È tardi ormai
Filastrocca
Veneziani gran signori,
Padovani gran dotori,
Visentini magna gati,
Veronesi tuti mati,
Udinesi castelani
col cognome de Furlani,
Trevisani pan e tripe,
Rovigoti baco e pipe,
i Cremaschi fa cojoni,
i Bressan tajacantoni,
ghe n'è anca de pì tristi:
Bergamaschi brusa cristi.
E belun? Porea Belun
te si proprio de nisun
Sinestesie
Uno dei fatti della vita che ho compreso solo in età adulta era la critica alle festività consumistiche e alla loro retorica dei buoni sentimenti. In passato non la capivo perché, essendo nato e cresciuto in terra cattolica, per me le festività erano principalmente un duro periodo dedicato all'obbligatorietà dell'azione religiosa. Ora, invece, che vivo in
Un bambino nordico cresce sapendo che un giorno all'anno, per qualche inspiegabile motivo, ci si fanno i regali e a lui spetta, senza motivo, quello più
La sera della vigilia, mentre i bambini nordici scartavano i pacchi, noi si doveva stare svegli per andare alla messa di mezzanotte, messa cantata e quindi ancor più insostenibile.
Poi c'è il carnevale, che per i tedeschi esiste senza un perché e finisce un martedì
Poi c'è la Pasqua. Per i tedeschi, la Pasqua è una festa priva di motivo in cui la famiglia si scambia i regali. Per noi era la festa più importante della cristianità, ma non capivamo perché, visto che i regali si ricevevano a Natale. Quindi serviva una doppia razione di catechismo per insegnarci che il Natale non contava poi così tanto (avrei giurato che il dicembre precedente avessero detto altro, però) e che la Pasqua era la vera festa. E via di nuovo, Vangelo e confessioni, confessioni e peccati. Ma tutto amplificato, perché qui si parlava di Gesù ucciso dagli uomini e quegli uomini eravamo noi, noi bambini avevamo ucciso Gesù, dannati piccoli assassini. Ed infatti, mentre i bambini nordici ricevono doni, noi aspettavamo rassegnati la settimana intera di messe cantate. Giovedì, venerdì (due volte, alle 15, quando è morto e alla sera, ripercorrendo tutta la Passione), sabato la veglia e domenica mattina. Ci sarebbe stato anche il lunedì, ma non eravamo così tanto devoti.
Adesso che sono grande, invece di imporre ai miei figli questa trafila, ogni anno devo spiegare cosa sia la Pasqua, che Gesù è morto e risorto, che resurrezione vuol dire che il corpo intero si è rialzato, non solo l'anima, eccetera eccetera.
Nelle feste non doveva esserci nessun divertimento e nessun autocompiacimento. Per noi erano solo la tortura delle infinite messe cantate, dell'incenso che brucia le narici, delle catechiste che controllano come stai seduto e come stai in piedi. Era una dura disciplina che ci formava, anche se tutti inevitabilmente prima o poi lasciavamo perdere appena divenuti un po' più grandi: la vera educazione non è quella che si perpetua all'infinito ma quella che ti condiziona per sempre.
Immaginate dunque come possa sentirmi in mezzo a gente che ostenta buoni sentimenti, salamelecchi e smielosità varie. Per esempio, almeno nella zona da cui provine la mia Frau, la domenica di Pasqua fanno un gioco che non so neanche come descrivere. Ognuno prepara dei piccoli regali e dolcetti per gli altri e li nasconde (per modo di dire) in giardino e poi tutti devono trovare i loro. Esclusi i casi in cui siano presenti bambini, la scenetta è disgustosa: vedere persone adulte che fanno finta di stupirsi per aver trovato un sacchetto di cioccolatini è francamente impressionante. Capite che quando sento parlare di efficienza tedesca, di asprezza
E mi vien voglia di tornare a quand'ero bambino, quando la Pasqua era un Dio tumefatto e sanguinante, torturato fino allo sfinimento, tradito dagli amici, abbandonato da suo Padre che poi era Lui, quindi un Dio abbandonato da sé stesso; sua madre che vede il centurione infilzarlo con una lancia, le donne che prendono il cadavere e lo depongono in una tomba che non era nemmeno la sua; le infinite messe cantate, l'incenso che satura l'aria; rimpiango persino quel prete che una volta venne nella nostra parrocchia a celebrare la messa, che pareva un personaggio uscito dal Nome della Rosa e tuonava contro il diavolo e ci metteva in guardia dai piaceri del mondo terreno.
E niente, per me Pasqua è la Missa Brevis di Palestrina che profuma di incenso. E senza bisogno di LSD.
Turismo culturale
Ho appreso con molto ritardo la notizia della coppia italiana rapita nel deserto. Augurando loro e alla famiglia ogni bene, mi si è tuttavia creata in mente una connessione di pensieri. Non ho capito bene cosa ci facessero i due coniugi nel deserto, se non sbaglio la signora è originaria del Burkina Faso e lì si stavano dirigendo. Però potrebbe essere la tipica vacanza che la mia donna o le sue amiche mi propongono ogni mese. Al momento la meta dei desideri è l'India.
Io mi chiedo da dove nasca tutta questa voglia di andare a fare le vacanze in posti dove non puoi bere l'acqua, non puoi mangiare verdura fresca, devi vaccinarti contro malattie da noi debellate da secoli, sono talmente poveri che anche io sembro ricco, c'è un buon numero di persone che ha capito che rapendo me riceve un sacco di soldi dal mio governo e delle organizzazioni che hanno deciso che io sono il male e quindi mi uccidono.
Dice che c'è la cultura diversa da scoprire. Vero. Cioè... vero sì, per modo di dire: una cultura che ha le caste, non costruisce le fogne, pensa che una vacca rinsecchita che grufola nell'immondizia sia sacra e fa dei film involontariamente comici non è che mi attragga poi così tanto. Ma anche volendo concedere il beneficio del dubbio, una cultura si apprezza dopo aver studiato parecchi anni la lingua, la storia, l'arte di un Paese. Per me invece, che non so nemmeno leggere le indicazioni stradali, quale cultura mi aspetta? Nessuna, mi aspetta la paccottiglia kitschig preparata in loco per spennare il turista occidentale tonto e danaroso. In quanto italiani, dovremmo saperlo tutti bene. Io poi ho avuto a che fare per anni con una meta del turismo culturale mondiale, per cui considero qualsiasi tipo di turismo, soprattutto quello culturale, una sorta di redistribuzione delle ricchezze dai Paesi ricchi a quelli poveri, sotto forma di furto a fin di bene.
Turismo culturale for dummies
Excuse me, sailor! How much is it for a gondola ride?
Duxento euri pa' un'ora. De pì che un dotòr dea figa!
Oh, 200 dollars...
No, signora. Duxento euri, che farìa 290 doeari. No a capisse un casso!
I see, 290 euros then?
Sì, proprio, 290 euri. Pagamento anticipà. Dai signora, ea monta su che ndemo, non go mia tempo da perdar mi, casa go a mugèr che rompe i cojoni se no rivo pa' l'ora de magnàr.
Oh my god, this city is sooo beautiful. Are you a real Venetian?
Certo signora. Me nono gera Doge.
What's a doge?
El doge xe come... chi gavìo valtri, Bush?
No, the president is Obama now.
Eco, valtri gavì Osama...
Not Osama: O-ba-ma!
Quel che xè... valtri gavì Obama, nialtri gavemo el Doge.
So, your grandfather was the President and Commander in Chief?
'Na spesie. El Doge xè de pì de un presidente. El xè 'na roba granda, insoma.
Gosh! And now, is your family still into politics?
Ma, dirìa de no. Gavemo capìo che 'a poitica xé 'na roba bruta e gavemo moeà.
Look at that! What is it? [indicando una casa qualunque che espone una bandiera, NdR]
Quea xé 'na bandiera, signora.
But... what does it mean?
Gnente signora, niente. 'A varde, mi vago al stadio tute 'e domeneghe, ma chea bandiera eà no 'a go mai vista. 'A se fassa i cassi sui che 'a vedarà che 'a sta mejo.
I really would like to know the history of that flag. Probably that's an old old building, dating back to the Roman Empire, or maybe before Christ...
Certo signora, se 'a vol ghe conto anca 'a storia de l'orso.
Oh no, but please, would you sing a traditional Venetian song for me?
Certo signora. 'Speta che taco. Che bella cosa na jurnata 'e sole/n'aria serena doppo na tempesta! Ghe ga piasùo, signora?
Lovely! Another one, please?
Certo! O mia bela madunina, che te brili de luntan!
How sweet!
[Incrociando un'altra gondola] Òu Denis, ti xè ancora drio lavorare?
No sta dirme gnente. Go caricà sta squadra de Cinciunciàn e 'i vol far el giro de tute 'e isoe. Ti, invese?
Mi go sta mericana rincojonìa. 'A xe anca vecia, no me penso de taconarla gnanca na s'cianta.
Ma dai, 'e vecie 'e xé 'e pì brave.
Va' in mona, sborà de un sborà!
De che a troia de to mare!
Ti e ta morti!
Ciao!
Ciao!
What did he say?
Gnente signora, roba de marinai. Bisogna sempre dirse se riva 'a tempesta, se ghe xé pericoeo de onde alte. No se sa mai.
Oh God. Are we in danger?
No signora, tuto tranquio. Ma anche se ghe fusse pericoeo, 'a xé in bone man. 'A staga tranquia e no 'a rompa i cojoni.
Thank God!
Dai forsa signora, 'a smonta che go da fare. Dunque, pagà 'a ga pagà, cantà go cantà, tanti saeuti e bona note. Pecà che a sia cussì ciciona, sinò 'na pinciadina che stava anca ben.
Thank you so much for the trip. I loved it! Bye, have a nice day.
[più tardi al telefono]
Oh dear, you cannot imagine how astonishing! I saw ancient buildings, listened to traditional songs, met real sailors as they were 2000 years ago. Everything is like a dream. And the people are so friendly! You must visit this city!
[intanto Denis, con il suo carico di orientali]
Questo è quello che succede a tutti i turisti quando vanno a scoprire le culture diverse: vangono presi per i fondelli e privati del loro denaro. Per questo ho deciso che in vacanza andrò solo dove l'acqua è potabile, non ci sono rovine da visitare e non devo vaccinarmi contro qualunque cosa prima di partire. Perché ogni città ha i suoi gondolieri, ricordatelo.
Tre anni
Ci siamo conosciuti al liceo, tramite amici comuni. Ci si vedeva alla ricreazione, talvolta alle feste. Non ci parlavamo molto all'epoca. Ero timido e volevo far credere di non essere interessato e poi anche tu eri così aspra all'inizio, era difficile anche solo starti vicino. Col tempo ci siamo conosciuti meglio, io ho imparato ad accettare te, tu ti sei addolcita. Finché alla fine abbiamo ceduto l'un l'altra. Quanto tempo è passato! Ci vedevamo di nascosto, anche dagli amici. Poi gli amici hanno saputo, e bastava non farlo sapere agli altri. E poi, raccogliendo tutta la spavalderia dell'adolescenza, cominciammo a non aver più timore di nessuno, ci facevamo vedere il pubblico, con aria di sfida. Ma non ai miei genitori. Loro non accettevano il nostro rapporto, non l'hanno mai accettato, nemmeno più avanti, quando era chiaro che non ti avrei abbandonata facilmente.
Ricordo che tu c'eri sempre, anche nei momenti in cui ho creduto che la vita mi si stesse rivoltando contro. Tu c'eri. Come si dice? Nella buona e nella cattiva sorte. Quando le pedate nel didietro arrivavano forti e secche, quando gli schiaffi sul viso bruciavano l'orgoglio, venivo sempre da te.
Sei stata a lungo compagna di viaggi, insieme abbiamo visto posti lontani e magnifici. In Ungheria, quando ci era persino consentita l'intimità di certi vecchi vagoni del treno; in Grecia, quando soli io e te sedemmo al Capo Sunio, senza nessuno attorno, a contemplare il mare dove nacque la civiltà.
Poi vennero tempi più duri. Quando credemmo di poter finalmente vivere il nostro rapporto apertamente e senza più vergogna, arrivarono i moralisti a condannare e giudicare e puntare il dito. Quante volte fummo io e te in un pub a godere una fresca e spumosa birra scura? Ma no, non più, ora la gente ci guardava di traverso, alla stregua degli assassini, colpevoli del solo delitto di amarci. Persino nelle stazioni del treno, il luogo dove a tutti gli amanti è consentito lasciarsi andare, non potevamo più vederci. E questo ci rese più vicini. Ma forse segnò anche la nostra fine. Cominciai a non poter fare a meno di te, ti bramavo e ti pensavo ad ogni momento. E tu non ti tiravi indietro mai, mai, nemmeno quando il desiderio volgeva in lussuria, in sfrenato abbandono ai sensi: mai hai detto “basta”, semplicemente tacevi, mi guardavi e ti lasciavi prendere una volta, due volte, tre volte, finché ansimante mi coricavo. Eri amore e sei diventata ossessione. E ti lasciai.
Chi mi sta intorno è felice per me. Mia madre, finalmente placata. Mio padre. I miei amici. Tutti a chiedere come sto, se è stata dura, com'è la vita dopo così tanto tempo. E io dico che è stata la scelta giusta, che doveva andare così. Lo dico, ma non lo penso. Lo dico, perché so che è ciò che gli ipocriti si vogliono sentir dire. Ora saranno felici, mi vedono senza di te. Ma loro non sanno, non possono capire cosa significava per me stare con te; cosa significava vivere una quotidianità intensa ed intima; non aver paura di portare alla bocca cose che altrimenti sarebbero state disgustose; senture il tuo profumo, che non mi abbandonava mai. Ora tutto è perso. Da tre anni. Ci siamo rivisti qualche volta, a qualche festa. Non è più stato lo stesso. So di aver rovinato tutto.
Ti ho fumata per l'ultima volta all'aeroporto e ho buttato il pacchetto ancora mezzo pieno. Ti ho aspirata lentamente, con dolore. Tu hai lasciato fare, hai lasciato che il destino si compisse. Sei divenuta mozzicone e sei stata portata via da uno spazzino qualunque.
Mi manchi.
Ciao.