Leggi che diventi grande/1

Questo è uno screenshot preso dalla pagina del mio Google reader.



Le cartelle contengono i feed ordinati per argomento. Ignorate i nomi: se mi sono messo a ordinare i miei feed in cartelle e per argomento significa che quel giorno ero molto molto annoiato. Di fianco ai nomi ci sono dei numeri in grassetto, che indicano quanti elementi non letti ci sono in ogni cartella.

Un semplice colpo d'occhio rivela quali siano le mie priorità di lettura. Leggo con costanza i blog personali; con costanza quasi pari leggo notizie sui videogiochi; poi a seguire perdo tempo con i siti che mi fanno ridere; seguono le notizie su Ubuntu; infine rimangono praticamente intatte le notizie vere e proprie, l'informazione così come la si intende generalmente.

Quel “1000+” – tendente all'infinito – ha lasciato stupito più me che voi. Essendo nato e cresciuto nell'epoca precendete all'internet di massa, sono stato educato a “leggere il giornale”. Leggere il giornale era considerato un atto dovuto per chi si considerasse una persona intellettualmente attiva. Leggere due o tre giornali era prerogativa degli intellettuali veri e propri. Leggere il giornale a scuola o all'università era simbolo esteriore di serietà ed intelligenza.
Sì.
Quando la stampa estera è diventata ampiamente accessibile grazie a internet, mi ci sono dedicato con intensità. In fondo i quotidiani mi avevano insegnato a considerare la stampa estera e specialmente anglosassone la forma sublime di giornalismo. Da un lato mi è stato possibile accedere e comparare un grande volume di notizie di stampa in un arco di tempo ridotto e a costi quasi nulli, dall'altro ho potuto vedere il tipo di lettori e capire in che modo si approcciano alla notizia (quando si legge un quotidiano non è possibile sapere cosa pensano gli altri lettori, grazie ad internet si ha subito un'idea sulle reazioni suscitate da un articolo).

Essendo possibile questa visione accelerata e onnicomprensiva del modo in cui i media funzionano, è anche molto più facile comprenderne le dinamiche che, nel mondo tradizionale, erano così lente e così grandi da rimanere al di fuori del campo visivo del lettore medio quale sono io. Questa triangolazione di prospettiva tra produttori di notizie, fruitori di notizie ed effetti prodotti dalle notizie mette in luce la natura dell'informazione.
Classica è una vignetta che non ha mai
finito di dire quello che ha da dire.

L'informazione è un bene che viene prodotto e viene offerto a chi lo vuole in cambio di un altro bene. È una forma di mercato, insomma. Ma prima che partano i commenti sbroccotronici, vediamo di fare chiarezza. Una considerazione del genere non ha valore positivo o negativo, ma di semplicemente di osservazione.

Ora, se considero la mia pagina di Google reader, non mi sorprende vedere che di fatto non leggo più quotidiani. Per quanti giornali leggessi, non sono mai riuscito a prevedere nulla di importante accaduto nel mondo. Mai. I giornali, pur offrendomi una mole enorme di informazioni, non mi hanno mai offerto notizie significative. Quello che mi vendevano era una visione del mondo: il lettore paga per vedere confermata la propria idea sulla realtà, e questo vale allo stesso modo per il lettore di Repubblica o del Times, per chi guarda Rai3 o FoxNews. Poiché a me non interessa vedere confermata la mia visione del mondo, ma avere informazioni abbastanza dettagliate per potermi muovere, ho smesso di leggere la stampa tradizionale. Ho smesso di girare con 15 quotidiani internazionali sotto il mouse e indovinate? Non è cambiato niente né della mia visione del mondo né della mia capacità di affrontarlo.
Quanti editoriali servono per cambiare
la tua visione dell'universo?

L'informazione è dunque tutta così? No, perché l'offerta è diversa a seconda della domanda. Prendiamo le altre voci dei miei feed. Per usare Ubuntu ho bisogno di consigli e informazioni su come farlo funzionare a dovere, le trovo in quei siti e posso vedere i risultati in pratica. Mi piacciono i videogiochi, che però costano: vado nei siti dove trovo le informazioni giuste per scegliere un videogioco e non buttare via i soldi.

E perché leggere i blog? Con blog intendo quelli personali, amatoriali, non siti commerciali che hanno la forma esteriore del blog. Li trovo altamente informativi perché si pongono all'opposto dei quotidiani, sono esplicitamente soggettivi e si interessano di realtà vicine a chi scrive. Offrono uno spaccato di una realtà così come viene vista dall'autore, mi fanno conoscere libri che val la pena di leggere e film da guardare la sera.

E dove sta lo scambio? Per i quotidiani è il denaro, ma per gli altri? Solitamente, i siti di videogiochi e passatempi mi offrono notizie in cambio di una mia visita, che si traduce poi nel valore degli spazi pubblicitari da vendere. Chi scrive riguardo ad Ubuntu lo fa perché vuole si diffonda l'uso di Ubuntu medesimo: loro mi aiutano ad usare Ubuntu, in cambio io partecipo alla diffusione del “loro” sistema operativo. I blog di solito vogliono in cambio di essere ascoltati e di ricevere dagli altri quello che loro offrono per primi.

Il sito su Ubuntu mi dice “leggimi e troverai consigli su come far funzionare la tua scheda video e su quale lettore multimediale installare”; ma non mi dice “leggimi e poi vai a discutere con Linus Torvalds su quali linee di codice cambiare”. Mentre il quotidiano mi dice “leggimi e saprai cosa sta succedendo nel mondo” quando con le informazioni che veicola non si è in grado di prevedere sconvolgimenti storici come quelli che stiamo vedendo questi giorni in Africa e Vicino Oriente.

Non c'è dolo da parte dei quotidiani. È la nostra società ad attribuire un valore esagerato all'informazione massmediatica; è la società nel suo complesso che insegna il dovere di “leggere il giornale”; è la società che stima chi gira per strada con “due quotidiani sotto il braccio”; è la società che ritiene giusto che la scuola dell'obbligo educhi a leggere i giornali come se da questo dipendesse la loro capacità di interagire con la realtà.

Se le informazioni fossero una mappa, i quotidiani sarebbero gli antichi planisferi: al centro c'era quello che si sapeva già (dove sono la Grecia, Roma, i Parti...) e tutt'intorno gli Iperborei, i leoni e l'oceano sconfinato tra Europa e Asia. Così un antico guardava il planisfero e credeva di sapere come era fatto il mondo, mentre quella roba lì non la usava per muoversi nei territori noti ed in più credeva di star piantando la bandiera dei re di Spagna sul suolo indiano quando invece aveva inzuccato un intero continente di cui non aveva nemmeno immaginato l'esistenza. Però cavolo, quanto si vantava di essere colto...
" 'zzo dici, vecchio?
Sapevano già tutto nel 3000 a.C."

Un buon sito di videogiochi o di trucchi per usare Ubuntu è come gli schemi della metropolitana: un po' di linee colorate che si intersecano. Tu lo sai che la città non ha quell'aspetto, però grazie a quelle linee arrivi sempre a destinazione. Ma soprattutto, non ti sentirai in grado di discutere con l'Amministratore Delegato della Metropolitana per il solo fatto di essere sceso alla stazione giusta.

The Eagle [sneak preview]

Mediocre film d'azione in costume, ambientato nella Britannia romana nel 140 d.C.

Un ufficiale dell'esercito romano ed il suo schiavo britannico si addentrano nei territori al di là del vallo di Adriano in cerca dell'aquila (nel senso di simbolo di Roma) perduta anni prima dalla nona legione, comandata dal padre dell'ufficiale (o qualcosa del genere).

I due si imbattono in una tribù ferma all'età della pietra (dove la gente a piedi scalzi corre più veloce dei cavalli) un po' di triccheballacche e il finale è scontato ben oltre il banale. 

Il titolo è The Eagle, la storia gira intorno all'insegna a forma di aquila e il protagonista si chiama Marco Flavio Aquila. Questo è il grado di raffinatezza del film. E tra l'altro fino alla fine credevo che si chiamasse Accola, perché gli inglesi non sanno pronunciare il latino.

Commento finale: vale il tempo di prendere la macchina, trovare parcheggio, pagare gli euri? No, ma se lo danno una sera in tv ci può anche stare.

Quotidiani disturbi

Sulla cassetta della posta c'è un bell'adesivo a rossi caratteri affilati che intima di non lasciarvi pubblicità. Tale decreto viene sistematicamente ignorato ed ogni giorno devo buttare via tonnellate di giornali e depliant che nemmeno leggo. Il fastidio è che rischio di buttare via anche la posta importante, che si va a mischiare alle pagine di annunci e notizie inutili; in più, siccome lo spam cartaceo straborda e lascia lo sportellino spalancato, quando piove (e qui piove sempre) l'acqua entra nella cassetta, infradiciando le lettere che non devono infradiciarsi.

So anche che è una battaglia persa, perché non posso fare niente per contrastare questa indegna attività. Ma ieri, rincasando dal lavoro più presto del solito, vedo una persona armeggiare di fronte alla cassetta della posta. Di fianco a sé teneva il baracchino con le ruote che usano qui per i lavori tipo postino e simili. Beccato!

Mi avvicino silenziosamente e sto per partire con una raffica di domande astiose e sarcastiche tipo "sai leggere? cosa c'è scritto qui?", quando il fellone si gira e si rivela per quello che è: una ragazza sui 18-20 anni, molto bella, con i capelli lunghi ed il taglio sbarazzino. Mi guarda, io la guardo, faccio per aprire la bocca ma poi penso.

Penso che quando avevo la sua età una ragazza del genere non avrebbe mai passato pomeriggi sotto zero per consegnare giornali gratuiti; penso anche che potrebbe trovare lavori migliori e meglio pagati sfruttando la "bella presenza", tipo lavorare negli stand di una fiera o cose del genere (almeno sarebbe stata al caldo); e penso che magari non se la sta passando bene, che magari fa anche la standista la sera, e la cameriera nei fine settimana e la mattina va scuola.

E allora lascio perdere, faccio finta di niente. Lei spinge via il baracchino pieno di giornali e io svuoto la cassetta delle lettere e ripongo il contenuto nell'apposito bidone della differenziata. 

Mi vengono così

Essere come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molte teste di cazzo. 

Col vostro permesso

Io lo so che haters gonna hate, e che potrebbe anche non avere scopo, quello che sto per scrivere. So anche che sembrerò quello che sale su una cassetta della frutta lungo l'autostrada e conciona diretto alle automobili che passano a 150 all'ora (non è che il mio blog sia il più frequentato della rete). Però qualcuno, prima o poi, dovrà pur dirlo.

A voi, signori, non ve n'è mai fregato niente dell'Egitto, né della Tunisia, né dell'Algeria. Nessuno, tra tutti quelli che oggi sostengono, esaltano, invidiano la rivolta d'Egitto (deheh, rivolta d'Egitto) ha mai nemmeno saputo che in Egitto ci fosse una dittatura. Non ho mai letto, prima di gennaio 2011, niente di niente in supporto del popolo egiziano. Se vi metto di fronte una cartina muta dell'Africa non trovereste l'Egitto nemmeno se ci fosse scritto "Egitto" sopra.

Tre cose sapete dell'Egitto: Sharm, Cleopatra e piramidi. E credete che le piramidi le abbia costruite Cleopatra nell'entroterra di Sharm. Per cui non venite a raccontarmi con le lacrime agli occhi della forza di questo meraviglioso popolo, perché se credevate che questo popolo fosse così meraviglioso ne avreste scritto anche ad aprile 2009.

Dice, eh ma la rivolta costruita dalla rete, la protesta che monta su internet e cambia il mondo. Internet? INTERNET?!?
 


Internet gliel'hanno chiuso subito e tanti saluti. Vi piace pensare che la rivolta sia nata e cresciuta in internet perché vi sentite di condividere qualcosa con gli egiziani. Invece indovinate un po'? Siete solo invidiosi. Siete invidiosi perché sapete benissimo che morirete inciccioniti di fronte allo schermo di un computer, senza un'emozione che sia una e che l'unico atto di rivolta delle vostre giornate è guardare Facebook di nascosto dal vostro capo. E sapete cosa? Per quanti sforzi faccia, non riesco a capire la vostra fregola per la rivolta di piazza. Credete che sia una allegro diversivo alle giornate noiose? Credete che sia un modo simpatico per occupare la domenica pomeriggio?

Anzi, guardate, visto che tutti ne parlano, vediamo cosa succede in Italia. Facciamo le manifestazioni contro Berlusconi, facciamo le manifestazioni contro il ducetto che deve andarsene, dai facciamole. E come finiscono queste manifestazioni?

Con le suore intervistate da Repubblica che fanno le prediche su come le donne di oggi stiano diventando tutte puttane! Le suore! La protesta delle suore! La protesta contro Berlusconi fatta dalla gente che vi vieta di usare il goldone, che se vi stuprano non vi lasciano abortire e che pensa che siate tutte troie! Le suore che non vogliono nemmeno che mi faccia una sega in santa pace? Che non mi lasciano prenderlo nel culo se mi piace prenderlo nel culo? Loro sono quelle protestano contro Berlusconi?!? Loro, che la loro Chiesa nasconde gli stupri sui bambini, che dà la comunione ai mafiosi e fa seppellire in chiesa gli assassini, a loro avanza tempo di protestare perché le donne sono diventate tutte troie? È con queste persone che manifestate?

Sapete che vi dico? Andatevene affanculo voi, le troie, Berlusconi, le suore, le manifestazioni, Facebook e anche il corpo delle donne, affanculo pure quello. Affanculo la dignità del Paese, affanculo cosa pensano i vicini tedeschi e francesi, affanculo le minorenni, affanculo gli indignati, affanculo gli ombrelli rossi, le piazze piene, affanculo i 300 manifestanti per la questura e i 3 milioni per gli organizzatori.

E forza Panino!

Non condividere!

Il problema più grosso di un'idea sono i suoi sostenitori. Ma non nel senso che più sostenitori ha, più è provata la sua infondatezza. Siccome un'idea non vive da sola, ma nella testa di chi la pensa, più aumentano le teste che la sostengono, più essa si affloscia.

Non è una condizione statica: le buone idee all'inizio sono di pochissimi, poi - proprio perché sono buone - diventano di molti e a quel punto si possono buttare via. Vale un po' per tutte le buone idee che mi vengono in mente.

Quindi, se avete una buona idea, tenetevela per voi. Oppure spargetela, ma quando diventa troppo condivisa, cambiate e passate ad un'altra. Se invece avvistate una buona idea, non abbracciatela, perché così facendo contribuirete a distruggerla.

Questioni di spessore

Nel 2011, un intellettuale italiano di spicco, appartenente al movimento Libertà e Giustizia, durante una manifestazione pubblica trasmessa dalla tv di Stato chiede le dimissioni del Presidente del Consiglio in carica perché se rimane lì chissà poi all'estero cosa pensano. E si vanta di fronte a tutti di andare a letto tardi perché legge Kant.

Tra il 1927 e il 1929, un intellettuale italiano di spicco, appartenente al movimento Giustizia e Libertà, durante il confino sull'isola di Lipari voluto dal regime fascista, scrive un libro in cui cerca di dar vita alla fusione delle due grandi visioni del mondo dell'epoca, il liberalismo e il socialismo. E nella prefazione si scusa con i lettori per l'assenza di riferimenti bibliografici, perché, sapete, era stato deportato per volere del governo.

Potremmo quasi dire che il valore del regime in carica si misura in base allo spessore dei suoi avversari.

Nunc et in ore

Avevo due post da cominciare e nessuna voglia. Poi ho visto questo. Non c'è niente da aggiungere, è tutto così perfetto da solo. Voi, pensate bene prima di commentare, perché è difficile commentare l'assoluto.





Non credo sia uno scherzo, lo si può liberamente acquistare e il codice ISBN è 978-88-6362-051-1.

Link alla scheda sul sito dell'editore.

Progettazione tedesca

Oggi ho avuto una delle tante epifanie culturali che mi capitano in Germania. Il contesto è il mondo della bicicletta. Qui è popolare il cambio interno al mozzo posteriore. Questa soluzione prevede che ci sia una sola corona e un solo pignone, mentre i diversi rapporti sono alloggiati all'interno del mozzo, cui si collega un cavo per effettuare la cambiata.

Questa soluzione è tipicamente tedesca: in teoria non ha bisogno di manutenzione, perché il tutto è sigillato all'interno del mozzo, permette di cambiare rapporto anche da fermi ed elimina i problemi del cambio tradizionale legati all'usura dei componenti. In teoria, sembrerebbe la soluzione perfetta per chi vuole avere una bicicletta dotata di rapporti ma non vuole perder tempo dietro al cambio.

Ed in pratica è anche così, perché non c'e niente che questo cambio prometta che non viene mantenuto. L'unico problema è che sembra progettato come se con la bicicletta ci si facessero due cose: pedalare e cambiare rapporto. Se però con la bicicletta vi capita di bucare, o di dover cambiare pneumatici, il cambio interno al mozzo... ecco, non ha previsto questa possibilità.

Immaginate, con una bici tradizionale, di dover smontare il deragliatore ogni volta che togliete la ruota. Sembra una cosa sensata? A me no. Eppure è quello che si deve fare con il cambio interno al mozzo. Così oggi, per cambiare una gomma, ho dovuto smontare il maledetto cambio e non sono riuscito a rimontarlo perché è un meccanismo più complesso del deragliatore. E domani devo subire l'offesa di portare dal meccanico la bici per far rimontare il cambio a causa di un lavoretto da nulla che non interessava il cambio. Per evitare il fastidio di pulire e ingrassare la catena una volta ogni tanto, hanno escogitato una soluzione che rende molto molto difficile tutto il resto della manutenzione. 

E mentre ero lì a rimirarmi le mani nere rigate di sangue (taglio sul polpastrello del pollice, lunghezza 1 millimetro, profondità 2 centimetri, cl versati sulla ruota 10), mi sono reso conto che qui capita spesso di trovare delle cose che in teoria sono tantissimo migliori di quelle normali, e che appena provi ad usarle nel mondo reale ti creano più problemi di quelli che risolvono. Anzi, alla fine pensi che i problemi che volevano risolvere non erano poi neanche veri problemi, ad essere onesti. E che siccome la cosa nuova che hanno progettato loro costa due o tre volte di più, allora non ne vale proprio la pena.  

Val più la pratica della grammatica

Mi sono imbattuto in un post di un blog che non conosco e l'ho trovato particolarmente interessante. Parla di una madre che scrive per sapere che università bisogna scegliere per andare a fare una determinata professione. 

L'argomento è interessante, ma molto di più lo è la risposta di un professionista del settore in questione, che suggerisce senza indugio di non fare l'università. Il consiglio per trovare lavoro è quello di dedicarsi a studi più "tecnici" e "pratici" (e brevi) e di cominciare ad accumulare quanto prima esperienza sul campo. 

Il professionista spiega molto bene i requisiti che lui adotta per assumere personale: primo esperienza; secondo senso di responsabilità (accountability, se la traduzione non è corretta correggetemi); terzo talento; quarto capacità di armonizzarsi al gruppo di lavoro.

La breve ma pregnante disamina mi ha molto colpito perché riguarda un ambito molto ristretto: i videogiochi. Per questo motivo non rappresenta in alcun modo una presa di posizione contro l'educazione universitaria né una riflessione teorica sull'accesso al mondo del lavoro da parte dei ventenni. È una semplice riflessione disinteressata e deideolgizzata su un aspetto singolo e particolare. 

Probabilmente in maniera del tutto non intenzionale l'autore ha centrato in pieno il problema della difficoltà di lavorare da parte degli under 30 e, secondo la mia esperienza (fallace e miope qual'è), è il miglior suggerimento che si possa dare ad un ragazzo che non sia sicuro di cosa fare dopo le superiori; è un consiglio molto saggio e col senno di poi direi che sarebbe stato ottimo quando avevo 19 anni. 

Il post originale si trovata qui: Kids, Don't Waste Your Money On Game Dev Education.

A las barricadas!

Ogni volta che scoppia un quarantotto da qualche parte del mondo, di riflesso parte anche la blogosfera italiana. Perché insomma, non puoi non invidiare quel popolo lì, che fa la rivoluzione davvero, non come noi che non la facciamo mai e come ci siamo ridotti in questo modo che sopportiamo tutto e loro sì e noi no.

A leggere i blog e i forum italiani pare che una volta invece le rivoluzioni fossero all'ordine del giorno, che la gente si alzava la mattina, sorbiva il suo caffeuccio fatto con amore, prendeva l'autobus, faceva la rivoluzione fino alle 18 e tornava a casa per cena. Gli è che non era così per niente.

“Una volta” non si facevano rivoluzioni ogni secondo giovedì del mese. A tenersi larghi, c'è stata la Rivoluzione francese, che però è finita in schifo e non credo che nessuna persona sana di mente avrebbe voglia di ripassarci e più di cent'anni dopo la Rivoluzione russa, e lì è finita in schifo peggio che pria. Sì, ci sono stati moti di piazza, tentativi insurrezionali per tutto l'800, ma non sono state rivoluzioni e non erano lo strumento politico per eccellenza; sì, dopo il '17 è nata la retorica della rivoluzione, ma la retorica è fatta di parole e non di barricate e teste mozzate.

Possiamo tranquillamente stabilire che l'uomo medio di una volta non ha mai fatto nessuna rivoluzione in vita sua. Poi, quei pochi che l'hanno fatta, avevano i loro buoni motivi, principalmente il fatto di stare così male che era meglio rischiare la buccia che non fare niente.

Invece la retorica delle rivoluzione è tale per cui fare la rivoluzione è una specie di imperativo morale, di cifra etica attraverso cui vagliare il valore delle persone. È come i fioretti alla Madonna: prometto che quest'anno sarò buono, aiuterò chi ha bisogno e farò la rivoluzione. Tanto non è che la Madonna a fine anno arriva a farti la due diligence, se non mantieni non succede niente.

Infine, bisogna avere anche un motivo per fare la rivoluzione. E se il motivo ce l'hai, vuol dire che stai nuotando a rana nella cacca. E se non la fai, vuol dire che il motivo non ce l'hai, e questo è un bene, per l'amor del cielo! Non è che ci si deve lamentare per forza di tutto. A volte capita proprio che non ci siano motivi per fare la rivoluzione, che la strada la si può ancora usare come via di trasporto e che twitter lo si usa per le sciocchezze come si è sempre fatto.

Gesù quanto si agita la gente per niente.  

Dalle stalle alle stelle

Per fortuna sono nato abbastanza tardi da perdermi certi dibattiti sulla cultura-cultura contro la cultura massificata. Dico fortuna perché ad esempio so che all'epoca fece un certo scandalo tra i circoli intellettuali la nascita della collana BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), cioè una serie di pubblicazioni di classici della letteratura e della saggistica in formato tascabile a basso prezzo. Ciò era male, perché avrebbe portato alla massificazione del sapere, all'inflazione del suo valore, allo svutamento di ogni significato.

Siccome i circoli intellettuali hanno smesso di capire qualcosa ai tempi del Risorgimento, le collane economiche si sono invece moltiplicate e questo è stato solo un bene. Da adolescente [sfigato qual ero] io spendevo mille o duemila lire e mi portavo a casa capolavori, mentre i miei amici spendevano dieci, venti, quando non cento volte tanto per musica e videogiochi. Costavano così poco che valeva la pena di prenderli, sti libri, che se tanto non ti piacevano non ci avevi perso niente. Per non parlare della BUR, che ho usato per tutta la carriera universitaria come fonte unica di accesso a testi antichi e meno antichi.

Poi c'è la famosa critica al Signore degli Anelli: siccome il libro non era gradito a certi intellettuali, essi lo avevano bollato come “fascista”. Che per alcuni funziona un po' da insulto universale: quando vogliono esprimere l'abiezione totale, dicono “fascista”. Non ho mai capito se invece i neofascisti che si rifacevano a quel libro lo facessero come reazione a questa critica o per iniziativa propria ed indipendente. Ma non ho mai approfondito: in fondo non sono mai riuscito ad andare oltre le cinquanta pagine del libro, non so neanche di cosa stiano parlando.

Per non dire dei fumetti, o degli anime.

Oggi siamo al salto generazionale e gli allora giovanissimi che hanno sfidato quegli sciocchi pregiudizi si stanno avviando verso la strada dell'imbolsimento, in modo da perpetuare quei vecchi ragionamenti, solo che da una prospettiva speculare. Così tutto quello che era considerato cultura massificata, fascista e piccolo-borghese, adesso diventa capolavoro assoluto, vetta eccelsa, punto di non ritorno. Anche se è una canzonetta pop, anche se è un filmetto da quattro soldi. Basta che una volta non piacesse che oggi piace.

Gli eroi dei fumetti, tipo Batman, erano considerati fascisti perché l'uomo forte eccetera eccetera. Oggi sono descritti come pietre miliari che incarnano lo spirito del tempo. Si fa fatica a trovare qualcuno che dica “mah, a me Batman sembra la storia inverosimile di un ricco disturbato che va in giro vestito da pipistrello; mi piaceva quand'ero bambino, ma adesso che sono cresciuto non ci trovo più niente di speciale.”

Una volta i film tipo “Ispettore Callahan” erano fascisti, perché il vigilante, le paure piccolo-borghesi e via dicendo. Oggi stanno pian piano risalendo la china e tempo due anni saranno il nuovo faro della cultura cinematografica, perché spiegano il declino, le ansie e le disillusioni della società postmoderna. Provate a trovare qualcuno che onestamente ammetta “Callahan è un personaggio ai limiti del reale, con una faccia da schiaffi, però mi diverto a guardare le sue storie per le battute memorabili, che non c'entrano niente con quello che un poliziotto direbbe mai, ma in fondo chissene, è un film”.

Mai che ci sia la mezza misura, l'onesta percezione della mediocrità. Sono solo canzonette, suvvia.