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È tardi ormai

Prendi coscienza di non essere più giovane quando non ti fai problemi ad avere i tuoi genitori amici su Facebook, perché tanto non hai niente da nascondere.

Sai di essere vecchio quando vai ai matrimoni dei tuoi amici e la musica che fa ballare tutti è quella di Nirvana e Rage Against the Machine.

L'unica cosa che non sai è il momento in cui è successo, ma vedi chiaramente te stesso, anziano, con la dentiera e il bastone che cerchi di pogare ascoltando Smells Like Teen Spirit.


Drammatologia

Perdere il lavoro è diverso da come immaginavo. Somiglia al primo pugno in faccia: uno pensa chissà che, ma lì per lì non fa particolarmente male. Somiglia a quella volta che una moto mi ha tagliato la strada sulla pista ciclabile e ho fatto una capriola in aria e sono atterrato sulla schiena e i passanti mi hanno circondato inorriditi e mi sono alzato e ho pensato “uau, tutto qui?” Poi i giorni passano e gli effetti si fanno sentire: le labbra tagliate dai denti, il ginocchio ingrossato, la schiena con un ematoma così.

L'altro giorno era il primomaggio. Primomaggio da disoccupato. Ho pensato al concerto di Roma, i sindacati, la sinistra. Come molti, in passato l'ho seguito spesso in tv. Non tutto, solo i gruppi che mi piacevano. Non ho mai avuto la maglietta di ceghevara, non ho mai sventolato bandierine, ma com'è come non è, molti gruppi che mi piacevano suonavano a S. Giovanni. Poi gli amici di sinistra, qualche volta il pensierino di andarci, tanto per vedere la cosa dal vivo.

Ho pensato alla distanza che irreparabilmente mi separa da quella liturgia che non ha niente a che vedere con il lavoro. Non c'è più niente da condividere con chi ancora celebra riti nati per un mondo che non esiste più. Non c'è niente da condividere perché li hai conosciuti quelli che celebrano quei riti, sono amici, compagni di studi, colleghi di lavoro. Loro si ritrovano a queste celebrazioni collettive (il primomaggio, le elezioni, le manifestazioni...) intonano le solite litanie, fascismo capitalismo Berlusconi Vaticano, la fine dell'Italia, la fine della democrazia, il regime liberticida, ci vorrebbe la rivoluzione e nessuno fa niente.

E poi tornano a casa alle loro vite, su Facebook invitano i propri contatti a votare sì per dire no, le zoccole di Berlusconi che mannaggia a lui, io non ci sto, io sono brutta come la Hack quindi sono intelligente come lei. E le foto delle vacanze. E del weekend in montagna. E beati loro, io una vacanza non la faccio da un pezzo e li invidio anche, sapete. Poi certo, a nessuno frega niente se hai perso il lavoro, tu. Tanto in Germania c'è il uelfarsteit e comunque nel mitico estero tutto va sempre bene per definizione e non c'è nemmeno bisogno di chiedere come va.

Sarete anche di sinistra, ma siete pure un bel po' stronzi, lasciatevelo dire. Comprendo che abbiate Berlusconi e l'acqua privata cui pensare, però dai...

Che tutti i miei amici di sinistra hanno questa cosa: il metus hostilis. Berlusconi, il nucleare, l'acqua privata. Hanno il metus hostilis che li unisce, che regala un senso a tutto, a tutto quello che non va, a tutto quello che non piace, a tutto quello che non è come dovrebbe essere. E anche gli altri c'hanno il nemico che incombe: l'islam, i comunisti, i giudici.

Perché nella vita ci vuole sempre qualcuno a cui dare la colpa. Non come me, che non ci riesco. Berlusconi, il nucleare, l'acqua pubblica, l'islam, i giudici. Fottesega. No, sul serio. Ho perso il lavoro, dovrei odiare il padrone, il capitalismo, gli ebrei, i banchieri... qualcuno da dargli la colpa della mia sfiga! Niente.

Il nuovo contratto di lavoro se ne sta qui, sulla mia scrivania. Già firmato dalla responsabile delle risorse umane. Manca solo il mio autografo e poi via, di nuovo vita da ufficio, colleghi nuovi (urgh...), nuovi capi (urgh...), entrallenove, esciallesei. Yuhu!

Resistere alla retorica


Nei commenti al post precedente sulla Resistenza, un lettore mi ha fatto notare come non sia giusto prendere in giro la Resistenza, come non sia giusto parlare di cose che non si conoscono e di come sia giusto mantenere viva la memoria di periodi storici che non si sono mai chiusi (stiamo vivendo ancora sotto il fascimo, travestitio da PdL).
Sulla questione di non conoscere, non è mio compito giudicare me stesso, ma di certo, non essendo uno storico professionista specializzato nello studio della Resistenza, mi considero meno che un esperto. Tuttavia, se vengo giudicato in questo modo, mi sento in diritto di applicare lo stesso metro a chi m'ha cucito addosso l'impietoso giudizio.
Partiamo dalla fine: oggi siamo in pieno fascismo. Dire una cosa del genere dimostra la propria non conoscenza né del periodo storico in questione né di quello presente. Innanzitutto perché parlare di un generico fascimo non ha senso. È esistito il fascismo delle origini, c'è stato il fascismo al potere dei primi anni, c'è stato il fascimo alleato dei tedeschi e il fascismo in guerra. E faccio solo un riassunto per sommi capi.
Se volessimo paragonare l'attuale maggioranza parlamentare ad una fase del fascismo, difficilmente potremmo accostarla all'ultimo fascismo, quello che la Resistenza ha contribuito a far cadere. Si era in guerra, c'erano le colonie, stavamo perdendo, al fronte i soldati contadini morivano come mosche, senza senso. Dopo il '43, cioè quando la Resistenza si fece effettiva, il fascismo praticamente non esisteva più: l'Italia era spaccata in due e occupata da due eserciti stranieri. Oggi la situazione non è quella e non credo ci sia bisogno di discuterne.
Così come la situazione odierna non è paragonabile a quella dell'avvento del fascismo. Allora l'Italia (come molte parti dell'Europa) era in fermento. La Grande Guerra fu, oltre che un bagno di sangue spaventoso, uno sconvolgimento sociale, politico ed economico che non ha più avuto paragoni negli anni a venire. Si respirava odore di rivoluzione, i contadini e gli operai erano reduci di guerra, sapevano sparare e volevano sparare. La polizia sparava e i fascisti sparavano. Si voleva “fare come in Russia” e la sinistra non era un comitato d'affari come oggi, era fatta di socialisti che cominciavano ad avere numeri importanti in Parlamento e anarchici che si preparavano attivamente per sovvertire l'ordine costituito. Era un tempo in cui un poeta poteva radunare intorno a sé abbastanza gente in armi da conquistare e occupare una città. Probabilmente è stata l'unica volta in cui in Italia i ricchi hanno avuto paura della plebe. Questo è il clima in cui si è affermato il fascismo. Se qualcuno ha voglia di paragonare le due situazioni, è libero di farlo. Ma non mi pare il caso.
Resta il fascismo di governo, ma ancora trovo difficile paragonare le due situazioni: era un'Italia così diversa sotto ogni punto di vista da rendere difficile un paragone serio.
Quindi, stabilito che il livello di “non conoscenza” storica di entrambe le parti sia equiparabile, proviamo ad andare avanti.
La Resistenza è morta il 26 aprile 1945. La tomba è stata profanata il 2 giugno del 1946 e da allora non c'è stato giorno in cui non ci abbiano pisciato sopra. È morta soprattutto per mano dei due grandi partiti di allora, il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana. I partigiani non erano certo andati sui monti per scegliere se diventare i burattini della Russia o degli Usa. Volevano un'Italia diversa da quella che avevano visto, ma non è andata così. Siamo diventati un protettorato americano e ci è andata bene: potevamo fare la fine dell'Ungheria (o anche della Grecia, se dobbiamo dirla tutta). Ci siamo barcamenati con destrezza e ne siamo usciti relativamente bene.
Ma dobbiamo ricordare che il partito che ha sempre preteso di rappresentare la Resistenza, il PCI, era tanto lontano dalle idee politiche dei partigiani quanto lo era la DC. I partigiani non avevano certo combattuto per far andare al potere un partito dedito al soffocamento delle libertà, al conformismo, bigotto e bolso come i democristiani amici suoi.
E qui arriviamo al punto. Perché la Resistenza è stata trasformata in retorica dal nuovo Stato repubblicano. E nel momento in cui l'ha trasformata in retorica, l'ha uccisa. E il PCI si è appropriato di quella retorica, volendo far credere di essere stato l'unico interprete della Resistenza. E c'è riuscito, infatti oggi i mufloni ignoranti che scrivono sui giornali, o siedono su qualche poltrona, o tutt'e due, criticano la Resistenza per criticare la sinistra e insultano la sinistra per insultare la Resistenza. Ma non è colpa di quei poveri disadattati che con un diploma in enologia e una carriera da PR in discoteca si son trovati ministri; è colpa di chi per 50 anni ha fatto finta di essere dalla parte dei partigiani e ha voluto spacciarsi per erede e continuatore della loro opera.
Ed è amaramente ironico, perché a leggere i racconti di chi il partigiano l'ha fatto, è chiarissima la volontà di abbattere ogni retorica, di ripartire senza autocelebrazioni e autoesaltazioni. Ma invece sono stati inascoltati anche in questo, purtroppo.
Per quanto riguarda i ventenni che diventano partigiani oggi, il problema non è certo che aiutino qualche reduce a salire sul palco o che organizzino il coro delle mondine. Anche io conosco i canti degli alpini e se mi capita canto Sul ponte di Perati, ma non faccio finta di essere un reduce della campagna di Grecia. E soprattutto, non vivo nella paranoia di essere sul Don con i russi che mi vogliono far secco. Ma questo non sarebbe ancora il problema, il problema è che quelli che pensano di essere in pieno fascismo sono talmente accecati dalla loro retorica da arrivare a sostenere la parte politica che più di tutte ha agito contro i principi della Resistenza: la sinistra.
Che, una volta scrollatasi maldestramente di dosso i drappi rossi falcemartellati, ha dato il via ad una serie di attacchi militari e occupazioni di Stati sovrani che sono l'unica cosa che possa in qualche modo ricordare il fascismo (cioè, non lo ricorda, ma se proprio dobbiamo fare delle analogie...).
Poi si potrebbe parlare a lungo di questo curioso fenomeno: del perché si dedica passione e fatica a combattere una cosa che non esiste. Perché se qualcuno paragona il PdL al PNF, mi dispiace, ma non ha idea di cosa fosse il fascismo, né alle origini né al governo. Confonde la storia con la memoria, e mescola i ricordi personali con una effettiva conoscenza di quel periodo.
Io nutro il massimo rispetto per chi, di fronte al disastro e alla guerra, ha deciso di prendere le armi per cercare di costruire un mondo migliore. Mi rammarico che non sia stato sufficiente, perché poi i fascisti sono rimasti dov'erano e tutti coloro che dal fascismo avevano tratto vantaggio non sono stati tolti in massa dall'apparato pubblico come doveva essere fatto. Mi fa male pensare che i partigiani siano morti per aprire la strada al PCI e alla DC, che si sono trasformate nell'orripilante caleidoscopio di ignoranza, stupidità e volgarità che chiamiamo “politica”.
Ma non prendo sul serio chi va ad ascoltare le parole di un vecchio novantenne che fa fatica a camminare: le sue scelte di 70 anni fa non lo rendono infallibile, nemmeno quando parla ex cathedra, e se pensa di essere governato dal fascismo, mi dispiace ma sbaglia. Non prendo sul serio chi si iscrive all'ANPI, perché manca di rispetto a chi ha sofferto sul serio sui monti. Non prendo sul serio chi chiama “fascista” qualunque cosa si muova. Non prendo sul serio chi, pur non sapendo, accusa me di non sapere.
Non prendo sul serio tutti gli antifascisti con le bandierine che cantano Bella ciao, perché non siete diversi da me: siete dei poveri sfigati come me, che non contano un cazzo come me, che sono nati in mezzo agli agi e con la pancia piena come me, e che possono permettersi il lusso di fare gli antifascisti senza fascismo perché tanto non c'è nessun fascismo nei dintorni. Se ci fossero le squadracce come negli anni '20, se ci fossero le SS come nel '43-'44, sareste tutti nascosti e probabilmente fareste come i socialisti negli anni '20: stareste buoni ed allineati alla linea del partito, che a parole incitava alla rivoluzione e nei fatti fermava ogni più piccolo sussulto di protesta. “Pompieri” li chiamavano. E lascereste quei pochi che avevano deciso di fermare le Camice Nere con la forza abbandonati a loro stessi, perché non erano sufficientemente ortodossi e proni ai voleri dei capi partito. E ci regalereste altri ventanni di dittatura.
Conosco gli antifascisti di vent'anni e conosco la retorica bolsa che si portano dietro. E non mancherò mai di fare dell'ironia su costoro.

25 aprile e revisionismo storico

Ma nemmeno per scherzo, non ho nessuna intenzione di parlare di 25 aprile, se non per dire che sono in Italia, c'è il sole, ieri sera mi sono spanzato di polenta e baccalà e che del 25 aprile ha smesso di fregarmene qualcosa da quando ho scoperto che all'Associazione Nazionale Partigiani si iscrivono ogni anno un sacco di ventenni. Perché bisogna averne un paio bello grosso per fare il partigiano oggi, con tutte le SS che girano per Roma e Milano.

Io ho deciso di iscrivermi all'Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini, invece. Perché no?

L'almanacco del millennio dopo

Stavo leggiucchiando Cracked.com quando mi sono reso conto che stiamo vivendo un periodo storico particolare. In pratica è passato abbastanza tempo da quando è nata la fantascienza da fare di noi gli uomini del futuro. Viviamo in quel futuro che gli uomini di qualche decennio fa potevano solo immaginare nella fantasia.

Non sono un esperto di fantascienza. Mi pare però che il termine inglese science fiction si più adatto, perché una “scienza di fantasia” è una scienza che non è scienza, mentre una “narrativa di carattere scientifico” rende più l'idea degli intenti degli autori.

Intanto la cosa che trovo interessante è che noi stiamo vivendo il futuro sci-fi a causa dell'effetto “cifra tonda”: se per un qualche motivo il calendario utilizzato in Europa e quindi nelle Americhe non iniziasse dal consolato di Gaio Cesare e Lucio Emilio Paolo oggi saremo magari nel 2763 o giù di lì; come pure se avesse prevalso il calendario ebraico o musulmano, oggi saremmo nel 5770 o nel 1431; e non ci avrebbe filato nessuno. Noi ci ricordiamo per caso cosa sia successo di particolare nel 1632? No (per la cronaca: Willy l'Orbo disegna la sua mappa). Invece nel giro di pochi anni ci siamo trovati prima nel 2000 e poi nel 2010. Ma vogliamo mettere? Non vuol dire niente, ma fa tutto un altro effetto.

L'effetto “cifra tonda” però è stato enormemente amplificato dal fatto che la scienza è nata poco prima dell'anno a cifra tonda. Senza la scienza non potrebbe esistere la fantascienza, che si è trovata ad avere materiale a non finire su cui scrivere proprio a ridosso della cifra tonda. Quando nasce la science fiction si poteva intravedere il 2000 che faceva capolino all'orizzonte, una data troppo lontana per sentirla vicina, ma non così tanto da non poterla immaginare. Il suo valore simbolico era troppo forte per rimanere inascoltato: non cambia solo il decennio, non cambia solo il secolo, cambia l'intero millennio e per di più non siamo nel medioevo quando morivamo di paura, ma siamo felici perché il mondo stava divendeno ogni giorno un posto migliore!

Eccoci qua, allora. Noi uomini del futuro possiamo guardare indietro e dare valutare serenamente cosa pensavano avremmo combinato noi uomini del futuro. È bello notare come non abbiano azzeccato quasi niente. Da un lato fa tenerezza vedere come il futuro rappresentato nel passato ci appaia più simile a quel passato che non al nostro presente, dall'altro salta all'occhio come la fantascienza rappresenti soprattutto i desideri e le paure dei contemporanei in relazione al presente e come sia quindi un ottimo modo per investigare le autorappresentazioni di un determinato periodo storico.

Confesso di non essere un grandissimo amante della sci-fi, proprio per questi motivi. E soprattutto perché mi pare che non comprenda una delle caratteristiche basilari della scienza e della tecnologia moderne: che esse sono nate e si sono sviluppate per risolvere problemi concreti e reali che affliggevano l'umanità. Certo, la sete di conoscenza è un punto fondamentale, ma senza il desiderio di migliorare la propria condizione, l'essere umano non produrrebbe mai tecnologia ad altissimi livelli.

Prendo un esempio classico dell'immaginario fantascientifico: nel 2010 le città saranno intasate di traffico aereo privato e la auto saranno sostituite da piccoli aeromobili a quattro posti che si muovono a decine di metri dal suolo. È sotto gli occhi di tutti che non è andata così, ma perché? Perché non ha alcun senso fare macchine volanti per il trasporto urbano individuale, non risponde ad alcuna esigenza reale. Quale scopo ha creare un velivolo, che consuma moltissimo, per usarlo allo stesso modo di un'automobile, come in Blade Runner? Non dico che non sarebbe divertente per la prima settimana, ma poi? Non è come l'aereo, che elimina tutte le difficoltà di viaggiare via terra o via mare e in più a velocità incredibili.

Però l'idea di avere tutti un bel velivolo a decollo verticale con cui andare a fare la spesa richiama alla mente una tecnologia avanzatissima di un mondo dove in realtà nessuno fa cose banali come andare al supermercato o portare i figli a scuola, ma si guadagna da vivere andando a caccia di robot ribelli, infettando le reti informatiche, vendendo ricordi di vacanze fasulle o viaggiando nel tempo per difendere l'umanità.

Come tutti quelli che cercano di predirre il futuro, anche la sci-fi non predice niente, ma palesa i timori e le speranze di chi la crea. E così, quando leggo le varie previsioni per questo 2010, non mi aspetto certo di sapere in anticipo cosa accadrà; mi limito a curiosare nell'inconscio di chi le formula per scoprirne le paure e i desideri.

12 dicembre '69

Pensate se nel 1977 l'opinione pubblica italiana, riguardo all'attentato di Piazza Fontana, fosse stata divisa tra chi accusava gli anarchici e chi accusava Mariano Rumor e Paolo Emilio Taviani.