti e posso vedere i risultati in pratica. Mi piacciono i videogiochi, che però costano: vado nei siti dove trovo le informazioni giuste per scegliere un videogioco e non buttare via i soldi.

E perché leggere i blog? Con blog intendo quelli personali, amatoriali, non siti commerciali che hanno la forma esteriore del blog. Li trovo altamente informativi perché si pongono all'opposto dei quotidiani, sono esplicitamente soggettivi e si interessano di realtà vicine a chi scrive. Offrono uno spaccato di una realtà così come viene vista dall'autore, mi fanno conoscere libri che val la pena di leggere e film da guardare la sera.

E dove sta lo scambio? Per i quotidiani è il denaro, ma per gli altri? Solitamente, i siti di videogiochi e passatempi mi offrono notizie in cambio di una mia visita, che si traduce poi nel valore degli spazi pubblicitari da vendere. Chi scrive riguardo ad Ubuntu lo fa perché vuole si diffonda l'uso di Ubuntu medesimo: loro mi aiutano ad usare Ubuntu, in cambio io partecipo alla diffusione del “loro” sistema operativo. I blog di solito vogliono in cambio di essere ascoltati e di ricevere dagli altri quello che loro offrono per primi.

Il sito su Ubuntu mi dice “leggimi e troverai consigli su come far funzionare la tua scheda video e su quale lettore multimediale installare”; ma non mi dice “leggimi e poi vai a discutere con Linus Torvalds su quali linee di codice cambiare”. Mentre il quotidiano mi dice “leggimi e saprai cosa sta succedendo nel mondo” quando con le informazioni che veicola non si è in grado di prevedere sconvolgimenti storici come quelli che stiamo vedendo questi giorni in Africa e Vicino Oriente.

Non c'è dolo da parte dei quotidiani. È la nostra società ad attribuire un valore esagerato all'informazione massmediatica; è la società nel suo complesso che insegna il dovere di “leggere il giornale”; è la società che stima chi gira per strada con “due quotidiani sotto il braccio”; è la società che ritiene giusto che la scuola dell'obbligo educhi a leggere i giornali come se da questo dipendesse la loro capacità di interagire con la realtà.

Se le informazioni fossero una mappa, i quotidiani sarebbero gli antichi planisferi: al centro c'era quello che si sapeva già (dove sono la Grecia, Roma, i Parti...) e tutt'intorno gli Iperborei, i leoni e l'oceano sconfinato tra Europa e Asia. Così un antico guardava il planisfero e credeva di sapere come era fatto il mondo, mentre quella roba lì non la usava per muoversi nei territori noti ed in più credeva di star piantando la bandiera dei re di Spagna sul suolo indiano quando invece aveva inzuccato un intero continente di cui non aveva nemmeno immaginato l'esistenza. Però cavolo, quanto si vantava di essere colto...
" 'zzo dici, vecchio?
Sapevano già tutto nel 3000 a.C."

Un buon sito di videogiochi o di trucchi per usare Ubuntu è come gli schemi della metropolitana: un po' di linee colorate che si intersecano. Tu lo sai che la città non ha quell'aspetto, però grazie a quelle linee arrivi sempre a destinazione. Ma soprattutto, non ti sentirai in grado di discutere con l'Amministratore Delegato della Metropolitana per il solo fatto di essere sceso alla stazione giusta.

Dai libri sibillini alle righe di codice

All'alba dell'era dell'informatica di massa, la nuova frontiera della cultura pop veniva colonizzata da un nuovo personaggio, il nerd. Caratterizzato da un'intelligenza superiore, applicata principalmente a materie tecnico-scientifiche, e dalla passione per divertimenti ad esse legati (videogiochi, fantascienza, ma anche fumetti e letteratura fantasy...), originariamente il nerd era oggetto di scherno da parte della comunità di pari. Un personaggio quasi negativo.

A distanza di anni, l'immaginario collettivo e la cultura pop usano lo stesso personaggio in maniera opposta, quale figura positiva da valorizzare. L'incapacità di gestire i rapporti sociali viene trattata con accondiscenza, l'incapacità di relazionarsi con le donne diventa motivo di comprensione. Nel 2010 è il nerd che tratta la biondona con alterigia.

15 anni fa questa era fantascienza

La ragione del mutamento è evidente. Poiché le redini del mondo sono tenute da Bill Gates, Steve Jobs, Larry Page, Sergey Brin e Mark Zuckerberg (tutti nerd), poiché costoro controllano le nostre vite, sanno quello che facciamo, dove siamo, chi sono i nostri amici, quante ore di Tube8 guardiamo al giorno, progressivamente stanno trasformando l'immagine di sé stessi: ora siamo nella fase intermedia, quella dei teneri imbranati rubacuori; domani saranno la nuova nobiltà e il nuovo clero, l'élite in grado di far funzionare il mondo informatizzato adorata da una popolazione di niubbi che sa soltanto premere il pulsante “Potenza”.

La religione di domani

La cosa interessante però è il cambiamento sociale che si sta verificando. Ormai sempre più persone che sprecano le loro giornate giocando ai videogiochi e leggendo fumetti si definiscono con orgoglio “nerd”. È interessante perché costoro mancano dell'attributo fondamentale del nerd, l'intelligenza superiore e la passione per lo studio e la scienza, e si dedicano esclusivamente ai passatempi tipici del nerd. Cioè, ci sono persone che si atteggiano a nerd pur non essendolo; come quelli che si indebitano per poter ostentare un'auto da ricchi, sempre più individui ricercano l'accettazione sociale scimmiottando i tratti marginali e esteriori della figura del nerd.

In una completa incomprensione del “fenomeno nerd”, scambiano le cause con gli effetti e dunque credono che l'incapacità di relazionarsi agli altri sia segno di intelligenza, anziché semplice incapacità di relazionarsi. Pensano che leggere fumetti sia un'attività intellettualmente superiore, anziché il passatempo di intelletti superiori. C'è gente che fa finta di essere affetta dalla sindrome di Asperger quasi non fosse una malattia ma un simpatico tratto caratteriale. Che è come far finta di avere la sifilide per far credere di essere grandi amatori.

Insomma, tutto questo è sintomatico di un mondo che sta cambiando le proprie élite culturali ed in cui le classi “inferiori” cercano di emulare alla meglio, nei tratti più semplici ed riproducibili, queste élite. Ed è anche, per i giovani più svegli, la direzione da prendere se si vuole stare abbastanza in alto nella piramide sociale. 

Per tutti quelli che non sono Hunter Thompson


Il motivo per cui mia madre ha sempre creduto che non mi piacesse nessun cibo è che già in tenera età avevo compreso la connessione che esiste tra l'espressione del gradimento di un particolare piatto e il trovarselo in tavola 5 volte alla settimana.

Contestualmente, una delle prime conquiste del mio personale processo gnoseologico è che anche la cosa più bella e buona, se fruita in abbondanti quantità, diventa insopportabile (il processo gnoseologico ha più tardi stabilito che esiste un'eccezione a questa regola per D. N. e V., ma non perdiamoci in facezie).

È dunque con questo spirito che mi appello ai giovani e meno giovani d'oggi.

Giovani e meno giovani, io vi capisco. So cosa si prova, so cosa si sente. Ma vi chiedo, vi supplico, v'imploro: smettete di indossare quelle maledette All Star. Sembra di stare nella Cina di Mao. Sembra un dannato campo di concentramento.

Vi taglio i piedi.


Innesti


Se si prende una persona di una qualunque nazionalità e la si infila un qualunque Paese del mondo (a patto che non sia quello di origine), succedono tre cose:

1. La persona in questione comincerà a chiedersi come sia possibile che non siano tutti grassi, con il cibo che si ritrovano.
2. Penserà che tutte le ventenni del Paese ospite siano bellissime, mentre dopo i 30 diventano grassissime, non come a casa sua che invece sono tutte belle a tutte le età.
3. Un indigeno che parla un incomprensibile dialetto locale gli assicura che se sta con lui un paio di ore/giorni/settimane, anche lo straniero parlerà la lingua del posto come un madrelingua.

Succede a tutti, garantito.

Voglio diventare grande

C'è una cosa che accomuna i pantaloni corti alla marijuana: in prossimità dei trent'anni sarebbe opportuno che non facessero più parte della vita sociale di un individuo. Da soli a casa va anche anche bene, in compagnia di altri no.

Ignoranti

Ogni tanto mi faccio un giretto delle blogstar. Più che altro perché spesso sono linkate nei blog che leggo quotidianamente e perché ultimamente al lavoro è un po' fiacca. Così mi capita di leggere spesso e volentieri la tirata contro i veneti ignoranti. Un esempio recente è questo (consiglio di leggere i commenti, molto esplicativi) (un'alternativa è questa).

La maggior parte dei miei lettori, a occhio, non è veneta. Io lo sono. Chi è veneto come me, soprattutto se è nato in centri minori o proprio in campagna, è cresciuto nutrendosi di commenti come quelli del blog di cui sopra (non è che queste blogstar brillino per acume o originalità).

Sostanzialmente gli intellettuali che sentono il bisogno di commentare riguardo al Veneto vi sgranano sempre il medesimo rosario di castronerie.

  1. In Veneto sono tutti bifolchi ignoranti e odiano i negri
  2. In Veneto parlano tutti dialetto, a dimostrazione del punto 1
  3. In Veneto sono tutti ricchi e hanno tutti la fabbrica
  4. In Veneto sono tutti finti cattolici baciapile
  5. In Veneto si lavora e basta

Scrivere e leggere su un blog cose del genere è normale, soprattutto se il vostro blog si dichiara progressista e di sinistra. Ma, come ho scritto, non sono stati certo i blogger a scoprire queste ostinate verità sociologiche: se siete veneti, le avete sentite per una vita.

Di fronte a tali giudizi, potete reagire in molti modi. Uno, molto comune, è quello di cercare di dimostrare che voi siete dei fini intellettuali, che non parlate dialetto, che non avete la fabbrica, che siete atei e che non lavorate. Sarete una delle figure che, ottant'anni fa, potevano vantare una qualche forma di prestigio sociale, perché capaci di leggere e scrivere in un mondo di analfabeti o perché in fortuito contatto con le classi sociali superiori.

Eppure la maggior parte delle persone non sceglie questa via. Se penso alle persone che frequento io, nessuno ha avuto voglia di fare l'intellettuale: qualcuno è operaio, qualcuno è magazziniere, altre sono infermiere o impiegate; c'è anche qualcuno che lavora in proprio, una fabbrichetta, qualche dipendente. Molti vanno a messa la domenica. Si parla dialetto tra di noi. I nostri nonni parlavano dialetto, i nostri genitori parlavano dialetto, noi parliamo dialetto. Non è una scelta o una rivendicazione d'orgoglio, è semplice quotidianità.

Ecco, tutte queste persone, che non sono ricche, che non vanno in giro col SUV, sono coloro i quali i nostri intellettuali progressisti si divertono a trattare come minus habentes. Ma provate a pensare: vi alzate tutte le mattine alle cinque per andare in fabbrica; fate il turno di notte in un centro di assistenza per disabili; vi siete fatti 10 ore sotto il sole a tirar su muri; avete il mutuo da pagare, le bollette, la dichiarazione dei redditi, la macchina che non va, il dentista che costa una fortuna. Voi ci andate anche a messa, ma le bestemmie ve le cavano di bocca. E poi arrivano questi, gente mai vista, gente studià, e vi dice che siete ignorante, che siete razzista, che siete materialista e che pensate solo alle vacanze al mare.

Vi accusano di lavorare, che pensate solo al lavoro. Perché tanto il mutuo si paga da solo, no? Le bollette basta metterle da parte, la visita medica a pagamento basta non pensarci, no?

Vi accusano di essere ricchi, perché non vivete in uno slum da terzo mondo.

Vi accusano di parlare dialetto, come se fosse un delitto, come se faceste del male a qualcuno.

Accusano i vostri nonni di essere stati poveri e non di esserlo più.

Accusano i vostri genitori di essere ricchi (ancora con questa storia? Sì, siete tutti ricchi in Veneto).

E allora cosa fate? Votate per chi dice che invece no, che il dialetto è meglio dell'italiano, che non siete dei bifolchi e che non accettate che qualcuno venga a giudicare il modo in cui siete usciti dalla miseria. E come darvi torto? La Lega non sarà il massimo, ma è anche l'unica opzione, perché la classe intellettuale ha aborrito le proprie origini e si è allontanata da quelli di cui avrebbe dovuto essere espressione, lasciando un vuoto che è stato colmato alla bell'e meglio dalla Liga Veneta e dalla Lega Nord. Così, mentre il Veneto ha prodotto il più celebrato poeta italiano vivente, ci si fa rappresentare da chi pensa che cultura voglia dire cartelli stradali monchi dell'ultima sillaba.

Davvero complimenti, per fortuna che sono intellettuali e progressisti... che poi insomma, almeno una volta c'erano i signori che schifavano i poveri e non era una bella cosa, ma era comprensibile: ricco, studiato, vestito bene, facevate un figurone di fronte ad un povero analfabeta con le mani grosse come un badile e gli zoccoli di legno ai piedi. Ma oggi? Tutta questa gente che non riesce più a trovare il prestigio sociale di una volta, prof, giornalisti, impiegati di basso rango, tutti che si atteggiano con aria di superiorità e additano il popolo ignorante e cafone, mentre il popolo non sa nemmeno della loro esistenza. E accusano il popolo di essere ricco e crapulone, solo perché loro non riescono a pagarsi i vestiti firmati.


Note a margine:

Mi pare che queste bloggostelle siano cresciute a pane e telefilm americani, da grandi abbiano letto i libri americani e, in breve, abbiano assimilato la giusta dose di politicamente corretto. È logico dunque che per loro qualsiasi conflitto tra etnie diventi la lotta tra wasp e afroamericani. Peccato che il mondo non sia l'Alabama, men che meno lo è il Veneto. Basta con questa storia che i veneti odiano i negri e che cercano la purezza del sangue ariano. Davvero, è patetica.

Altra cosa: il Veneto non è l'Inghilterra vittoriana e nemmeno gli Usa della Bible Belt, quindi non esiste nessuna morale sessuale come la si vede denunziata nei libri e nei film anglosassoni. Vi posso assicurare che siamo entrati anche noi, a pieno titolo, nel ventunesimo secolo.

Infine, comprendo che la commedia, con la sua struttura modulata secondo topoi vecchi di quasi 3000 anni e con le sue maschere caricaturali, possa risultare di più facile comprensione per le menti semplici. Ciononostante, Signore e signori rimane sempre una commedia, non un trattato sociologico o antropologico. E farà anche ridere ma non ha più attinenza alla realtà di Arlecchino e Pantalone.


Entomologia comparata, ovvero fenomenologia della striscia di jeans

Nel blog “Viva la fika” si parla di come le svedesi, oltre a essere il succoso frutto di decenni di eugenetica (decenni dopo la caduta del nazismo), non hanno alcun timore a mostrare il proprio corpo ed hanno un rapporto con l'altro sesso molto diverso dal nostro. Io, da buon italiano mossosi in Germania, ho notato la stessa situazione, anche se un po' meno estrema. Possiamo prendere come metro di paragone gli hotpants: in Italia li si vede raramente, in Germania sono normali, in Svezia sono talmente risicati da lasciar scoperta la vulva. Cercherò di mostrare come sono riuscito a razionalizzare tutto questo ed uscire dallo stato di perpetuo instupidimento cui ero preda al mio arrivo qui.

Per capire le differenze tra noi e loro nei rapporti tra sessi bisogna investigare in prima istanza le differenze nei rapporti sociali. Ci proverò con un esempio.

In Italia, se ci si trova in casa altrui, si verrà accolti con l'offerta di qualcosa da bere o da mangiare. A questa offerta, si risponde di no; a questo no, l'ospite insisterà; all'insistenza, si rimarca il no; l'ospite offrirà ancora una volta da bere o da mangiare; si declina educatamente; l'ospite si premurerà di chiedere se si vuole dell'altro; a questo punto, si chiede un caffè o qualcosa di simile. Comincia la conversazione.

In Germania, quando si arriva a casa di qualcuno, viene chiesto se si vuole qualcosa da bere. Se si risponde di sì, si aggiunge cosa si vuole. Se si risponde di no, l'argomento cade e si passa ad altro.

Apparentemente il metodo tedesco è più logico: sì significa sì e no significa no. Semplice e lineare. Il metodo italiano prevede invece un rito che ha delle dinamiche abbastanza precise da rispettare: si dice di no sapendo che l'altro insisterà, si insiste sapendo che l'altro dirà di no; l'ospite si offenderebbe se alla prima offerta ricevesse come risposta “una birra, grazie”; ci si offenderebbe se il primo no fosse inteso come un no. Ma tutto questo non è una complicazione, è il modo in cui creiamo un cuscinetto ammortizzatore da impiegare nei rapporti sociali.

Ogni rapporto sociale è potenzialmente uno scontro. Nella nostra cultura, lo scontro viene evitato per mezzo di questa danza di offerte e di rifiuti, all'interno della quale entrambe le parti hanno modo di gestire il contatto e di modularlo a seconda delle occasioni. Per esempio, se vi offrono del vino e voi siete astemi, ma non avete voglia di dare spiegazioni, un rituale del genere vi permette di evitare di bere del vino senza per questo impedire all'ospite di darvi il benvenuto nella maniera appropriata. Per quanto complicato possa sembrare, ha una utilità precisa.

Nella cultura tedesca questo cuscinetto non esiste. Non esistono forme ritualizzate di approccio che possano prevenire o attutire gli scontri. Ti offro da bere, se hai sete prendi una birra, se non hai sete non la prendi. Il problema è che anche i tedeschi non cercano lo scontro nei rapporti sociali, tanto quanto noi. La soluzione adottata è quindi diversa e duplice. La prima forma di protezione è la prevenzione: poiché ogni rapporto sociale è potenzialmente uno scontro, ognuno si deve muovere sempre con la massima cautela ed evitare di urtare gli altri. Anche gli amici. Anche la famiglia. In mancanza di un ammortizzatore che si frapponga tra due parti che entrano in contatto, diviene naturale per entrambe approcciarsi nella maniera più lenta e delicata possibile. Conseguenza di questo modo di gestire i rapporti sociali è che ogni rapporto è sempre estremamente formalizzato.

Ma una vita di incontri formalizzati non è sostenibile. Ed ecco che entra in scena la soluzione 2: l'alcol. L'alcol è il vero promotore dei rapporti sociali, avendo la nota caratteristica di sopprimere i freni inibitori, e funziona in due sensi: toglie la paura di creare lo scontro e toglie la paura di subire lo scontro.

Partendo da questa premessa, è facile capire le ragioni del diverso approccio all'altro sesso tra noi e i nordici. Essendo i rapporti erotici un sottoinsieme dei rapporti sociali, valgono le stesse regole, soltanto che sono un pochino più rigide, perché instaurare un rapporto di natura erotica può portare a danni assai maggiori. Il corteggiamento, più prosaicamente noto come “provarci”, svolge questa funzione di cuscinetto ammortizzatore, solo che è più spesso perché gli urti in gioco sono più forti.

La legge del corteggiamento prevede la presenza del maschio attivo che però non deve esagerare; così come la donna non deve cedere subito e però ha la facoltà di dire sì anche dopo una lunga serie di no. Funziona come con l'ospite: insistere e rifiutare, insistere e rifiutare.

Nella nostra cultura non mancano le giovani donne che fanno sesso per divertimento, direi nella stessa percentuale che in Germania (statistica spannometrica operata per mezzo dei miei occhi), soltanto che anche la più disinibita delle italiane si muove all'interno di questo meccanismo sociale. Di conseguenza, un minimo di ritualità serve anche per la più veloce delle sveltine.

In Germania tutto questo non è attuabile. Se già nei rapporti sociali quotidiani è difficile muoversi, un rapporto di natura erotica è un'impresa che presenta troppi rischi: si può offendere la donna oggetto di attenzioni, si può scoprire che quella donna in realtà non piace, si può essere rifiutati. In sostanza, poiché la posta in gioco è molto alta e non ci sono strumenti codificati per capire se sia possibile procedere o meno, il tedesco preferisce non agire. È come se foste all'ultima mano di poker, aveste la possibilità di vincere molto o di perdere tutto e non conosceste le regole del poker: l'unica scelta è abbandonare.

Dunque i tedeschi applicano la prima delle loro strategie sociali, e si muovono con ancor più cautela del solito. Che è l'esatto contrario di quello che si dovrebbe fare per ottenere un risultato. Per paura di far più danno, agiscono ancor meno. Ad un italiano, danno l'impressione di non essere interessati alle donne o al sesso. Questo non mi è mai sembrato vero, perché in tutte le città tedesche i bordelli fioriscono e non sono dei buchi nauseabondi, sono dei posti tranquilli dove ci va la gente normale, vale a dire che al tedesco medio il sesso interessa.

Qui possiamo vedere come la cultura italiana, seppur più complessa di quella tedesca, all'atto pratico permetta un punto di contatto tra i due sessi, che invece la cultura tedesca non riesce a sviluppare. È obbligatorio quindi passare alla fase 2, l'alcol, che viene utilizzato da entrambi i sessi per poter permettere l'approccio. Questa è la parte che noi non possiamo comprendere, ma che credo si possa considerare maggioritaria nei Paesi del nord Europa. L'incontro tra uomo e donna avviene per mezzo dell'eliminazione meccanica delle naturali barriere sociali che impediscono a due sconosciuti di finire a letto assieme.

A quel punto io non so più cosa accada nella testa dei tedeschi, perché non capirò mai che piacere si provi ad andare sbronzi con una donna sbronza, la quale peraltro non sta venendo a letto con te, e non sta nemmeno venendo con te per fare un po' di sesso: semplicemente non sa cosa sta facendo perché è stonata, quindi se tu le recitassi la Divina Commedia sarebbe lo stesso.

In questo contesto, è chiaro che le donne sono molto più attive che da noi nel processo di ricerca di un partner, perché devono in qualche modo compensare l'inattività dei maschi. È anche comprensibile l'abbigliamento provocante: per poter mandare messaggi di disponibilità percepibili sono costrette ad alzare il livello della provocazione ai massimi livelli (e tuttavia non serve a molto).

Non c'è bisogno di dire che questi meccanismi non sono coscienti: così come noi agiamo senza pensare e diamo vita alla danza dell'insistere e rifiutare, così le donne tedesche o nordiche non pensano a mandare segnali sessuali quando si vestono. Sono tutti aspetti che si danno per scontanti e che si mettono in pratica in maniera automatica.

Quando sbarcano in Italia, quindi, le nordiche vanno in giro mezze nude non per provocare, ma semplicemente perché non hanno coscienza di quello stanno facendo all'interno della diversa cultura. Al contrario, se un maschio italiano va a nord e tende ad approcciare le donne allo stesso modo in cui lo farebbe in Italia, trova molta più facilità ad entrare in contatto, per due ragioni: primo, non sono abituate ad avere un uomo che si approccia e quindi non hanno difese preventive nei vostri confronti; secondo, il corteggiamento appare come una serie di messaggi confusi, in cui non è chiaro cosa il maschio voglia, ma apparentemente non c'è nulla di sessuale, e quindi non scatta “l'allarme rosso”.

Ciò detto, spero sia risultato evidente che le tedesche e (immagino) tutte le nordiche, non sono più o meno facili delle italiane. Semplicemente nella loro cultura i rapporti sociali vengono gestiti in maniera diversa e quando le due culture entrano in contatto è molto difficile comprendersi, perché ognuno interpreta i messaggi dell'altro con il proprio alfabeto, e ne ricava un testo diverso da quello originariamente inteso.

Oggi vi spiego il multiculturalismo

Stasera usciamo io e Frau Angelo, verso l'ora di cena. La strada un po' mondana della città, ma verso la fine, dove tanto mondana non è più. Un signore tra i 50 e i 60, di chiara origine mediterranea (greco, italiano, turco?), parcheggia la propria Mercedes dove non si può. Tre ragazzotti tedeschi, intenti a far nulla e bere birra, aspettano che il signore si allontani e poi gli gridano dietro che non può parcheggiare lì.
Il signore, vedendo che tre giovani bionde bestie ariane si accaniscono contro di lui, cosa fa? Scappa intimorito? Sposta la macchina? Farfuglia delle scuse? Certo che no! Torna sui suoi passi e con aria di sfida grida loro di rimando “cosa volete?”
E loro “ha parcheggiato dove non può!”
“Eh, e allora?”
“E allora non può parcheggiare lì”
Il signore, visibilmente irritato: “E allora chiama la polizia. Dai, chiama la polizia!” E i tre ragazzi dicono qualcosa che non comprendo, ma abbassano decisamente la cresta. A questo punto arriva un altro tedesco che cerca di buttarla in ridere e dice al signore che alla sua età incazzarsi non fa bene alla salute e anche lui si becca la sua bella salva di improperi dal mediterraneo.
A questo punto il signore, dopo aver sfidato i tre giovani a chiamare la polizia, dopo aver insultato uno che passava, si congeda dando dei nazisti a tutti quanti e se ne va, lasciando la macchina in divieto di sosta e senza parole i tedeschi.
Io sono lì che me la rido, perché – onestamente – intanto devi averne un paio di grossi per sfidare apertamente tre ragazzi a quell'età, secondo perché ha ragione: qui se vedono qualcuno steso a terra che non si muove, passano oltre, mentre se parcheggi in divieto di sosta chiamano la polizia.
Frau Angelo mi dice qualcosa in cerca di riprovazione per l'increscioso comportamento del signore ed io le faccio notare che al suo posto avrei fatto la stessa cosa. Perchè? mi chiede attonita e inorridita. Perché dovete imparare a farvi i cazzi vostri.

Se pensavate che gli italiani fossero maestri d'eleganza

Quando si vive all'estero da un po', diventa stranamente facile individuare gli italiani che vi circondano. Non tanto quelli che vivono qui, quanto quelli che arrivano per qualche tempo, turismo soprattutto, oppure brevi viaggi di lavoro.
Gli italiani li riconoscete subito, perché – estate o inverno, pioggia o vento, giorno o notte che sia – sono quelli che in cima alla scaletta del volo Ryanair hanno gli occhiali da sole. Una volta non capivo perché tutti gli stranieri che conoscevo mi chiedessero perché non avevo gli occhiali da sole. Ora capisco: gli italiani sono gli unici che li portano sempre. Anche al buio. Anche con la pioggia.
In inverno si notano ancora meglio: in cima alla scaletta della Ryanair, con gli occhiali da sole e il pelo di cane intorno al collo. Se, mentre nevica, vedete qualcuno con occhiali da sole e pelo di cane intorno al collo, andate sul sicuro.
L'italiano arriva in Germania (o comunque all'estero) e compie sempre il medesimo rito: primo piede che tocca il suolo tedesco, e già comincia a lamentarsi del caffè. Dico, aspetta almeno di raccogliere il bagaglio e andare al bar... E per tutta la permanenza in Germania non farà altro, sia chiaro. E' un atteggiamento talmente radicato che almeno una volta a settimana devo scusarmi con gli astanti, di qualsiasi nazionalità essi siano, perché io bevo caffè tedesco e non mi lamento che non sia buono come in Italia. Mi guardano con due occhi così.
Ancora prima che il bagaglio arrivi sul nastro, sta già telefonando. Ma non telefonando tipo “Hallo Jurgens, sono arrivato in aeroporto puoi venire a prendermi?” No no, sta telefonando in Italia e parla del viaggio (50 minuti di volo, capirai) e di come è andata. Una volta, mentre aspettavo la valigia, un signore stava chiamando l'idraulico che andasse a casa di sua madre a sistemare non so cosa.
La caratteristica principale dell'italiano all'estero, comunque, è la totale mancanza di consapevolezza di essere all'interno di una cultura diversa, in cui ci si relaziona in maniera diversa. Per esempio, una cosa che mi piace dei Paesi d'oltralpe è che, negli spazi pubblici, la gente non rompe. In metro, per strada, al supermercato si parla a voce moderata, il cellulare non ha la suoneria attivata e in generale non si fa casino. Poi d'improvviso entrano in scena tre o quattro italiani che sembrano tutti sordi: gridano, telefonano (in Italia, perché se sei in metro a Berlino non puoi non telefonare in Italia). Non riescono a fare come tutti, stare seduti e parlare piano. Non si rendono conto che tutt'intorno a loro la gente è calma, tranquilla, non urla. Imperterriti.
Quando poi parlano con degli autoctoni, non sono in grado di mettere a fuoco che in altre culture non si gesticola o si gesticola in maniera diversa. Io, quando parlo con dei tedeschi, non gesticolo, perché è un modo di comunicare che non comprendono e quindi non facilita la discussione, la complica. Infatti spesso mi chiedono di tradurre i gesti degli italiani che smaniano a bracciate ampie e ben distese, perché il linguaggio del corpo è tanto peculiare quanto la lingua madre ed altrettanto incomprensibile ad uno straniero. Non è che ci voglia un genio a capirlo (ci sono arrivato anche io), ma i miei compatrioti no, loro sono fieri di questa cosa, chiaro segno dell'incapacità di relazionarsi con qualcosa che sia minimamente diversa dal proprio ombelico.
Per gli italiani c'è una cosa che però le trascende tutte: l'inglese. In tutto il mondo, l'inglese è una lingua che si impara e si usa. Per noi no. Per noi è come il corpo mistico di Cristo, un qualcosa di metafisico che lega tra loro i sudditi di Sua Maestà britannica e dalla quale noi siamo esclusi, per sempre ed a priori. E così non vale nemmeno la pena di impararlo.
Salvo poi andare in Inghilterra, pretendere di parlare inglese anche se non lo si conosce e lamentarsi che gli inglesi sono proprio dei cafoni perché fanno finta di non capire quello che hai detto, che insomma dai uer iseee deee bass-stoppeee? si capisce benissimo. Per non parlare del fatto che bestemmiano senza pudore, perché si credono gli unici a poter comprendere quel che dicono. Nemmeno sfiora la loro mente che ci possa essere un tedesco che parla italiano, o un italiano che parla italiano.
In Germania la prostituzione è legale. Ci sono alcune zone della città dove può capitare di incontrare delle signorine molto a modo che tentano di fare amicizia con voi. Per esempio, a Berlino in Oranienburger Strasse, che è una strada nota e ben frequentata e non certo un posto degradato. Per dire che nelle citate signorine ci si può imbattere anche se si è realmente intenti a far altro. Di solito il tentantivo di abbordaggio va così: prima mi chiedono se parlo inglese o tedesco (che sono straniero è chiaro). Se rispondo che fa lo stesso, mi chiedono da dove vengo. Italia. A questo punto si fermano, mi guardano e chiedono conferma del fatto che sia italiano. Sì perché? Perché hai detto che parli tedesco e inglese. Sì be', il mio tedesco ha ampi margini di miglioramento, ma per la situazione è più che sufficiente. Ah no, perché di solito gli italiani non parlano niente, solo italiano e basta. Eh, invece no, pensa. Ciao stammi bene.
Le prime volte invece cercavo di svicolare in maniera molto maschia, ricorrendo al più classico dei mmmpfrgllnfsitri. Le signorine, che il loro mestiere lo sanno fare bene, attaccano con il parimenti classico da dove vieni. Italia. Ah viiivaittalia, bellaittalia, ciao amore, bombino, begorina, scobare... (la “p” è un po' ostica da pronunciare, si sa). Sì ciao, ora che hai gridato “begorina” di fronte a 15 turisti giapponesi sono proprio eccitato. Badate però che se parlate in tedesco o in inglese non vi diranno mai cose del genere anzi, saranno decisamente educate, segno che non sanno esattamente quello che stanno dicendo.
E questo mi ha fatto capire due cose: che il livello culturale dell'italiano in gita è inferiore a quello di una prostituta che esercita in strada (con tutto il rispetto per le prostitute, che non vuol dire che sono sceme solo perché sono prostitute). E che gli italiani, quando interagiscono con una prostituta, iniziano a esprimere frasi senza senso tipo “bella Italia” e “pecorina”. Siccome la prostituta in questione non ha coscienza di quello che sente, ma lo sente dire da tutti gli italiani che incontra, impara che ogni volta che vede un italiano deve parlare come un tamarro di periferia.
Se entrate un po' in confidenza con qualche ragazza straniera, prima o poi vi confesserà che è universalmente noto come gli italiani ci provino sempre, con tutte ed in maniera ossessiva. Diciamocelo: siamo sputtanati. Non siamo tutti così, ma il fatto è che per il mondo girano orde di italiani infoiati convinti che le straniere siano delle ninfomani allo stadio terminale, e poi ci andiamo di mezzo tutti.
Secondo me è anche interessante da un punto di vista antropologico: perché gli italiani vanno all'estero pensando che le donne di lì la diano a tutti senza pensiero, senza discernimento, senza logica? La realtà non è quella, ma cosa fa scattare questo pensiero? È ancora una volta l'idealizzazione di un estero mitologico, dove tutto funziona meglio e persino per raccattare una ciulatina non si deve far fatica? Il sesso come parte delle prestazioni assistenziali fornite dallo Stato?
Alla lunga queste scene intaccano il tuo orgoglio di italiano. Che c'era. Ma poi cominci a vedere certe cose. Ti rendi conto che non esci più con altri italiani perché ti vergogni; non ce la fai più a sopportare i tuoi connazionali che trattano i camerieri come servi; che quando c'è da pagare succede sempre il finimondo e alla fine c'è sempre qualcuno che non ha messo tutti i soldi. Sempre sempre sempre. Che non sanno stare a tavola in maniera educata senza disturbare tutti i clienti di un locale. Che appena ottengono un ruolo di minima responsabilità sul lavoro, cominciano a piazzare chi garba a loro nei posti che contano; che appena superano la massa critica, cercano subito di avvilupparti nella loro rete di amici della quale non hai nessun interesse a far parte.
Così quando a volte mi sento triste perché al bar, di pomeriggio, vedo i vecchietti bere un caffè e mangiare un Bockwurst da due etti con la senape (senape e caffè, la merenda dei campioni), guardo fuori, la strada fredda, bagnata dalla pioggia, buia perché qui è buio sempre, è buio dentro, e vedo un cretino con gli occhiali da sole che grida bestemmie mentre persino le prostitute lo evitano schifate, ordino un Bockwurst anch'io. Ma senza caffè. Meglio una Coca Cola. 


Una curiosa mancanza

Stavo pensando che, a mia conoscenza, non esistono termini volgari che indichino il clitoride. È strano, perché in italiano solitamente vi è un vocabolario assai ricco e molto “rude” per indicare la zona genitale e anale.
L'unica spiegazione è che fino a pochissimo tempo fa, generalmente, nessuno sapesse dell'esistenza del clitoride.
Interessante.

Tira la palla, mordi l'esca

Da circa due anni e tre appartamenti mi aspetta sul comodino un libro molto interessante: L. Canfora, La democrazia. Storia di un'ideologia, Roma-Bari 2006² – che finalmente ho iniziato a leggere. Canfora è docente di filologia classica a Bari, uno dei pochi antichisti noti al di fuori dell'ambito accademico e penna particolarmente colta, arguta e stimolante. In questo libro si traccia il percorso del concetto di democrazia a partire dalla sua origine greca per arrivare ai giorni nostri.

La storia è bella perché, quando fatta bene, scardina i luoghi comuni ed i concetti sedimentati nel senso comune. La democrazia non fa eccezione. Cercherò di non svelare il finale dell'opera, ma posso certamente anticipare la tesi di fondo: l'ideologia democratica, da sempre, reca in sé i germi della tirannide. Oltre a ciò, essa si costituisce di un'ambiguità di fondo che le impedisce di essere davvero ciò che afferma di essere: il governo di tutti. Ogni volta che un popolo si è dato un ordinamento democratico, si è anche dato dei limiti precisi su quanto democratico dovesse essere. Atene si definiva democratica, ma i diritti civili erano ristretti ad un numero limitato di persone. Gli Stati Uniti si definivano una democrazia, ma convivevano con la schiavitù ed un sistema politico decisamente elitario. E così via.

Ed in effetti la riflessione di Canfora (solidamente sostenuta sul piano espositivo e delle fonti) è talmente buona che riesce a dare spiegazione di molti fenomeni; quando il potere politico rincorre il consenso del popolo nel suo complesso, rischia di trasformarsi nel contrario della democrazia: la tirannide greca, il cesarismo romano, il bonapartismo francese, il fascismo italiano... La ricerca del massimo di libertà produce la negazione della libertà.

Questa riflessione mi ha fatto capire che viviamo tempi strani. Il nostro sistema politico-economico è talmente complesso e stratificato da essere contemporaneamente il migliore ed il peggiore che il mondo abbia conosciuto. È un mondo fatto di contrasti ed antitesi che non si ripianano ma che si alimentano a vicenda. Abbiamo un sistema economico che crea il massimo della ricchezza e contemporaneamente produce il massimo del degrado; abbiamo un sistema politico che aborre le guerra e che contemporaneamente sperimenta le più grandi devastazioni; esaltiamo la libertà come valore fondante e creiamo le più feroci dittature.

È un mondo incomprensibile al singolo, che non riesce a ricondurre ad unità le diverse spinte cui è sottoposto. Per qualche millennio i popoli sono vissuti sostanzialmente allo stesso modo, società agricole i cui codici erano dettati da necessità di ordine superiore che, in quanto tali, non permettevano né scelta né disobbedienza. Non si poteva trasgredire al volere della natura che regolava pioggia e siccità, abbondanza e scarsità, salute e malattia, morte e vita: si era dipendenti da essa e non vi era altra via che accettare l'ordine costituito. E l'ordine costituito prevedeva l'esistenza di Dio, dei suoi vicari clericali, dei suoi agenti incoronati e delle preghiere di scongiuro.

Quando però la natura ha smesso di essere madre e matrigna ed è divenuta ancella umile e sottomessa, in un poderoso effetto domino si sono fatte saltare tutte le necessità fino a prima così imprescindibili: non temiamo più la carestia, non aspettiamo più la pioggia e sfidiamo la morte inghiottendo delle pilloline bianche; così Dio non è dato più per scontato, né il suo clero né i suo agenti incoronati. Non c'è più un ordine necessario superiore, ma dato che noi abbiamo bisogno di un ordine, dobbiamo crearcene uno.

Ci è necessario sapere cosa accade di fronte a noi. Siamo istintivamente portati a classificare il reale in base al suo grado di pericolosità, di vantaggio e di utilità, ma non è facile come un tempo. In più siamo costretti ad avere un'opinione per tutto. Dobbiamo avere un'opinione per votare, per leggere il giornale, per discutere al bar, per capire il mondo. E per avere un'opinione, dobbiamo ridurre la complessità del mondo, perché eccessiva. Abolendo la complessità, classifichiamo l'esperienza secondo il criterio binario buono/cattivo. In base a questa scelta, derivano i ragionamenti.

Rivoluzione francese: essa contiene sia il germe di tutto ciò che di buono il mondo moderno ha conosciuto (libertà) come pure il male (il Terrore), ma si deve scegliere se essa sia stata buona o cattiva, perché non è concepibile che sia insieme buona e cattiva. E allora qualcuno sceglierà che sia buona, esalterà gli aspetti positivi e minimizzerà quelli negativi. Al contario, qualcuno sceglierà che sia cattiva e procederà in senso inverso.

Capitalismo: ha creato ricchezza, abolito la fame, estratto le masse contadine da una vita di stenti; ma anche creato masse di miserabili, guerre imperialiste, nuove forme di schiavitù. Si deve scegliere: è male o bene? Chi dirà che sia bene, ignorerà le parti negative; chi dirà che sia male, ignorerà ogni vantaggio da esso creato.

Per ogni avvenimento o processo storico si è di fronte a questa scelta, che è quasi inevitabile. O di qua o di là. Tertium non datur.

Sarebbe interessante comprendere quale sia il meccanismo che ci fa scegliere l'una o l'altra opzione. Probabilmente è un processo meno razionale e cosciente di quel che si creda. Forse è poco più di un caso, di una serie di accidenti slegati ma consequenziali che agiscono sulla nostra sfera emotiva. È il desiderio di dividere il mondo in “bene” e “male”, di semplificarlo ai minimi termini così da poterlo percorrere sani e salvi fino alla fine.

Su questa semplice debolezza fa leva chi ci vuole convincere: politici, venditori, preti e blogger. Ci mostrano un succoso pezzo di semplificazione e, quando lo mordiamo, un amo acuminato si aggancia al nostro palato e ci tira su, pronti a finire sul piatto del pescatore.

Io faccio così: quando leggo o sento qualcuno con la spiegazione di tutto, smetto di leggerlo o ascoltarlo e faccio altro. Cose particolarmente irrilevanti o superficiali. Per festeggiare lo scampato pericolo.

Magre false

Leggo sul Corriere un articolo (un post dal blog di Alessandra Farkas) riguardo al servizio fotografico di cui ho parlato nel post precedente. Il titolo recita: "Grasso è bello. V-Magazine sfida il mondo della moda." Dopo un po' di bla bla e qualche immagine di prigioniere dei campi di concentramento nazisti, l'articolo – sottolineiamo: scritto da una donna - si conclude così: "Siamo quindi alla vigilia di una rivoluzione all'insegna del "Grasso è bello"? La speranza è che non si tratti di un fenomeno passeggero, ma di una svolta davvero epocale."

Ma io mi chiedo dal profondo del cuore: ma la vogliamo smettere di far tracimare i pensieri dalla scatola cranica solo perché si scrive per una testata nazionale? Quelle donne non sono grasse, sono normali. Nor-ma-li.

E quando dico normali, non intendo che tutte le donne devono essere così. Non sto stabilendo un nuovo canone di bellezza. Dico solo che è il mondo è pieno di donne dalle forme rotonde, come è pieno di donne alte e filiformi.

Oltre ad essere normali, sono anche considerevolmente attraenti. Fatti salvi i gusti personali di ciascuno, quelle donne sono infinitamente più belle delle intellettualine da salotto cultural-onanistico milanese, che leggono i giornali della gente perbene, che passano le serate a discettare di femminismo e a farsi di bamba in compagnia.

Francamente mi sono stancato. Sarebbe anche ora la facessero finita. Non capiscono che quello che scrivono viene letto da migliaia di donne, anche giovani, e che dire ad una ragazza “mi piaci come sei, anche grassa” è come dire ad un malato di sindrome di Down “ti voglio bene per come sei, mongoloide ritardato”? Non potete dire ad una donna che “grasso è bello”, perché le state dicendo che una cosa rivoltante è bella: si sentirà ancora più uno schifo! È come dire “cara, certo non sei bella come me, ma sono sicura che da qualche parte ci sarà un uomo abbastanza pervertito da sentirsi attratto da te”.

Cosa non è chiaro? E dire che a scrivere è una donna, queste cose dovrebbe spiegarla lei a me. Se poi ad alcune piace vivere mangiando insalate e facendo palestra, con il naturale risultato che a trentacinque anni sembrerà una vecchia incartapecorita, a me va bene; anzi, consiglio di raddoppiare il carico di lavoro e dimezzare l’apporto calorico per accorciare l'agonia. Ma per favore, per favore che eviti di rendere partecipi gli altri delle proprie fissazioni. I giornali nazionali non sono lo sfogatoio di pensieri da magroline inacidite, sono dei potenti mezzi di comunicazione che riescono ad influenzare la vita delle persone.

E soprattutto non trattate con condiscendenza quelli che non vivono come voi.

È già difficile convincere fidanzate, amiche, sorelle, madri, nonne, suocere e cognate che no, una 34 non è una taglia extra-large, se vi ci mettete pure voi non è più finita. Andate a fare le progressiste da qualche altra parte, create dei gruppi di autosbrodolamento per donne secche e alla moda, fate quello che volete, ma fatela finita col finto progressismo del “grasso è bello”.

NOTA: questo post è stato pubblicato secondo la versione incivilita. La prima versione conteneva un tale quantità di insulti e parolacce da essere decisamente illeggibile. Volevo condividere coi lettori il mio buon senso.

Una ricetta veloce

Vedo che ultimamente sta prendendo piede la mania di dare ricette di cucina nel proprio blog. Siccome io chi sono, il figlio della serva, no – proponiamo qualcosa di veramente sfizioso. La lettura è sconsigliata alle anime sensibili.

Preparativi: un sabato sera a casa da soli

Ingredienti: un'automobile; una connessione a banda larga

Preparazione

Prendete le chiavi della macchina e scendete. Accendete la macchina e dirigetevi al vicino Burger King, che non deve distare da casa più di 5 minuti a piedi. La cosa migliore è che abbia un drive-through, cioè quella cosa per cui voi arrivate con la macchina, ordinate dalla macchina e ricevete il cibo in macchina. Ordinate alla cassiera indiana un triplo Whopper menu, formato extra-large (tre etti di patatine fritte e mezzo litro di Cola). Dopo essere riusciti a capire cosa la cassiere indiana abbia cercato di dirvi tutto il tempo, pagate e tornate a casa. Accendete il computer e aprite il vostro browser (di solito a questo punto si consiglia Firefox, ma personalmente non mi sento di dare indicazioni in questo senso. Usate quello che vi pare). Sintonizzate il vostro browser su un sito a scelta tra YouPorn, PornTube e Tube8, oppure mescolateli in parti uguali tra di loro. E godetevi il vostro Whopper menu.

Ovviamente questa è la ricetta base, ma alcune varianti sono ammesse. Per esempio, se siete omosessuali potete tranquillamente accompagnare l'hamburger con la visione di GayTube o affini (non sono molto esperto in questo settore, chiedete ad un amico eventualmente). Se siete donne è statisticamente probabile che il porno non vi interessi, ma potete sostituirlo con la visione di Twilight e New Moon o altri capisaldi.

Come vedete, la preparazione è molto semplice. Tuttavia il buon funzionamento della ricetta non sta nella scelta degli ingredienti, ma nello spirito con cui la consumerete. E' la consapevolezza a fare la differenza. Dovete essere coscienti di ciò che state per fare. Anzi, direi commettere. Infatti:

a) scegliete di stare a casa il sabato sera. Cioè, preferite evitare di uscire, spendere un sacco di soldi, farvi belli, cercare di raccattare una tipa abbastanza fatta o abbastanza disperata da starci con voi (con voi, rotfl), assumere alcol e cannabis, eventualmente anche un po' di coca (tanto non è più reato, no?) per poi svegliarvi il giorno dopo che non avete battuto chiodo, la bocca sembra una miniera di carbone e quando vi mettete a sedere sul letto dalla bocca esce uno sfiato di grisu... ne siete sicuri? Pensate a lunedì, quando i vostri colleghi passeranno tutta la mattina a descrivervi queste stesse cose più e più volte, vantandosi di quanto erano ubriachi e bla bla bla. Voi invece sarete i paria: siete rimasti a casa.

b) Avete un macchina. Male. Molto male. Ciò è del tutto incompatibile con la situazione ambientale del nostro pianeta e non state facendo la vostra parte per abbassare l'emissione di gas serra. Male. Molto male.

c) Prendete la macchina per fare un tragitto minimo. Passi che avete una macchina, ma che la usiate per coprire una distanza che a piedi si compie in cinque minuti è fuori da ogni grazia di Dio. Dovreste vergognarvi di voi stessi.

d) Ora, qui viene la parte veramente dolorosa. Avete scelto Burger King. Forse non avete idea di quanti peccati avete commesso.

d 1) A differenza di tutti gli italiani sulla faccia della Terra, non cercate di compensare l'enorme arretratezza culturale, sociale e politica del vostro Paese facendo sfoggio di cultura culinaria e trattando il cibo come mezzo di riscatto sociale. Male: oltre a essere italiani, non siete neanche capaci di fare l'unica cosa che viene bene agli italiani, mangiare.

d 2) Avete presente la cassiera indiana che vi ha servito? Ecco, per colpa vostra il ciclo di sfruttamento capitalista dei lavoratori oppressi si perpetua all'infinito, cosicché quella ragazza, che al suo Paese era un fisico nucleare ad un passo dal conseguire il Nobel, è costretta a servire panini in un drive-through. Bravi.

d 3) Avete presente la cassiera indiana che vi ha servito? Ecco, per colpa vostra queste catene di pseudo-ristoranti assumono stranieri che rubano il lavoro ai vostri concittadini. Per colpa di gente come voi, tra qualche anno ci troveremo invasi da orde di musulmani che imporranno il minareto in tutti i Burger King.

d 4) Non fate finta di niente, dai. Mentre la cassiera indiana vi parlava e voi non capivate niente di quello che diceva, avete pensato che “insomma, vieni a lavorare qui e nemmeno parli la lingua, prova a trovarti un altro lavoro, magari non a contatto con il pubblico, no?” Raz-zi-sti! Ecco cosa siete. Avete già dimenticato l'Olocausto?

d 5) Avete scelto Burger King. Ma non lo sapete che esso è il simbolo del turbocapitalismo neoliberista che vuole distruggere la diversità culturale nel mondo omogeneizzando tutte le culture antagoniste a questo modello di sviluppo a crescita continua di un mondo che sta per affrontare la fine delle risorse? Sì?

d 6)Avete scelto Burger King. Ma non lo sapete che esso è l'avamposto della finanza anglosassone, dei banchieri della City e dei finanzieri di Wall Street, ed ha lo scopo di imporre le scelte di politica interna ed estera ai politici italiani, che sono schiavi dei suddetti banchieri, per bloccare ogni legittimo interesse nazionale e per eliminare qualsiasi uomo di Stato che osi perseguire tale interesse sovrano? Guardate cosa è successo a Mussolini, a Craxi e a Berlusconi! E solo perché non volevano che Burger King aprisse un ristorante in Italia!

d 7) Mangiate carne! Assassini!

d 8) Se proprio dovete mangiare carne, almeno mangiate quella ricavata da metodi di allevamento rispettosi della dignità dell'animale. Chiedete alla cassiera indiana se al manzo l'allevatore leggeva le favole della buonanotte prima di andare a letto; informatevi se è stato ucciso in maniera degna, col conforto del prete e se gli è stato concesso di appellare la sentenza di morte di fronte al giudice. Altrimenti rifiutatevi.

d 9) Il fast food fa male, fa male, male male male! Morirete tutti fra due settimane soffocati dal colesterolo che prenderà fuoco all'interno del vostro corpo, carbonizzandovi all'istante. E ve lo sarete meritato.

e) Mangiate davanti al computer. Non si fa, si mangia sempre a tavola, masticando lentamente e assaporando ogni singolo boccone.

f) Usate internet. Non lo sapete che internet è stato inventato dalla Cia per controllarvi? Spegnete subito.

g) Usate internet, ma non per scambiare conoscenza e informazioni con gli altri cittadini della rete. E' per colpa di gente come voi se la cittadinanza digitale vede i propri diritti ristretti ogni giorno che passa; è per colpa vostra se la banda larga non prende piede, se il Wi-Fi è ancora al palo, se le aziende non investono e se i ragazzini picchiano i disabili.

h) Guardate il porno. Siete degli essere ignobili. Nemmeno vi siete presi il fastidio di sapere che l'industria della pornografia è un vero e proprio commercio di schiave, allevate in batteria sin da bambine per diventare delle macchine da meretricio seriale. Continuate a perseverare nella vostra visione maschilista della donna, mercificandola e riducendola ad oggetto che soddisfi i vostri desideri.

i) Guardate il porno. Non lo sapete che esso è il cavallo di troia con cui i banchieri della City e i finanzieri di Wall Street intendono scardinare i valori della civiltà occidentale, rendendola inerte e vile ed incapace di opporsi all'imminente invasione musulmana oscurantista che ci convertirà tutti e obbligherà le attrici porno a girare i film col burqa?

Ora, se – e solo se – manterrete a mente tutto questo; se – e solo se – comprenderete davvero cosa significa, io vi prometto che ogni singolo pezzo di hamburger, ogni patatina, ogni sorso di Cocacola sarà la cosa più gustosa che abbiate mai mangiato. Un'esplosione di sapori, un'euforia ed una felicità come non li avete mai provati.

Per chi può, a conclusione del pasto consiglio un'ottima sigaretta della marca preferita (non credo di dover spiegare perché).

(e tutto questo solo mangiando un panino. Non sapete quali piaceri nascondano altre attività anche solo leggermente più complicate)

Natale è alle porte, occupiamo

Leggo sui giornali che si è aperta la stagione delle occupazioni scolastiche. Vuol dire che siamo già verso dicembre... come vola il tempo. Comunque, pare che quest'anno alcuni studenti (no, gente dei centri sociali! Ah perché uno dei centri sociali non può essere uno studente?) le abbiano prese e siano finiti in ospedale.

Propongo quindi di aprire la rubrica “racconta la tua occupazione”, e non si tratta di fare live-blogging dalle scuole autogestite, ma di ricordare tutti insieme come abbiamo passato noi le nostre occupazioni. Perché io sono per il recupero e la salvaguardia delle tradizioni, che non vanno assolutamente perdute.

Ho partecipato alle ultime occupazioni/autogestioni quando chi è in quinta superiore adesso aveva da poco imparato le tabelline. Le mie prime risalgono a quando chi protesta ora era un frugoletto che la nonna si strapazzava tutto il tempo.

Personalmente ritenevo che di motivi per protestare ne avessimo a bizzeffe. Avevamo un docente che dormiva per buona parte della lezione. Un altro che spiegava per dieci minuti e il resto della lezione cazzeggiava. Uno lo abbiamo cambiato ogni anno e un anno ne abbiamo cambiati tre. Uno non aveva alcuna conoscenza della materia che spiegava. Uno ci faceva dare i voti alle ragazze della scuola. Uno diceva di seguire le nuove frontiere della pedagogia moderna (all'università mi hanno bocciato una sola volta: nella materia che insegnava costui, con un esame casualmente incentrato sulle uniche tre cose che costui ci aveva insegnato). A scuola si spacciava e si consumava droga in completa tranquillità. Fecero la differenza una giovane supplente, bellissima e di cui mi ero vagamente infatuato, e un'altra supplente che per quel poco che rimase ci obbligò a studiare sul serio (sostituiva quello delle nuove frontiere della pedagogia, infatti poi all'università non fui costretto a studiare da zero le parti di programma da lei tenute).

La cosa brutta è che questi insegnanti pretendevano pure che andassimo bene, impresa al limite dell'impossibile. Il fatto è che io a casa non avevo una schiera di parenti che mi potessero aiutare in tutte le materie, né provenivo dalla parte “buona” della società e non avevo il vantaggio di essere raccomandato come molti miei compagni. Insomma, avevo un bel po' di motivi per voler protestare.

Del tutto ignorati dal resto degli studenti.

I quali ritenevano degne solo le cause dal nome magniloquente e dalla retorica stantia, ma che non avevano mai nessuna ricaduta pratica sulla vita quotidiana. Se invece protestate perché il vostro docente ruba i soldi delle tasse snocciolando fesserie, quello il giorno dopo ve lo trovate in classe e vi fa pentire di essere venuti al mondo. E così mi ritrovavo sempre una scuola autogestita, in cui i professori non dovevano nemmeno più far presenza e in cui non c'era niente da fare.

Però ricordo che un anno partecipai ad un gruppo di lavoro. Credo fosse l'epoca della riforma Berlinguer, ma potrei sbagliarmi. Il gruppo di lavoro doveva studiare la parte della riforma che riguardava le scuole private. La retorica degli occupatori autogestori – come potete ben immaginare – era la stessa di oggi: vogliono distruggere la scuola pubblica, vogliono mettere tutto in mano a Confindustria e farci diventare tutti operai in fabbrica. Così il nostro gruppetto, il più piccolo e sfigatello, si è messo pazientemente a leggere gli articoli incriminati. Alla fine della lettura, convenimmo tutti sul fatto che, almeno per quell'ambito, la riforma era la solita cosa all'italiana, dove tutto cambia nella forma ma rimane identico nella sostanza. E così redigemmo il nostro documento in cui si affermava proprio questo. Ma poiché il documento non diceva che la riforma voleva privatizzare la scuola il lavoro venne cassato. La scena si volse sotto i miei occhi e sono testimone del capetto politico di turno che affermava chiaramente che lui non poteva accettare un documento che andava contro quello che lui diceva. Fine della discussione.

Per il resto l'autogestione era anche divertente: concerti, birra, ragazze (gli altri, io su quel versante ero fortunato tanto quanto in politica).

All'università trovai altrettanti argomenti di protesta. Un corpo docente a dir poco imbarazzante, che a tratti si trasformava in clan e dal quale penso siano stati partoriti figli deformi a causa della mancanza di varietà genetica. Senza contare che la casta professorale se ne fotteva allegramente di... oh be', di tutto. Docenti che non pubblicano mezza pagina da anni, che non si presentano a lezione, che spostano le date degli esami a piacere. Ragazzi che si facevano chilometri in treno per niente. Biblioteche quasi inesistenti. Agibilità dei locali dipendente dalle condizioni metereologiche. Insomma, la vostra buona dose di bile quotidiana, se pensate che quella che non state ricevendo è tutta l'istruzione che avete a disposizione nella vita. Io mi sono tenuto lontano da tutte le conventicole politiche, all'università volevo studiare e basta. Però succedevano cose strane.

Ogni tanto la facoltà veniva circondata da tizi mai visti che iniziavano a parlare della “nostra” università, del “nostro” futuro e dei “nostri” diritti vari e assortiti. Non posso certo provare che costoro non fossero iscritti all'università, questo no, anche perché formalmente iscritte sono schiere di persone, che magari hanno finito da anni e gli manca la tesi oppure da gente cui interessa la scusa per stare fuori casa. Tutte cose che sapete anche voi. E questi arrivavano e cercavano di impedire le lezioni. Perché se gli Usa invadono l'Iraq e tu occupi la facoltà, certamente Bush ritirerà le truppe, è chiaro. Erano comunque tentativi destinati al fallimento: intere schiere di pendolari, reduci da un viaggio con Trenitalia, non si sarebbero certo fatte fermare da quattro pischelli con la fregola dell'occupazione (erano coetanei, ma viaggiare con Trenitalia ti fa invecchiare dentro e ti sembrano tutti pischelli, anche le signore di 80 anni). Allora questi ripiegavano su argomenti più seri, come il diritto ad avere le fotocopie gratis e la connessione ad internet gratuita ed illimitata. Immaginate l'effetto di queste proposte a gente come noi che a volte doveva andare in un'altra università di un'altra città per avere un libro assolutamente introvabile nella nostra biblioteca.

Ecco, questi sono i ricordi che ho io delle mie occupazioni e autogestioni.

Piccolo manuale pratico per lo studente protestante

Immagino ci sia un ristretto numero di studenti che genuinamente credono nelle proteste che portano avanti. Mi rivolgo a loro.

Ricordatevi che quello che ora difendete, noi lo avevamo combattuto; quello che voi ritenete un diritto, per noi era un sopruso. Pensateci.

A meno che non abbiate serie intenzioni di fare politica attiva da grandi, state perdendo il vostro tempo. Le vostre proteste non servono a niente. Credete davvero che un gruppo di minorenni che gridano per strada possa avere la minima influenza sulla politca di una nazione? No. Sul serio, non è una provocazione. No. Usate il vostro tempo in maniera più utile. Studiate, anche quello che non vi insegnano. Coltivate degli interessi, leggete, anche cose scientifiche, non ci sono solo romanzi. Viaggiate. Visitate un museo della vostra città. Lavatevi, radetevi i baffetti e chiedete alla ragazza che vi piace di uscire con voi (ma radetevi i baffetti, mi raccomando). Questo era per i ragazzi, lo so. Ragazze, rilassatevi. State con le vostre amiche, uscite con i ragazzi. Siete tutte bellissime, ognuna per quello che è. Non andate a rovinarvi con i dreadlock in testa o mischiandovi a teppaglia parafascista. Giocate coi videogame. Se siete maggiorenni, organizzatevi un bel viaggio con Ryan Air, venite qui in Germania e scoprite le meraviglie della prostituzione legalizzata. L'importante è che stiate lontani dalla massa protestante. Lo ripeto, quello va bene solo se volete fare politica di mestiere. Per tutti gli altri, è solo tempo sprecato. Di vita ne avete una sola, non buttatela via con la politica.

Non partecipate a nessuna manifestazione. E' una cosa stupida. A chi pensate di gridare, camminando per le strade svuotate? E chi pensate stia ascoltando, a parte i vostri amici e i poliziotti in testa al corteo? Manifestare non è niente di diverso dall'andare allo stadio la domenica, una massa di ragazzi in piena scarica ormonale che si lasciano andare. Siete meglio di così, dico davvero.

Senza considerare che ultimamente le manifestazioni tendono a finire male, ci sono sempre più botte da orbi, sia da parte di altri manifestanti che della polizia. Il manganello fa male. Chi ve lo fa fare? Se non vi piace fare a botte (è una iniezione di adrenalina non da poco, devo ammetterlo) state lontani e usate il vostro tempo in maniera migliore.

Fate l'amore, non fate politica.